Gavin Friday è un Don Chisciotte. L'ex leader dei Virgin Prunes, che negli anni 80 lasciarono il segno con "If I Die I Die" e una ricerca interiore innervata di dark esistenziale, combatte ancora contro i mulini a vento dell'ignoranza, della grettezza elevata ad abitudine di vita, della decadenza di società imbruttite dalla violenza. Sa che la battaglia è persa, le forze del degrado e dell'apatia social sono troppo potenti, e quindi non rimane che combattere le ultime guerre culturali prima che Gaza diventi definitivamente la cifra etica della nostra civiltà svenduta al mercato e alle armi. Combattere per la cura dello spirito, per la comprensione dell'anima del mondo, per la cura della bellezza in quanto tale. Vallo a raccontare a chi bombarda gli ospedali della Striscia... Forse non è così, forse Gavin Friday, vuole solo fare musica alta e certe disquisizioni esprimono solo il bisogno di avere eroi alla Batman in un'epoca in cui imperano i Joker (Trump, Musk e mille altri). La sostanza, però, non cambia perché la musica contenuta nel nuovo "Ecce Homo" è un antidoto alla demenza da scrolling e al cinismo imperante.
Dopo la fine dell'esperienza dei Virgin Prunes, il nostro ha continuato un'attività solista con album apprezzati e la composizione di colonne sonore ("The Boxer" e "In America" di Jim Sheridan) e collaborazioni con artisti tra cui il connazionale Bono Vox, non disdegnando incursioni in altre arti come la recitazione e la pittura. Un artista, quindi. Ciò basta a farne un eroe e per questo Dave Ball, ex-tastierista dei leggendari Soft Cell, gli ha proposto di produrre il nuovo album: "Ecce Homo" (uscito per la Bmg e arrivato al primo posto in Irlanda) è il risultato dell'incontro tra le tastiere scintillanti di Ball e il carisma espressivo di Friday, dal punto di vista musicale un concentrato di Electronic Body Music (Ebm) che vive di sinusoidi di melodie calde, cascate di suoni elettronici e ritmiche ballabili. E se persino mio figlio di 12 anni ha eletto "Stations Of The Cross" come una delle sue canzoni preferite dell'anno, il miracolo è compiuto, la battaglia non è ancora persa.
L'iniziale "Lovesubzero" parte con un clarinetto e prosegue con note delicate di piano, mentre la voce sussurra "free your love" e parte il beat a 4/4, lento come sanno essere le canzoni Ebm. La voce è cavernosa e il tutto suona molto club alternativo: i sequencer conferiscono un tono minaccioso a un brano che vive dell'alternanza con la melodia. "Ecce Homo" è un episodio dall'andamento marziale alla Front 242, roba potente e radiofonica con un ritornello epico: "Fight fire with fire, we can walk on water, we will live forever, ecce ecce homo". Il potere dell'essere umano di costruire e di distruggere il mondo in cui vive è più una condanna che una benedizione. Potremmo usare il potere a fin di bene, perché no? "The Church Of Love" si avvicina al suono dei Soft Cell con il suo incedere dettato dalla linea di basso sintetica al servizio di un brano che denuncia la nostra mancanza di vergogna per i disastri che produciamo.
La citata "Stations Of The Cross" è un lento dolente e oscuro che ricorda gli ultimi Ultravox, in cui synth kraftwerkiani ballano attorno a una linea di basso sinuosa in un'atmosfera fortemente spirituale dedicata all'amica scomparsa Sinéad O'Connor: "It's no secret that the stars are falling from the sky/ It's no secret that our world is in darkness tonight". È un atto d'amore incondizionato, un'invocazione al potere dei sentimenti che a volte non sono sufficienti a salvare una vita.
L'album vive di diversi momenti lenti e intensi come "Lamento", ballata guidata da una chitarra acustica discreta che canta delle tensioni tra amore e odio nella vita di chi guarda con equilibrio alle proprie esperienze. Ecce Homo, appunto.
Le cicatrici di un ventenne sono marketing, quelle di un sessantacinquenne sono una via crucis verso la salvezza e vanno accolte, condivise, accarezzate. Questo fa "Ecce Homo" e ci chiede di farlo ognuno per sé, per essere persone migliori. Buon 2025.
01/01/2025