Jesse Welles - Middle

2025 (autodistribuito)
folk rock, alt-country

Se c'è un personaggio a cui non si può negare una lunghissima gavetta, è certamente Jesse Welles. Nato e cresciuto a Ozark, piccola località nel nord-ovest dell'Arkansas, ha pubblicato musica in proprio a partire dal 2013, usando il nome d'arte Jeh-Sea Welles: ben dieci album entro il 2018, inclusi quelli con la band Dead Indian. Si trattava di dischi che spaziavano dal rock alternativo al folk, con suoni volutamente sgraziati da qualche parte fra il grunge e il lo-fi.
Nel 2018 il suo primo tentativo in grande per la 300 Entertainment, "Red Trees And White Trashes", grazie all'intercessione del produttore Dave Cobb (uno dei giganti dell'attuale scena country, per quanto abbia lavorato con artisti di ogni categoria). Ancora legato al suono abrasivo delle prove precedenti, il disco passa inosservato e chiude il suo rapporto con l'etichetta. 

Dopo qualche anno Welles decide di reinventarsi: nel 2023 si scopre folksinger e inizia a pubblicare canzoni per voce e chitarra su TikTok, dapprima cover e poi brani autografi. La strategia gli consegna presto quella visibilità che i precedenti dieci anni di carriera gli hanno negato, in particolare grazie ai testi politicamente impegnati, spesso puntati su temi d'attualità, e alla possibilità di poter pubblicare a raffica, data la natura fai-da-te del progetto. Non ci sono spese da sostenere: gli basta una cam per riprendersi mentre canta immerso nei paesaggi incontaminati intorno a Ozark.
L'aumentare della sua fama lo spinge a registrare le più fortunate fra quelle creazioni estemporanee in forma professionale: realizza così in proprio gli album "Hells Welles" e "Patchwork", che escono nel 2024. Entrambi sono tuttavia caratterizzati da arrangiamenti acustici che non si discostano più di tanto dalle versioni originali.

Contattato il tecnico del suono Eddie Spear, che aveva conosciuto a Nashville, decide di fare quindi il grande passo e registrare "Middle", album con arrangiamenti elettrici e una band di turnisti a supporto, uscito lo scorso 21 febbraio.
Spear, già in cabina di regia per artisti come Sierra Ferrell e Zach Bryan, è il miglior alleato possibile per dare a questa nuova visione di Welles l'energia necessaria, evitando però al contempo di farlo retrocedere verso il rock dal suono rugginoso e un po' elementare delle sue vecchie prove. Le coordinate si piazzano da qualche parte fra folk rock militante, alt-country, Americanared dirt (la scena country rock del vicino Oklahoma) e heartland rock.

L'iniziale "Horses" è l'unico brano inedito in scaletta, mentre gli altri undici sono riletture tirate a lucido dei suoi spezzoni da social network. Sin dal tema di fiddle iniziale, "Horses" suona come un ammodernamento di "Hurricane" di Bob Dylan, pur con ritocchi che la affrancano dal pesante riferimento, come lo strumming di chitarra elettrica sul finale e una batteria dal passo serrato (laddove la sezione ritmica di "Hurricane" era frastagliata da variazioni, stop e ripartenze). Va detto che nelle esibizioni dal vivo del brano, come quella tenutasi al "Jimmy Kimmel Live!" il 27 marzo, è bastato diminuire il volume del fiddle per far calare di molto l'evidenza del collegamento.
Dato l'andamento ritmico dritto e spedito, si potrebbe ipotizzare anche un rimando a un altro caposaldo del folk rock anni Settanta, quale "You Wear It Well" di Rod Stewart, ma voler trovare a tutti i costi una fonte precisa per il brano farebbe torto alla personalità di Welles, che è invece uno dei più peculiari cantautori del momento.
Anche il metodo di scrittura dei testi è curioso: non solo attivismo sociopolitico, ma anche passaggi onirici, citazioni di scritti altrui e sfoggio di suggestioni culturali lontane, che in qualche maniera si incastonano nel disegno complessivo. La stessa "Horses" ne è dimostrazione:

Tutte le mie camicie di flanella sono fatte in Bangladesh,
tutte le mie magliette in Vietnam,
ci sono posti che ignoriamo in silenzio
e posti che andiamo a bombardare.
Sai che ho pensato un sacco a Gesù,
ancora di più a Lao Tzu,
dicono che la via del Tao sia non fare nulla,
e allora che diavolo dovrei fare io?
Sai che più intensamente pensi, più sprofondi,
più forte stringi, più scivoli via,
così sto cantando questa canzone sull'amare
tutte le persone che hai imparato a odiare.
È vero quello che dicono, un giorno morirò,
[allora] perché mi porto addosso tutto questo peso?
Sai, ho davvero creduto che ci fosse potere
nel credere che la metà di voi fosse nata stupida,
pensavo di raccogliere avena per i miei cavalli,
ma stavo soltanto frustrando i miei muli.
L'attacco è nuovamente una parafrasi di Dylan (precisamente da "Union Sundown" del 1983, il cui testo era un attacco alla delocalizzazione delle grandi aziende americane), ma poi entrano di mezzo la questione mediorientale, la filosofia asiatica, la salute mentale, la polarizzazione politica della società statunitense, e via dicendo, in un suggestivo mosaico di scorci ora reali, ora immaginari.

