We didn't know each other, we were each other
(Meat Loaf)Every time you think to yourself ‘Do we really want to go this far’, and you say to Jim ‘Are you sure about this?’ and anybody else will go ‘Don’t do it!’, Jim goes ‘More! More! More people singing!’ It works!
(Andrew Eldritch, Sisters Of Mercy)
Melodrammatico, magniloquente, follemente geniale, James Richard Steinman è stato uno dei grandi visionari del rock. In una cinquantennale carriera costellata di collaborazioni di spicco e progetti di ogni sorta, il compositore nato a Hewlett Harbor (New York) nel 1947 e scomparso lo scorso 2021 ha saputo imprimere alla popular music le sue tinte forti e classicheggianti, conquistandosi il titolo – enfatico e semplicistico al contempo – di “Wagner del rock”. Compositore, paroliere, produttore, arrangiatore, pianista e all’occorrenza cantante, Jim Steinman è stato anche un monumento alla versatilità musicale, spaziando dalla classica al rock, dall’Aor al pop, dal musical alle colonne sonore cinematografiche (memorabile quella per “Streets Of Fire” di Walter Hill). Come scrive Rob Sheffield su Rolling Stone, “la sua idea di canzone perfetta prevedeva scintille ed esplosioni, era quella che chiunque può cantare a squarciagola”. Ma – verrebbe da aggiungere – sempre con quella punta di sofisticatezza e autoironia che lo allontanava da facili tentazioni populiste.
In questa playlist cercheremo di ripercorrere la sua trionfale epopea musicale attraverso trenta brani, espressione del suo talento sfrenato, che se ha trovato in interpreti altrettanto “ridondanti” come Meat Loaf e Bonnie Tyler il veicolo naturale, ha anche saputo coniugarsi con stili all’apparenza lontanissimi, come nel caso degli spettrali Sisters Of Mercy di “Floodland”, di cantanti soft come Barbra Streisand, Celine Dion e Barry Manilow e persino di una boy-band come i Boyzone (!).
Ecco i trenta brani che abbiamo scelto per rappresentare la sua lunga e spiazzante parabola musicale: astenersi palati troppo delicati e oltranzisti del minimalismo sonoro.
Yvonne Elliman – Happy Ending
I’ll never be Maria Magdalena? Eh no, Yvonne Elliman lo è stata davvero, e tra le più credibili interpreti del ruolo. Per la precisione, nel musical “Jesus Christ Superstar” di Andrew Lloyd Webber, mettendo in mostra le sue notevoli doti canore soprattutto nella struggente ballata “I Don't Know How To Love Him”. Prima di essere omaggiata dai Bee Gees con una scintillante “If I Can't Have You” per la colonna sonora di “Saturday Night Fever”, la dolce cantante nata a Honolulu riceve in dono da un giovane Steinman questa delicata ballad acustica che, nell’anno 1973, non lascia presagire nulla della futura magniloquenza sonora del compositore di New York.
Meat Loaf - Two Out Of Three Ain’t Bad
Meat Loaf - Paradise By The Dashboard Light
Meat Loaf – More Than You Deserve
Com’è inevitabile che sia, una consistente porzione della playlist è dedicata al sodalizio con Meat Loaf, l’ex-motociclista teppista del cult-movie “Rocky Horror Picture Show”. Si parte con una doppietta da “Bat Out Of Hell” (1977), debutto su Lp del corpulento cantante di Dallas (Texas), all'anagrafe Marvin Lee Aday, nonché primo tassello di una collaborazione che, pur spesso tutt’altro che idilliaca, durerà una vita intera. Composto da Jim Steinman e prodotto da Todd Rundgren, prende spunto dal musical “Neverland”, scritto dal compositore americano per uno spettacolo del 1977 al Kennedy Centre come eccentrica rivisitazione della favola di Peter Pan. La roboante power-ballad “Two Out Of Three Ain't Bad” - unica hit del disco all'epoca - apre il Lato B raccontando la rottura di due relazioni con un sound che secondo Rundgren risentirebbe dell'influenza degli Eagles. “Paradise By The Dashboard Light” è invece un'epica storia di amore e sesso fra adolescenti tutta giocata su un duetto tra Meat Loaf ed Ellen Foley (una delle muse vocali di Steinman), in cui la coppia ricorda il suo viaggio in auto verso un luogo appartato dove consumare il proprio incontro. Curiosità: nel mezzo del brano, spunta la voce di Phil Rizzuto, commentatore dei New York Yankees, a descrivere la situazione con una metafora sul baseball (!). Tra i due amanti però non finirà benissimo, a giudicare dai versi dell'epilogo: “If I got to spend another minute with you, I don't think that I can really survive”.
