"Un accordo è ok. Due accordi sono al limite. Con tre stai già facendo jazz", recita una celebre citazione attribuita a Lou Reed. Ma c'è un'altra opzione: se hai tre accordi, sempre gli stessi tre, IV-I-V (quello centrale può al massimo essere sostituito ogni tanto dal relativo minore), probabilmente è heartland rock.
È plausibile che l'espressione non vi dica nulla. Non fa parte, in effetti, del lessico musicale canonico dell'appassionato italiano. Eppure il suono che identifica è oggi più vitale che mai. Rimbomba nella big music di Sam Fender e nelle hit pseudo-synthwave di Taylor Swift; nelle uscite recenti di Killers e Ryan Adams; nell'indie-rock raffinato dei War On Drugs e negli slanci corali degli Arcade Fire. In maniera assai più trasversale e pervasiva delle osannatissime reincarnazioni post-post-punk, è a tutti gli effetti uno dei simboli del rock dei nostri anni. Se gli accostamenti ancora vi disorientano, basterà forse un nome per chiarire il campo: Bruce Springsteen. Il suono passionale e incalzante dei suoi album a cavallo fra anni Settanta e anni Ottanta ha le sue radici nel New Jersey, ma evoca immagini degli Stati Uniti profondi - strade infinite, deindustrializzazione, speranze e delusioni del sogno americano - e rappresenta per molti ascoltatori europei l'anima più quintessenzialmente Usa del rock'n'roll di quell'epoca.
Eppure, c'è vita oltre Bruce Springsteen, e questa playlist è un'occasione per scoprirla. La voce del Boss è iconica (anche se qualcuno può trovarla sgraziata), le sue canzoni hanno fatto la storia e non solo quella del rock. Ma confondere la sua personalità con un'unicità sarebbe un errore madornale. Analoghe immagini di America profonda, suscitate da un sound altrettanto trascinante e grandioso, da strutture compositive simili ma più variopinte, e spesso dagli stessi identici accordi, fanno parte del repertorio di decine di artisti, precedenti e successivi. Con alcuni nomi che già dalla fine degli anni Settanta avevano assunto nel contesto un rilievo almeno paragonabile: Tom Petty, Bob Seger, John Mellencamp, Nils Lofgren.
Attorno agli anni Ottanta, il sound aveva guadagnato un proprio nome, heartland rock, che riprendeva uno dei nomignoli dell'area centro-settentrionale degli Stati Uniti – il tanto declamato Midwest. Forse per contrasto, nel tempo ha preso piede, (in misura assai minore) anche un'ulteriore etichetta: "Jersey Shore Sound", impiegata per artisti della costa nordorientale come Springsteen, Southside Johnny & The Asbury Jukes, John Cafferty & The Beaver Brown Band. Non è chiaro quando sia nata quest'ultima espressione, ma le prime attestazioni online risalgono alla fine degli anni Duemila.
Dal Midwest all’Estremo Oriente
Ovviamente, il suono e i suoi elementi costitutivi non nascevano dal nulla. Fra le molteplici influenze evidenziate dai commentatori (da Bob Dylan a Neil Young, passando per Joe Walsh), un accostamento in particolare risulta illuminante: quello con i Creedence Clearwater Revival di John Fogerty. In effetti, quell'ossessione per la reiterazione di accordi basilari, con un piglio ruspante che va dritto al rock'n'roll quasi saltando le ispirazioni della British invasion e della Summer of love, mostra una forte sintonia con quel che, già dagli anni Sessanta e parecchie miglia più a Sud, Fogerty aveva iniziato a fare con la sua band. E alla formazione californiana si deve anche uno dei tratti più efficaci dello stile heartland: il suo beat martellante e propulsivo, una sorta di motorik ante litteram che trae le sue origini dalle Highway statunitensi e dal Delta blues anziché dalle Autobahn tedesche e dagli echi della Bohème newyorkese dei Velvet Underground.
Volendo cercare una "età dell'oro" per il filone, questa cadrebbe senz'altro fra anni Settanta e Ottanta - grosso modo in parallelo con quella dell'arena rock. In quegli anni il suono contagia anche artisti e territori musicali non troppo confinanti: Billy Joel lo abbraccia con "Storm Front" (1989), ma nel decennio si registrano incursioni anche da parte di Cher, Bonnie Raitt, Kim Carnes, Melissa Etheridge. "Because The Night" di Patti Smith (scritta da Springsteen) è pienamente nel solco, e c'è chi include nel discorso pure il songwriting di Tracy Chapman, più acustico e intimo, ma spesso affine per temi. Un altro habitué è Jim Steinman, autore di brani che uniscono l'enfasi teatrale del pomp-rock al tipico passo incalzante heartland: la title track di "Bat Out Of Hell" è sostanzialmente quello, ma nella stessa vena si incontrano anche pezzi per Bonnie Tyler e la sua produzione solista.
