Se tre indizi fanno una prova, allora si può affermare che i Modern English sono tornati. Difficile nel 2024 capire a che scopo, eppure li accogliamo a braccia aperte, dopo una quarantina e passa di anni trascorsi a sfiorire nel dimenticatoio. La storica band di Colchester rappresenta uno dei grandi crucci della stagione d'oro del post-punk britannico, visto l'avvio fulminante del 1981 cui ha fatto seguito una parabola discendente inspiegabile e altrettanto rapida.
Avevano esordito nei territori più lugubri e claustrofobici della darkwave con l'ottimo “Mesh And Lace”, per poi virare nei successivi “After The Snow” e “Ricochet Days” verso un elettro-pop alla moda che li avrebbe resi delle celebrità anche oltreoceano, complice l'inserimento della hit “I Melt With You” nella colonna sonora del teen-movie “Valley Girl”. Come accaduto ad altri illustri colleghi di decade, però, le sonorità, strada facendo, si sono addolcite sin troppo, così già dalla seconda metà degli anni Ottanta il cantante Robbie Grey e i suoi talentuosi compagni sono praticamente scomparsi dai radar, ormai incapaci di tirarsi fuori dalle secche di un format demodé e smaterializzati a ridicola parodia di se stessi.
Quando neanche le etichette discografiche sembravano più disposte a scommetterci, ecco però due inattesi quanto graditi colpi d'ala: sia “Soundtrack” nel 2010, infatti, che l'ultimo “Take Me To The Trees”, autoprodotto nel 2016, avevano dato sostanziosi cenni di risveglio, confermati ulteriormente adesso dal nuovo “1 2 3 4”. Si tratta in assoluto della nona fatica in studio del gruppo inglese ed è stata concepita nel Suffolk per la maggior parte durante il lockdown a casa del bassista Mick Conroy, che per le musiche ha dichiarato di ispirarsi a David Bowie e ai Siouxsie And The Banshees.
Il tavolo di lavoro si è quindi spostato a New York e infine ad Abbey Road, dove l'album è stato masterizzato e portato a termine agli ordini di Cenzo Townshend, navigato ingegnere del suono dal curriculum multiforme (tra i suoi assistiti figurano Rolling Stones, A-ha ma anche Florence And The Machine, Bloc Party, Franz Ferdinand e Snow Patrol). Per questo motivo le dieci canzoni in vetrina non si accontentano di un unico indirizzo stilistico, ma svariano di continuo con l'obiettivo di rivitalizzare ogni gene di una band che, per Dna, nell'arco della propria carriera non ha mai avuto paura di osare. La formazione si ripresenta al completo e il progetto decolla, a cominciare dal chiassoso singolo di lancio “Long In The Tooth”, on air dallo scorso settembre, che come tutta la tracklist beneficia di un interessante effetto “live” dovuto all'inserimento postumo della batteria (affidata a Richard Chandler).
“C'è voluta una vita intera ma non ho risposte a tutte le domande, sto solo invecchiando”, recitano sibillini i versi: la sensazione è quella di uno sguardo al passato dal mood niente affatto nostalgico, con testi impegnati e anzi saldamente ancorati nel presente. L'inno “Not My Leader” è una feroce presa di posizione contro la situazione politica di Stati Uniti e Regno Unito, “Plastic” rimbomba crudi slogan su un ossessivo giro di tastiera, lamentando il preoccupante scadimento ambientale in cui versa il nostro pianeta, mentre il synth-rock “Crazy Lover” indugia su questioni amorose con melodia iniziale che cita “I'll Stand By You” dei Pretenders.
L'ambiziosa “Genius” (dalla sfaccettata impalcatura mistica desert), “Out To Lunch” e le chitarre dissonanti di Gary McDowell nell'inquieta “Exploding” riportano le lancette indietro ai cupi giorni del debutto, quando tra atmosfere gotiche, psichedelia e riverberi noise i Modern English furono tra i primissimi artisti a catturare l'attenzione della leggendaria 4AD di Ivo Watts-Russell, mentre il jingle di “I Know Your Soul”, ammordito dal baritono rilassante, è quello che più accarezza le sfiziose laccaturenew romantic della seconda fase.
Da apprezzare anche “Not Fake”, dove tonalità forti e deboli si alternano con intelligente dinamismo, e il delicato adagio slowcore di chiusura dell'onirica “Voices”, che cala il sipario lasciando all'ascoltatore un piacevole senso di beatitudine.
Spontaneo, lucido e ben confezionato: “1 2 3 4 “ probabilmente non farà proseliti tra le nuove generazioni, ma intanto per i Modern English è davvero un bel modo di ricominciare. Speriamo che stavolta duri.
05/03/2024