Bollato inizialmente dai critici come “artificioso”, “operistico” e “ridicolo”, “Bat Out Of Hell” godrà di una progressiva rivalutazione e di una clamorosa rinascita commerciale che lo porterà a vendere circa 34 milioni di copie in tutto il mondo. Ma qualcuno già all'epoca riconoscerà al temerario Steinman di essere “un compositore senza pari, semplicemente perché nessuno aveva mai fatto qualcosa di altrettanto epico”. Infatti trovatelo voi un altro le cui principali ispirazioni siano, insieme, Richard Wagner, Phil Spector e Bruce Springsteen! Anche se a proposito del ruolo del Boss nella sua musica, Steinman si sentirà di specificare: “Siamo influenzati da Springsteen, ma le nostre canzoni non hanno a che fare con la strada come le sue. Sono più una combinazione di West Side Story e Arancia meccanica” (!).
Altro giro, altro musical. Scritto da Jim Steinman con Michael Weller, prodotto da Joseph Papp e diretto da Kim Friedman, “More Than You Deserve” debuttò al Newman Theatre il 21 novembre 1973 andando in scena per 63 serate. Superati i problemi vocali, Meat Loaf, che di quel musical era uno dei protagonisti, ne rispolvera la possente title track per il suo secondo album, “Dead Ringer” (1981), in una versione leggermente diversa da quella interpretata all'epoca. Nonostante altri cinque nuovi brani composti per lui da Steinman, l'ineffabile Polpettone non bisserà, però, il successo dell'Lp d'esordio.
Jim Steinman – Rock And Roll Dreams Come True
Titolo profetico per uno Steinman in versione solista. Dopo aver ottenuto di apporre la scritta “Canzoni di Jim Steinman” su “Bat Out Of Hell”, “il Dr. Frankenstein che ha creato il personaggio di Meat Loaf” - come si autodefiniva ironicamente – perde provvisoriamente la sua creatura, alle prese con problemi vocali (e altri vari). Così decide di far uscire a suo nome – prima e unica volta in carriera – un album, “Bad For Good”, concepito inizialmente come il seguito di “Bat Out Of Hell” (intitolato “Renegade Angel”). Otto brani, tra i quali spicca questo appassionato inno al rock interpretato dal carneade canadese Rory Dodd, destinato poi a divenire un'icona steinmaniana (sì, è colui che canta i versi “turn around, bright eyes” in “Total Eclipse Of The Heart”!). Qui invece è alle prese con versi un po' tragicomici come “You're never alone, 'cause you can put on the 'phones and let the drummer tell your heart what to do”. Ma il pezzo è un discreto siluro che si proietterà fino al n.32 della Billboard Hot 100.