Le corrispondenze abbondano anche fuori dagli Stati Uniti: è evidente l'assonanza con il roots-rock virtuosistico e scheletrico dei Dire Straits, ma in fin dei conti pure la big music degli U2 mostra una chiara sintonia, almeno in alcune sue fasi. In Canada il testimone passa prima ai Red Rider, poi a Bryan Adams, che riprende molto del filone del suo iconico pop-rock virato Aor. Ma il contagio supera anche i confini dell'anglosfera, con lo svedese Ulf Lundell, i finlandesi Eppu Normaali e perfino i Tempi Duri di Cristiano De André (espliciti fin dal nome nel loro richiamo alla band di Mark Knopfler). Con la seconda metà degli anni Ottanta, ecco anche lo sbarco in Giappone, con le riletture aggiornate di Shogo Hamada, Sion e Motoharu Sano. In una veste diversa, anche in Francia si ritrovano suggestioni, con le produzioni cantautorali di Alain Souchon e il suono avvolgente del suo storico collaboratore Laurent Voulzy.
Oltre il mainstream
Nel corso degli anni Novanta, l'eco del filone inizia ad affievolirsi - almeno a livello mainstream. Anche nell'ambito folk-rock statunitense, gli stilemi heartland sono via via resi demodé dall'affermarsi della sintesi di roots rock, alt-country, bluegrass che prenderà il nome di Americana.
Sul fronte alternativo, invece, il piglio energico e accorato del genere – unito alla semplicità armonica – trova nuova linfa tra le band provenienti dal circuito hardcore punk, in particolare tra quelle influenzate dal power pop e dal college punk dei Replacements. Ne nasce un ramo lasco ed eterogeneo, oggi noto agli appassionati come "heartland punk". Ruvido e diretto, si sviluppa soprattutto dagli anni Duemila con artisti come Menzingers, Hot Water Music, Against Me!, The Gaslight Anthem, Titus Andronicus e, più recentemente, Spanish Love Songs. Nello stile di queste formazioni, la ripetitività armonica di Springsteen e accoliti si intreccia al drumming martellante e alle melodie irruente tipiche dell'hardcore. L'efficacia del connubio si misura anche nel fatto che, spesso, le influenze di questi due mondi risultano quasi indistinguibili all'ascolto.
In parallelo – e con un'accelerazione a partire dal 2010 – il lessico sonoro del filone comincia a filtrare anche nell'indie rock. Una serie di artisti che avevano esordito in contesti differenti adotta gradualmente quel passo incalzante e malinconicamente trionfale, divenuto ormai un marchio di fabbrica immediatamente riconoscibile. Killers, Arcade Fire, Twin Shadow e lo svedese Håkan Hellström sono esempi di nomi di successo che hanno compiuto questo percorso, talvolta con tangenze allo stomp-rock più anthemico. Altri nomi, come l'iperprolifico Ryan Adams o la cult band Car Seat Headrest, si sono avvicinati a queste influenze più di recente nel loro continuo zigzagare tra i generi.
Esistono poi progetti che fin dalle origini incorporano questi elementi nel loro Dna indie rock: i festanti The Hold Steady, attivi già dai primi Duemila; i Bleachers del superproduttore Jack Antonoff, che riprendono molti tratti del Boss senza ricalcarne lo stile vocale più ruvido; i War On Drugs, che fondono l'ossatura ritmica del filone a suggestioni dream-pop e psichedeliche. E soprattutto Sam Fender, astro emergente di Newcastle, che si è imposto come volto più riconoscibile della nuova generazione grazie all'energia e alla personalità della sua rilettura.
Incroci, retromanie e futuri possibili
Proprio gli ultimi anni, con la loro centrifuga ibrida-generi, hanno fatto emergere anche commistioni più inattese. Complice il solito Jack Antonoff, le produzioni recenti di Taylor Swift e di Bartees Strange (uno dei nomi hype sulla frontiera fra indie e hip-hop) hanno condotto più di un'incursione in territori heartland. I pezzi della Swift, in particolare, hanno fatto leva su un connubio tanto sorprendente quanto azzeccato, quello con la synthwave di matrice ottantiana. Il sound nato per raccontare le periferie della Rust Belt si innesta perfettamente sui groove sintetici e sull'immaginario retrofuturista dell'estetica outrun. Ne risulta un synth-rock evocativo e ipernostalgico, subito ribattezzato "heartland synth" dai fan più smaniosi di classificazioni. Una fusione che, in terreni più lontani dal mainstream, sta venendo esplorata con passione anche da artisti come The Midnight e The Motion Epic.
C’è qualcosa, in quel battito regolare su tre accordi, che continua a generare visioni. Che si tratti di chitarre ruggenti, ballate da autostrada o synth malinconici filtrati al neon, il cuore dell’heartland rock non ha mai smesso davvero di battere e mantenersi in moto. Questa playlist lo segue fin dove si è spostato – e magari anche un po’ più in là – grazie alla sua struttura semplice, l’energia tenace e un immaginario mai inattuale fatto di strade dritte e sogni complicati.
15/06/2025