Zach Bryan è al terzo album consecutivo distribuito dalla Warner, ma mantiene ancora pieno controllo sulla propria musica. Ufficialmente, infatti, il disco appartiene alla sua Belting Bronco, dapprima semplicemente la sigla tramite cui ha reso pubblici i primi due album, ma ormai una vera e propria etichetta che ha iniziato a scritturare cantanti country indipendenti: la Warner si prende la briga, invero piuttosto remunerativa, di pubblicizzarlo e sostenerlo finanziariamente, ma non ha voce in capitolo a livello artistico. Questo spiega come mai anche questo quinto album suoni distante dal country più radiofonico.
Va certo notato come, a forza di voler salvare il country da un'eccessiva commercializzazione, che all'alba degli anni 2010 non lasciava in effetti presagire molto di buono, si è finiti a poter vantare una notevole schiera di artisti che si oppone a quella deriva, già citati più di una volta sulle pagine di OndaRock, ma repetita iuvant: Turnpike Troubadours, Chris Stapleton, Sturgill Simpson, Tyler Childers, Charley Crockett. Alcuni di questi con un successo di pubblico pari a quello della sponda più corriva.
All'elenco si aggiunge ormai a pieno titolo Zach Bryan, che nell'ultimo anno si è rivelato uno dei più importanti fenomeni dell'industria musicale statunitense e che nel momento in cui questa recensione viene pubblicata vanta tre album fra i primi quindici posti della classifica di Billboard.
I sopraccitati Turnpike Troubadours e Tyler Childers sono peraltro anche i dichiarati numi tutelari di Bryan: alle voci in Rete che lo accusavano di copiare gli artisti in questione, ha risposto di prenderlo come un complimento, dal momento che si tratta di due dei tre nomi a cui si ispira maggiormente; il terzo è Jason Isbell, artista importante che confina con l'universo country, ma che è più corretto etichettare come folk.
Sono due gli elementi della musica di Bryan che hanno fatto presa presso il grande pubblico: il primo è la già citata integrità artistica, il secondo sono i testi, che cantano di vita vissuta, difficoltà nello sbarcare il lunario, duro lavoro, lutti familiari, delusioni amorose e atmosfere di provincia (l'artista è originario di Oologah, cittadina di 1.300 abitanti situata nei pressi dell'altopiano d'Ozark, in Oklahoma), rifuggendo però il campanilismo, il sessismo e l'aperto conservatorismo che caratterizzano attualmente parte del country commerciale.
La sua posizione, per quanto come chiunque non ami essere costretto a dichiarazioni al riguardo, è del resto chiara: agli inni nazionalisti - con più di un sottinteso ora razzista, ora complottista - dei suoi colleghi Oliver Anthony, Jason Aldean e Aaron Lewis, Bryan contrappone, ancor prima che i propri brani, le proprie azioni, difendendo per esempio l'attivista trans Dylan Mulvaney dagli attacchi di un'ala della comunità country [nota], oppure invitando l'icona progressista Bruce Springsteen nel suo nuovo album (ma anche i suoi idoli Childers e Isbell appartengono a quello schieramento politico).
Questo nuovo album è forse il migliore realizzato da Bryan fino a questo momento, per quanto sia imperfetto a causa di una serie di difetti che ormai potrebbero definirsi endemici della sua proposta. Il disco è anzitutto troppo lungo, con ben diciannove canzoni: se fosse giunto dopo anni di silenzio sarebbe anche stato comprensibile, ma considerando che il precedente "Zach Bryan" è uscito meno di un anno fa e che solo nel 2022 "American Heartbreak" conteneva la bellezza di trentaquattro tracce, appare evidente come l'artista tenda a pubblicare qualsiasi cosa registri, senza operare una selezione accurata.
D'altro canto, questa mancanza di controllo da parte dei discografici rappresenta il motivo per cui la sua musica riesce ancora a risultare indipendente e scevra dai meccanismi di settore che hanno sterilizzato il contemporary country.
Un altro problema è che gran parte della scaletta è composta da ballate: ci sono troppi lenti cantati con lo stesso approccio ritmico e melodico. Non è un problema per i fan di Bryan, che si concentrano sui suoi testi, ma potrebbe diventarlo per chi cercasse un approccio più variegato alla materia.
Musicalmente parlando, la sua proposta rientra nella scena red dirt, una nicchia della musica country indipendente sviluppatasi fra l'Oklahoma e le aree immediatamente confinanti, i cui artisti guardano al country progressivo (con la stagione outlaw in primo piano), al neotradizionalismo, al country rock e a quel calderone della musica folk indicato come Americana.
"The Great American Bar Scene" conferma quanto sopra, e a dispetto dei problemi descritti, risulta forse la sua miglior prova fino a oggi, in particolare grazie ai momenti in cui l'andamento accelera o viene in qualche modo alterato.
Avviene in "American Nights", ibrido fra la red dirt dei già citati Turnpike Troubadours e l'heartland rock di Tom Petty, in "Oak Island", cavalcata con spettrali frasi di tromba e chitarra elettrica dal suono saturo, e in "Sandpaper", il brano con Springsteen, che ricorda il battito della sua "I'm On Fire" (a sua volta mutuato dalla fase rockabilly di Johnny Cash, in una sorta di chiusura del cerchio che riporta il tutto all'interno dell'universo country).
Ovviamente, anche alcuni lenti meritano attenzione, in particolare "Lucky Enough (Poem)", declamazione poetica sulla vita da artista itinerante, e "Purple Gas", duetto con Noeline Hofmann (misconosciuta cantautrice canadese scritturata dalla Belting Bronco), che nel passaggio fra 2'08" e 2'17" cita la melodia del classico "Louisiana Woman, Mississippi Man" (1973), anche quella in duetto fra uomo e donna – nello specifico, Conway Twitty e Loretta Lynn.
Anche se altrove le soluzioni risultano fuori fuoco (non era forse necessario inserire ben due lenti che ricordano "Heaven" di Bryan Adams, ossia "The Way Back", in cui Adams viene citato come coautore, e "Bass Boat"), l'album conferma la volontà di un artista che non è disposto a piegarsi ai diktat di mercato e soprattutto lascia intravedere ulteriori margini di miglioramento.
[nota] Non per questo la si vuole descrivere interamente come conservatrice: nomi storici come Willie Nelson e Garth Brooks sono da molto tempo, e ultimamente in maniera sempre più esposta, sostenitori della comunità arcobaleno.
21/07/2024