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Bonnie Tyler – Total Eclipse Of The Heart
Bonnie Tyler – Faster Than The Speed Of Night
Ed eccola, l'altra grande musa di Mr. Steinman: Gaynor Hopkins, alias Bonnie Tyler, la tigre del Galles, pronta a sbranare tutte le partiture più ridondanti composte per lei dall'amico americano. Quasi un alter ego femminile di Meat Loaf, anche per la potenza vocale e il timbro maestoso delle sue interpretazioni. Dotata di un'ugola impetuosa, graffiante e roca (anche per via di un'operazione alle corde vocali), Bonnie naviga tra qualche modesta hit e tanta faticosa gavetta, fino a quando sforna “It's A Heartache”, trascinante numero soft-rock che le vale lusinghieri accostamenti a Rod Stewart ma soprattutto il terzo posto nella classifica degli Stati Uniti. Ma dopo quella hit mondiale, la sua stella sembra nuovamente eclissarsi (ops!) fino all'incontro salvifico con l'uomo che le garantirà imperitura fama e diritti dorati da qui all'eternità: il nostro uomo. Jim Steinman le produce l'intero Lp “Faster Than The Speed Of Night” (1983) scrivendole due brani. Il primo è quello della vita: “Total Eclipse Of The Heart”. Steinman l'aveva pensato per Meat Loaf (e uno dei suoi passaggi appare già, in versione strumentale, nella colonna sonora del film del 1980 “A Small Circle Of Friends”), ma una banale disputa su diritti e compensi farà la fortuna di Bonnie: sarà lei ad aggiudicarselo e a farne una hit mondiale, oltre che un inno sempiterno dei karaoke di ogni angolo del globo. Eccessiva, melodrammatica, perfetta da cantare a squarciagola con i suoi cambi di tonalità, “Total Eclipse Of The Heart” è la power ballad per antonomasia con cui il duo Steinman-Tyler sfonda il muro del suono – e delle classifiche: n.1 su entrambe le sponde dell'Atlantico, 5 milioni di copie vendute. E pensare che all'inizio le radio non volevano mandarla in onda perché troppo lunga e complessa...
Più sostenuta e rockeggiante, la title track “Faster Than The Speed Of Night” è, fin dal titolo, un altro brano 100% steinmaniano, con i suoi cambi di tempo, le sue accelerazioni e la sua ineffabile pomposità, ben gestita dalle corde vocali d'acciaio della bionda Bonnie.
Air Supply - Making Love Out Of Nothing At All
Tra i grandi beneficiati della penna di Steinman, ci sono anche loro, i campioni australiani dello yacht rock. Sempre soft, ma con un nerbo rock inusitato per le abitudini del duo – Steinman volle farla suonare da due membri della E-Street Band di Springsteen (Roy Bittan alle tastiere e Max Weinberg alla batteria) oltre che dal chitarrista Rick Derringer (McCoys, Johnny Winter) - “Making Love Out Of Nothing At All” proietterà gli Air Supply al n.2 della Billboard Hot 100, ironia della sorte, proprio sotto "Total Eclipse Of The Heart", suggellando così una storica doppietta steinmaniana al vertice della classifica Usa.
Barry Manilow - Read 'Em And Weep
Chissà se vi fu una specie di sadico compiacimento da parte di Steinman nel vedere i cantanti più soft messi alla prova con i suoi acrobatici e fragorosi spartiti. Fatto sta che anche il buon vecchio Barry, il cotonato crooner che canticchiava ballad patinatissime (ma indiscutibilmente gradevoli) come “Copacabana” e “Mandy”, l’idolo delle radio Fm più felpate e rassicuranti (ricordate a Roma Tele Radio Stereo?) decise di cimentarsi con le temibili ascese operistiche e i muri di suoni spectoriani prediletti da Jim. La sua “Read 'Em And Weep” parte lenta e s'innalza in un tipico crescendo alla Steinman, con tanto di cori (al limite del kitsch) e trionfo orchestrale. Un'altra hit garantita (n.18 nella Billboard Hot 100) con Meat Loaf a mangiarsi le mani: era stato lui, infatti, il primo a inciderla, seppur in una versione leggermente diversa, nel suo sfortunato secondo album “Dead Ringer” (1981), ma all’epoca nessuno se la filò.
Barbra Streisand – Left In The Dark
Anche la lady di ferro newyorkese si fece sedurre dal magico mondo di Steinman. Anche se per una volta sola. Nel 1984, infatti, Barbra Streisand scelse di reinterpretare questo saggio di “rock wagneriano” contenuto nell'unico album da solista di Steinman “Bad For Good”, come primo singolo per il suo album “Emotion”. Con una intro percussiva di synth tratta da un altro brano prodotto dal genio neyorkese (“All Night Long” di Billy Squier) e una interpretazione suadente da power ballad, in cui la voce appassionata di Barbra narra le vicissitudini di una donna che scopre che il partner l'ha tradita. Sottotraccia, ma il marchio c'è, e si sente: anche solo nella linea melodica e negli inconfondibili cori a supporto.
