Dieci Piccoli Italiani

Dieci Piccoli Italiani - N. 123 - Novembre 2021

di AA.VV.

01_carveCARVER - L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA (Tataki, 2021)
post-electro

Il rinnovamento del suono Carver insito ne “L’altra faccia della luna” è pressoché totale. Il duo milanese anzitutto asciuga la cornucopia di idee a getto un po’ troppo casuale, accorciandola in durata e soprattutto limitandola a un paesaggio sonoro astratto comunque variegato in tono e forma. La rende infine meno riconoscibile, meno afferente ai generi. Non ultimo la parte vocale: il declamato monologante spoken, che ai loro inizi non era contemplato che come eventuale corredo, ora balza a pieno protagonista, a officiante persino. “E venne il giorno” comincia questo breve ciclo poetico post-Massimo Volume con una soundscape truculenta di tremori, note dissonanti horror e “uh!” di ominidi. Mentre la voce continua a descrivere situazioni angosciose al termine della notte, il corredo sonico può depotenziarsi fino a un puro vuoto di rimbombo prolungato (“Testa alta”), a un ciclico basso funk (“Brianza”), a un tamburellare subsonico (“La Martesana pt. 1”) che si alza appena a snervante ribattere metronomico (“La Martesana pt. 2”). Scorie industriali percolano via via tra la post-synthwave della dedica dialogica di “Ciao Vito”, e un po’ di luce, ma malaticcia, si propaga dalla dilatata litania chitarristica alla Eluvium di “New South Wales”, prima dell’allucinazione terminale, “La fine di tutto”. Svettante, in questo breve saggio di tensione non-musicale al limite del podcast, è la maestria di entrambi: da un lato una tecnica fatta anche di poverismo e suoni trovati, dall’altro una recitazione a mezza voce, un bisbiglio anche tagliuzzato stereofonicamente. Marco M. Colombo, narratore (ex Motel 20099), e Matteo Cantaluppi (ex Broken), scenografo sonico, ricostituiscono la sigla Carver a sette anni dal primo tentacolare omonimo (2014) come naturale esito della sonorizzazione di “Di ferro e cuoio” (2020), primo libro di Colombo, e del progetto d’avanguardia PCM, per tramutare in Suicide inscialbiti, implosi. Sulle storie raccontate ci sarebbe da discutere, ma per fortuna non c’è solo l’usuale fascino automatico del maudit di periferia (Michele Saran6,5/10)


02_tanc_600TANCA - WORDS OF DOGTOWN (Peermusic Italy, 2021)
alt-rap

Oltre a Giumo nel collettivo milanese Klen Sheet si distingue anche Stefano “Tanca” Tancredi con il proprio esordio “Words Of Dogtown”. L’anthem drum’n’bass di foga Cypress Hill “Dogtown” ipersincopato e distorto, fa subito il vuoto. “Fino a qui” e “Charlize Theron” ripartono da un placido soul-hop digitale fondato su un flow ben cadenzato, “Moka” regola le lancette sulla trap dandone una versione appena più industrial, e “Brbcue” e “Scenario” agghindano il gangsta-rap con stilemi allucinogeni. Vi è comunque ancora spazio per ritrovare parte della forza di “Dogtown”, nel noise tragico e travolgente di “La Famille”, e poi nella scarica hard-rock neurotica di “Un secondo”. Parecchi ospiti - Ngawa, Deepho, Maggio, i tre Mendoza, lo stesso Giumo però deludente alla produzione, responsabile dei momenti flaccidi - danno un’idea di un disco ben più corale, composito, che solista. Tutto da ascrivere al Tanca, animatore al calor bianco, è comunque il collante d’isteria aggressiva, quando non d’assalto, che a suo modo armonizza hardcore e softcore, screziature elettroniche e schitarrate elettriche. Nel suo afflato succinto è forse il più dirompente tra i progetti italici concepiti nel primo lockdown. Da vedere anche il cortometraggio omonimo diretto da Vittoria Elena Simone (Michele Saran6,5/10)


03_federicoca_600FEDERICO CALCAGNO - PIRANHA (Habitable, 2021)
avant-jazz

Federico Calcagno, clarinettista milanese (ora trapiantato in quel di Amsterdam), continua a perseguire le sue contaminazioni jazzistiche in “Piranha”, peraltro varo di un nuovo progetto espandibile pur momentaneamente supportato solo da Filippo Rinaldo (piano) e Stefano Grasso (batteria). Il leader si distingue, prima ancora per le performance al suo strumento, per i due piccoli schizzi d’avanguardia in apertura a “One Way” e “Psy War”, nella prima un bozzetto elettroacustico da cui germinano quasi schizofrenicamente un’improvvisazione scattante dall’essenziale flusso Coltrane-iano e un trio atonale da camera, nella seconda un live electronics che introduce uno sfumato duello di assoli (nevrotico e instabile del clarinetto, una calma da thriller quello del piano). A questi brani cardine vanno aggiunti “La città deserta”, certamente didascalica nel suo ispirarsi al panorama spettrale del lockdownma pure dotata di una certa fibra espressionista primo-novecentesca, e la fatata, fiabesca girandola minimalista di “Rite Of Strings”. Seguito di due esperienze di gruppo, “From Another Planet” (2019) in nonetto con i Dolphians, per metà cover di Eric Dolphy, e “Liquid Identities” (2020) a nome Liquid Identities, in quintetto, il suo primo di componimenti originali, e soprattutto di quella solista per “Urlo d’ebano” (2021), per clarinetto sovrainciso, suo vero acuto giovanile ammantato di serialismo e Dixieland, oltre alla partecipazione all’Archipélagos di Francesca Remigi. Dal punto di vista della composizione è finora il più suo democratico; al suo pugno, superiore e ambizioso, fa affiancare sia Grasso (sua anche un’elastica “When My Brain Exploded”) che le più deboli di Rinaldo (“Bricks”). Come esecuzione e interplay d’improvvisazione eccelle spesso e volentieri. Rinaldo suona anche l’Octatrack, campionatore che manovra come un sintetizzatore, e Grasso, oltre alla sua batteria più rock che jazz, anche un sibillino vibrafono. Copertina: Leonardo Falascone (Michele Saran6,5/10)