"Certain" è più vicina a Tom Petty, di cui riesce a bissare la tipica fusione fra andatura vivace e rilassatezza dell'interpretazione vocale, mentre il testo, che sembra essere un viaggio interiore denso di simbolismi, non rinuncia a piazzare schizzi di scottante attualità (chi sarà mai il giullare in contrasto col Messico?):
Ti scrivo dalla Terra,
data stellare 2024,
nel mezzo di un oceano,
e quasi non riesco a vedere la riva,
è un brutto modo per scoprire
che non vuoi essere un marinaio,
a metà del viaggio
nella roulotte di tua madre,
cosa darei per essere certo, oh.
Ho sentito il giullare gladiatore quasi psichedelico
nel suo recinto, nel fiore della guerra messicana,
diventerai ciò che odi se cerchi di rimpiazzare
ciò che odi, non l'ho mai visto più [chiaramente] di così,
è un brutto modo per scoprire
che non vuoi essere una tromba,
quando stanno già suonando
nel mezzo di una tempesta
L'intero album gioca con le citazioni, con un approccio ora da sindrome di Zelig, ora di ricontestualizzazione postmoderna, e sia ben chiaro che non lo si intende in senso negativo: nelle industrie – separate ma cugine – della musica folk e di quella country, tutti si rubano tutto a vicenda da circa cent'anni. Il grado di raffinatezza e complessità che Welles riesce a ottenere in questo processo è evidente a tutti gli addetti del settore, basti pensare che l'autorevole sito Saving Country Music l'ha eletto miglior cantautore del 2024.

Il brano più sorprendente della raccolta è forse "Fear Is A Mind Killer". Il titolo è una citazione da "Dune" di Frank Herbert (ed ecco che la fantascienza fa capolino fra le comunità rurali dell'Arkansas), ma ancora più inaspettato è l'iniziale arpeggio di chitarra acustica, che riprende quello di "Oh! Tengo suerte", brano del grande chitarrista giapponese Masayoshi Takanaka (già celebrato sulle pagine di OndaRock durante lo speciale "City Pop Juke-Box"): si può affermare con discreta certezza che solitamente i dischi folk americani non gettano ponti verso la jazz fusion del Sol Levante, benché poi la canzone viri ovviamente verso altri lidi, con un'epicità degna dei Grant Lee Buffalo di "Fuzzy".
Il testo è uno dei più frammentari, un ammassarsi di metafore e slogan che genera spaesamento: paesaggi sconfinati, senso di incertezza, rigetto per la paura e l'odio che saturano ormai ogni società del pianeta, passione per il mare e gli elementi, fino a quando, come in un'allucinazione, spunta Takanaka in persona e Welles gli domanda se le coste giapponesi siano adatte al surf:
Come potevo sapere che la mia pietra sarebbe rotolata giù nella valle?
Come potevo vedere tutti i pesci nel mare nuotare via senza di me?
Ero solo una piccola pietra in fondo al mare,
le onde si abbattevano su di me.
Come potevo tenere tutte le mie pecore, se la collina è così ripida?
Come potevo sapere che la mia anima sarebbe rotolata
giù nella valle fino all'oceano?
Galleggiare con l'idea più strana,
togliere i miei vecchi vestiti e non rimetterli più.
La paura è l'assassina della mente,
ti lascia senza un posto dove scappare,
pianta i semi dell'odio dentro te.
Come potevo sapere che mi sarei innamorato del vecchio Takanaka?Tagliando il mio prato di domenica, pregando per il perdono delle margherite,
e per la pioggia che arrivi all'oceano,
com'è il surf laggiù in Giappone, vecchio mio?
In generale, l'album spinge più verso il folk rock ("Rocket Man" è degna dei momenti più muscolari di Ryan Adams) che verso il country, per quanto anche quest'ultimo gli riesca benissimo: per esempio in "Every Grain Of Sand", che ricorda "What Is Life Without Love", classico di Eddy Arnold risalente al 1946, e riesce a non sfigurare al confronto (non è poco, visto che si parla di un gigante del genere).

Welles vanta al momento oltre un milione e 300mila seguaci sia su TikTok, sia su Instagram, e la sua attività sembra proseguire frenetica: appena un mese dopo questo album, ha fatto uscire anche "Under The Powerlines", antologia contenente 63 brani nelle stringate versioni originali pubblicate sui social network fra l'aprile e il settembre del 2024, allo scopo di proteggerle tramite diritto d'autore ed evitarne l'utilizzo improprio, che aveva ovviamente già preso piede.
In attesa di ulteriori sviluppi, "Middle" si impone come una visione matura portata a compimento con anni di sacrifici e tentativi, grazie alla quale Welles può infine occupare i piani più alti della controcultura statunitense.

02/07/2025

Tracklist

  1. Horses
  2. Certain
  3. I’m Sorry
  4. Fear Is The Mind Killer
  5. Wheel
  6. Anything But Me
  7. Every Grain Of Sand
  8. Simple Gifts
  9. Why Don’t You Love Me
  10. Rocket Man
  11. War Is A God
  12. Middle




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