Bonnie Tyler - Holding Out For A Hero
Anche la produzione per le colonne sonore cinematografiche riveste un ruolo importante nella carriera di Steinman. A beneficiarne, ancora una volta, la sua prediletta Bonnie Tyler, che piazzerà tra le sequenze cult della commedia musicale “Footlose” (1984) di Herbert Ross questo rutilante inno pop-rock, puntellato da martellanti pulsazioni di synth, svirgolate di piano, cori epici e rullanti a manetta. E Bonnie naturalmente non tradisce, con un’altra interpretazione a squarciagola delle sue, che riproporrà nella versione contenuta nel suo Lp “Secret Dreams And Forbidden Fire” del 1986.
Fire Inc. - Nowhere Fast
Fire Inc. - Tonight Is What It Means To Be YoungLa vetta assoluta della produzione di Steinman per il cinema è rappresentata però dalla doppietta sfornata per “Streets Of Fire” di Walter Hill, il regista de “I guerrieri della notte”, “I guerrieri della palude silenziosa” e tante altre pellicole del periodo. Un fumettone urbano rock’n’roll in bilico tra anni 50 (le insegne al neon, le motociclette, i giubbotti di pelle) e anni 80 (la storia d'amore sospesa tra violenza e romanticismo, le immagini patinate, il montaggio da videoclip). Protagonista la splendida Diane Lane, pupilla di Francis Ford Coppola, nei panni della cantante rock Ellen Aim. E nel film sono proprio Ellen Aim and the Attackers a esibirsi in questi due brani torrenziali e steinmaniani fino al midollo, entrambi accreditati ai Fire Inc., fantomatico gruppo messo insieme dal produttore Jimmy Jovine, con le voci di Laurie Sargent e Holly Sherwood a forgiare quella della protagonista del film.
“Nowhere Fast” è il brano che Ellen Aim canta poco prima di essere rocambolescamente rapita dal palco da una banda di motociclisti: una sincopata pièce da rock opera, scandita dal piano e da un chorus beffardo, nel tipico stile del suo autore: “You and me we're going nowhere slowly/ And we've got to get away from the past/ There's nothing wrong with going nowhere, baby/ But we should be going nowhere fast”. Insomma, se proprio non si deve andare da nessuna parte, meglio andarci velocemente… Il solito Meat Loaf non si farà sfuggire neanche questo adrenalinico rock’n’roll riproponendolo in una sua versione tra i solchi di “Bad Attitude” (1984).
Ma il vero capolavoro di “Streets Of Fire” è il tema finale “Tonight Is What It Means To Be Young”, uno dei brani di cui Steinman era più orgoglioso, pur avendolo scritto in soli due giorni (ma i genii si vedono anche da questo). Un pezzo semplicemente grandioso, costruito come una sorta di suite rock: intro solenne piano-voce, melodia epica, irruzione violenta del drumming e crescendo mozzafiato alla “Total Eclipse Of The Heart”, in un tripudio fragoroso di chitarre, cori e intrecci vocali, con Laurie Sargent e Holly Sherwood a fare il lavoro sporco dietro le quinte e Diane Lane a far innamorare tutti sul palco. Con tanti ringraziamenti a Bruce Springsteen che si rifiutò di concedere al film la sua “Streets Of Fire”, spingendo Steinman a cercare di emularlo (e superarlo) proprio con questa “Tonight Is What It Means To Be Young”.
Bonnie Tyler - Ravishing
Bonnie Tyler - Loving You's A Dirty Job But Somebody's Got To Do It
Bonnie Tyler - Rebel Without A Clue
Ma se i Fire Inc. erano fittizi, Bonnie Tyler è più concreta che mai: afferra il suo microfono e non si lascia sfuggire l’occasione di interpretare altri tre brani scritti per lei dal suo mentore americano, all’interno del suo sesto Lp “Secret Dreams And Forbidden Fire” (1986). Il ruggito bluesy di Bonnie rinvigorisce la pomposità barocca dell’iniziale “Ravishing”, tra solito piano ritmico, melodie trionfali, chitarre affilate e cori d’ordinanza. Per "Loving You's A Dirty Job But Somebody's Gotta Do It" torna un vecchio compare di Jim, Todd Rundgren, chiamato a un duetto con Tyler costruito attorno a un’altra delle sue magnificenti progressioni melodiche, che danza sempre pericolosamente in bilico tra stucchevolezza e creatività (ma ancora una volta, è proprio l’eccesso a salvarla).
Infine, a chiudere in bellezza il trittico, gli oltre otto minuti della struggente “Rebel Without A Clue”, dove il fantasma di Ellen Aim si ridesta nell’intro cadenzata al pianoforte prima che Bonnie si prenda tutta la scena facendo troneggiare la sua ugola lungo impervi sentieri melodici, al centro dell’ennesimo scenario epico tra rullate, cori e rocamboleschi assoli di chitarra e di piano. Avete presente la filosofia del Less is more? Ecco, l’opposto. Come scrive David Hiltbrand su People, “Tyler canta solo in lettere maiuscole e Steinman produce solo a un ritmo al galoppo”. Prendere o lasciare. E noi prendiamo senza remore (ma magari non il resto dell’album, quello sì piuttosto indigesto).
Sisters Of Mercy - This Corrosion
Sisters Of Mercy - Dominion/Mother Russia
Sisters Of Mercy - MoreEd ecco una delle collaborazioni più spiazzanti, capace di mettere in crisi anche i detrattori dell’ampollosità steinmaniana. Cosa c’è di più distante da quell’universo di una band post-punk? Forse molte altre cose, in effetti, considerato che in quel calderone c’è stato anche chi ha saputo flirtare abilmente con epicità e melodramma. Come Andrew Eldritch e i suoi Sisters Of Mercy, icone dark che per il loro secondo Lp invitano “il Wagner del rock” a produrre due brani. “Ho chiamato Steinman e gli ho spiegato che volevamo un disco party organizzato dai Borgia. E lui l’ha evocato”, racconterà Eldritch. Ecco allora la pomposità garantita nei quasi 11 minuti della smodata “This Corrosion” – “è effettivamente ridicola, ma è pensata per esserlo”, spiegherà Eldritch - con un coro di 40 elementi a suggellare il climax di questo inquietante sound elettronico, propulso da synth gelidi e portato in gloria dai vocalizzi corrosivi del cantante e della goth girl Patricia Morrison, per una grandiosa negazione di quella spoglia sobrietà punk da cui la band inglese aveva preso le mosse. Quindi, l'altra apoteosi gothic di “Dominion/Mother Russia”, sempre con vocals della New York Choral Society, in cui l'elettronica si fa ancor più cupa e sintetica, ma pervasa sempre da una violenza selvaggia di fondo, con un battito incalzante scandito dal drumming e del basso ad assecondare le chitarre magnetiche e il contrasto tra la voce profonda di Eldritch e quella più morbida della Morrison; perfetto l'avvicendarsi dei due episodi del medley: più esplosivo il primo, più lento e sincopato il secondo.
I Sisters Of Mercy richiameranno Steinman a bordo anche per il successivo album “Vision Thing” (1990) incaricandolo di scrivere e produrre un nuovo tour de force come “More,” che fonde il sinistro baritono di Eldritch con robuste chitarre metalliche e cori minacciosi in un energico inno camp sul piacere dell’eccesso che si spegne tra rintocchi di piano e sparuti violini. “Lui sa davvero come fare un disco meravigliosamente ridicolo e assolutamente oltraggioso - dirà Eldritch di Steinman - Ogni volta che ti chiedi ‘vogliamo davvero andare così lontano?’, e dici a Jim ‘sei sicuro di questo?’ - e chiunque altro dirà di non farlo - Jim invece ti dice, 'Di più! Di più! Più gente che canta!’. E funziona”.
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Pandora’s Box – Original Sin (The Natives Are Restless Tonight)
Pandora’s Box – Safe Sex
Pandora’s Box – Good Girls Go To Heaven (Bad Girls Go Everywhere)
C’è chi lo considera – con qualche buona ragione - il suo vero capolavoro. Temerario, titanico, broadwayano. Un concept-album “maledetto” sul tema del peccato, destinato per sua stessa natura al fallimento commerciale. “Original Sin” (1989), attribuito ai fantomatici Pandora's Box, è l’album che porta alle estreme conseguenze il gusto barocco e sinfonico di Steinman, circondato per l’occasione da un’orchestra formata da una pattuglia di cantanti femminili (Elaine Caswell, Ellen Foley, Gina Taylor più la mitologica - e probabilmente inesistente - Deliria Wilde, con speciali performance di Holly Sherwood e Laura Theodore) e dalla consueta muraglia di tastiere elettroniche (coordinate da Jeff Bova), più Roy Bittan al grand piano, Jim Bralower al drumming, Eddie Martinez alla chitarra elettrica e Steve Buslowe al basso. Un ensemble spettacolare che trova subito la sua apoteosi nella commovente title track d’apertura: sei minuti e mezzo di trionfale estasi orchestrale, tutti giocati sul contrappunto tra le folgoranti voci femminili – soliste e in coro – intente a declamare la sontuosa melodia principale e la scansione ritmica indiavolata di tastiere, piano e percussioni, in una galoppata mozzafiato che oscilla tra rock opera, gospel e musical broadwayano. Steinman pennella un’ideale colonna sonora di un’umanità disperatamente sospesa tra dannazione e redenzione, con sullo sfondo i flagelli tragicamente attuali delle droghe e dell’Aids.
La debordante voce da soprano di Gina Taylor, invece, svetta incontrastata sull’altro melodramma di “Safe Sex” intonando a squarciagola il ritornello-slogan “And there's no such thing as safe sex when it comes to loving you” su un tripudio di tastiere, chitarre e cori imponenti che si smorza in un carillon fatato nel finale. Più vicina al registro rauco e bluesy di Bonnie Tyler, invece, l’interpretazione dell’altra tigre Holly Sherwood (sarà lei Deliria?) che con il suo timbro selvaggio porta in gloria il brano più vicino a un classico formato canzone rock’n’roll, “Good Girls Go To Heaven (Bad Girls Go Everywhere)”: una martellante invettiva che nasconde – fin dal titolo – una gustosa vena sarcastica. Un tris di brani in rappresentanza di un Lp monumentale e smodatamente ambizioso, in bilico tra Beethoven e Broadway, che merita un ascolto attento e approfondito. Sarà un mezzo flop – come si diceva – ma molte delle sue canzoni diventeranno disco di platino nelle interpretazioni di altri artisti, a conferma della sua ineccepibile qualità.
Céline Dion - It's All Coming Back To Me Now
A proposito dei brani dei Pandora’s Box diventati hit mondiali. Il caso più clamoroso è proprio quello di “It's All Coming Back To Me Now”, che se nella ruggente interpretazione di Elaine Caswell contenuta su “Original Sin” era passata inosservata, in quella inevitabilmente più patinata di Céline Dion scalerà le classifiche issandosi al n.2 della Billboard Hot 100 per cinque settimane. Si narra che la povera Elaine (nota come la partner di Joe Jackson nel duetto di “Happy Ending”) ci resterà di stucco, trattenendo a stento le lacrime. Buon per Steinman, in ogni caso, che si vedrà risarciti – non solo moralmente – gli insuccessi del suo progetto con questo brano ispiratogli da “Wuthering Heights” di Emily Brontë, in cui tentò di scrivere “la canzone più appassionata e romantica” che avrebbe mai potuto creare. Anche questo brano sarà teatro di uno scontro con il solito Meat Loaf, bramoso di registrarlo da anni. Steinman, però, fu irremovibile: la vedeva come una "canzone da donna" e arrivò perfino a promuovere un’azione giudiziaria per impedire al suo storico sodale di inciderla (il quale però non demorderà e riuscirà finalmente a pubblicarla in duetto con Marion Raven in “Bat III” e come singolo nel 2006).
Non sarà forse il capolavoro del compositore newyorkese, ma per Andrew Lloyd Webber è “la più grande canzone d'amore mai scritta”.
Boyzone – No Matter What
Tra gli eccessi di Steinman, come si diceva, c’è anche l’estrema eterogeneità delle sue collaborazioni che lo poteva portare a passare dai Sisters of Mercy a una boy-band nell’arco di pochi anni. Ne approfittarono così anche i famigerati Boyzone, emuli irlandesi dei Take That, che ripescarono questa “No Matter What” scritta da Steinman con Andrew Lloyd Webber per il musical del 1996 “Whistle Down The Wind”. La cover del 1998 della boy-band dublinese raggiunse la vetta della classifica britannica, facendone la prima formazione con dodici singoli consecutivi nella top 5 del Regno Unito e proiettandola al successo per la prima volta anche negli Stati Uniti. Un numero pop caramelloso che abbiamo inserito più che altro per dovere di cronaca e che non sembra quasi possedere le stimmate steinmaniane. Cionondimeno, neanche questo si lascerà sfuggire l’avidissimo Meat Loaf, che lo reinterpreterà a modo suo all'interno della raccolta “The Very Best Of Meat Loaf”.
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Meat Loaf - I'd Do Anything For Love (But I Won’t Do That)
Meat Loaf - A Kiss Is A Terrible Thing To Waste
Meat Loaf - The Future Ain't What It Used To Be
Già, ma che combinava nel frattempo il vecchio sodale-rivale del Wagner del rock? Non molto, in realtà. La carriera di Meat Loaf, decollata con l’American graffiti in versione opera rock di “Bat Out Of Hell” (1977), ha rischiato di finire precocemente tra eccessi, droghe e crolli vocali. In più, la cattiva gestione del suo patrimonio, unita a ben 45 cause legali - comprese quelle di Steinman - per un totale di 80 milioni di dollari bruciati, lo portò a dichiarare bancarotta personale nel 1983. La lenta risalita avverrà soprattutto nel Regno Unito, assistita sempre – più o meno volontariamente – dalla mano amica di Steinman, in uno stranissimo rapporto fatto di amore e rancore reciproci (leggenda vuole che una volta il cantante abbia addirittura tirato addosso al suo mentore un pianoforte a mezza coda!). Tra Grammy, bestseller, tour e cadute fragorose, il buon Polpettone resterà comunque un’icona del rock operistico. Per chiudere il capitolo a lui dedicato, abbiamo scelto tre canzoni classicamente steinmaniane interpretate nella seconda parte della sua carriera.
La prima è una delle massime hit del cantante texano, “I'd Do Anything For Love (But I Won’t Do That)”, cucita su misura per lui da Steinman e pubblicata come primo singolo estratto dall'album “Bat Out Of Hell II: Back Into Hell” nel 1993. Titolo ironico, per una trionfante rock opera di ben 12 minuti, in cui un'ode passionale all'amore si sposa a un'affilata vena sarcastica. In quei giorni Meat Loaf non se la passava benissimo e la stessa amicizia con Steinman si stava logorando: ma quel giorno di Natale 1989 trascorso suonando insieme servì ai due ad appianare le divergenze e a gettare le basi per il rilancio, passato soprattutto attraverso questo brano debordante ed evocativo, in cui il cantante elenca tutti i motivi per i quali sarebbe un partner perfetto. Non sedurrà però gli inflessibili critici di New Musical Express che gli appiopperanno il “Nme Award al peggior singolo”.
Cinque anni dopo, Meat Loaf ci riprova con “A Kiss Is A Terrible Thing To Waste”, canzone dalla tribolata gestazione e dalla (nobile) doppia firma: Andrew Lloyd Webber e Jim Steinman. Risale infatti a un altro musical, “Whistle Down The Wind”, portato in scena a Washington, D.C. nel 1996 dall'autore di “Jesus Christ Superstar” con testi a cura del compositore newyorkese. Il buon Marvin la rispolvera nel 1998 come singolo, con un'altra interpretazione turgida e veemente delle sue.
A chiudere il trittico, “The Future Ain't What It Used To Be”, altro “polpettone” steinmaniano risalente ai tempi dei Pandora's Box. Meat Loaf lo reincide in duetto con la cantante norvegese Jennifer Hudson all'interno del terzo capitolo della saga dei pipistrelli, “Bat Out Of Hell III: The Monster Is Loose” (2006), che costerà però l’ennesima, dolorosa disputa legale ai due amici, con Steinman che, ritenendosi detentore del “marchio” "Bat Out Of Hell", tenterà (invano) di impedire di utilizzarlo nell’album.
Ma anche questo screzio non riuscirà a incrinare l'amicizia di una vita: alla morte di Steinman, il 19 aprile 2021, un commosso Meat Loaf lo ricorderà così: “A lui devo tutto. Noi non solo eravamo amici, noi eravamo l'uno per l'altro”. Solo un anno dopo, il 20 gennaio 2022, anche il buon Marvin ci lascerà. E ora ce li immaginiamo insieme, su una nuvoletta celeste, a intonare diavolerie operistiche e power ballad assordanti per infastidire i (pochi) critici a cui è concesso il Regno dei Cieli.
Original German Cast of Tanz der Vampire - Wenn Liebe in dir Ist
Original German Cast of Tanz der Vampire – Ewigkeit
La vena gotica emersa nella collaborazione con i Sisters of Mercy non era in realtà così sorprendente per Steinman, che ebbe modo di rinnovarla più volte in carriera. A partire da questo lugubre musical scritto da Michael Kunze e diretto da Roman Polanski, basato sul film del 1967 “Per favore, non mordermi sul collo!” diretto dello stesso Polanski e sceneggiato da Gérard Brach. Steinman ne firma le musiche, rielaborandole in gran parte da sue precedenti composizioni e facendole arrangiare a Steve Margoshes. Così ad esempio l'adattamento di “Total Eclipse Of The Heart” funge da tema ricorrente sotto il titolo di “Totale Finsternis” (con un nuovo testo di Michael Kunze): “L’avevo effettivamente concepita come canzone d’amore vampiresco – spiegherà Steinman - infatti il titolo originale era Vampires of Love, doveva finire in un musical su Nosferatu, lo si capisce dal testo: parla del potere dell’oscurità e del posto che lì trova l’amore”. Il finale trionfale di “Der Tanz der Vampire”, invece, riprende la gloriosa cavalcata di “Tonight Is What It Means To Be Young”. Noi però abbiamo scelto due gemme semi-inedite: la melodiosa “Wenn Liebe in dir Ist” attinge addirittura da una canzone del primo Bowie, “Little Bombardier” (1967); la più minacciosa “Ewigkeit” – con coro, andamento marziale e clima straniante da cabaret – trova invece origine in un altro musical di Steinman, “Neverland”, e sarà anch’essa fagocitata dall’insaziabile Meat Loaf in “Great Boleros Of Fire (Live Intro)” nell'album “Bat Out Of Hell - 25th Anniversary Edition”.
AA.VV. – Bat Out Of Hell (The Musical)
Terminiamo laddove tutto era iniziato, con “Bat Out Of Hell”, stavolta in versione musical: la degna chiusura del cerchio per questa marcia trionfale steinmaniana in 30 brani. La rock opera in miniatura (si fa per dire: quasi dieci minuti) della title track risuona nei teatri dal 2016 con un assortito cast a intonare l’enfatico inno del disco che portò in gloria il travagliato sodalizio Jim Steinman-Meat Loaf. Tornato in scena anche nel 2023, al Peacock Theatre di Londra, il musical “Bat Out Of Hell” racconta le vicende di due giovani amanti di gruppi rivali in un mondo post-apocalittico. E che cosa c’è di più intimamente steinmaniano di una storia del genere, condita dalle sue sinfonie rock’n’roll?
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