04_moonmiMOONMINE - MY REVOLUTION (autoprod., 2021)
lo-fi, indie-pop

Lorenzo Ciavola, in arte Moonmine, è un cantautore e musicista marchigiano, da diversi anni trasferitosi a Latina. Da sempre orgogliosamente indipendente, negli ultimi due anni ha impresso un determinante impulso al proprio percorso solista, centellinando senza sosta nuovi singoli. Il secondo Ep concepito nelle vesti di one-man band, “My Revolution”, contiene quattro tracce davvero singolari, figlie di un cantautorato “obliquo” influenzato dall’eterogeneità dei suoi ascolti. Una centrifuga di idee in grado di definire una personalità artistica ancora in fase di maturazione ma già dotata di un’identità e di una cifra stilistica creative e originali, prive di qualsiasi compromesso. Se i testi risultano impregnati di disagio, angosce e contraddizioni, dal punto di vista musicale “My Revolution” si caratterizza per continui cambi di registro e improvvisi “twist” che rendono lo svolgimento assolutamente imprevedibile. Se il blues slabbrato di “Karma (Hate Love pt. 2)” è arricchito da un ricchissimo campionario di suoni e strumentini assortiti, sono gli intrecci vocali e una tastiera spettrale a dominare l’essenziale minimalismo domestico di “Leaves”. Se è il ritmo a prendersi la scena fra le rotondità pop lo-fi di “My Revolution (A Fool)”, la conclusiva “I Don’t Care” si impone come morbida ballad a tinte folk, costruita su un semplice ma efficace giro di chitarra acustica (Claudio Lancia6,5/10)


05_circololeCIRCOLO LEHMANN - IL RE DELLE LEPRI (Libellula, 2021)
alt-rock

Per raccontare la fuoriuscita dalla società civile verso la natura selvaggia di un quarantenne insoddisfatto, i torinesi Ghego Zola, Lorenzo e Umberto Serra, Pax Caterisano e il fido Marco Magnone, in arte Circolo Lehmann, confezionano “Il re delle lepri” all’insegna di un eclettismo didascalico. La presentazione è affidata a un ameno stornello da cantastorie e saltimbanchi, “Sempre più grande”. Scatta poi, per esprimere l’introspezione, il formato della ballata crepuscolare con qualche armatura ballabile: “Sole di febbraio”, “Uno di noi deve essere sbagliato” che - più che il Dylan del titolo - richiama la “4 marzo 1943” di Dalla, e una più essenziale e sognante “Venezia non è”. Questo trittico si ritrova, espanso, nella lunga eponima “Il re delle lepri”, nove minuti, una piccola suite che incrocia Pfm e Battisti per rappresentare il momento della liberazione (con una piccola appendice country-folk paradossalmente pure più intensa, “Sentimento del tempo”). Il travaglio del protagonista viene invece reso da incursioni stilistiche sperimentali al limite del fuori contesto, come la danza techno in levare di “Le identità degli altri”, ma dissonante e trascinante, la post-samba elettronica di “Storie di un giorno” e il rock industriale di protesta con scampoli di sax “free” in “Mangia tutto”. I momenti più facili potevano andare tranquillamente decurtati (tra cui “Inno nazionale”, un tentativo fallito di hit alla Gaetano). A un lustro dal precedente “Dove nascono le balene” (2016) e una decade dalla fondazione, un concept-story ispirato dall’omonimo racconto dell’argentino F. Falco tratto da “Silvi e la notte oscura” (2018) e anticipato dallo spettacolo “Songs Of Leonard Cohen” (2021) col conterraneo trio d’archi Gli Archimedi. Tende al colossale (dura quasi un’ora) e all’eccessivo (il rinomato Andrea Bergesio, produzione, non fa sconti) ma è, nell’ordine, una benedizione di fascino retrò con tutti i suoi tempi maestosi e i gli esiti drammatici pur forse non così legati; quasi un disco solista di uno Zola che tralascia di ritornellare in favore della libera digressione; una felice conferma dell’ispirazione solida, para-letteraria della sigla. Anche, volendo, un’aggiunta ai richiami geo-ambientalisti e post-umani dell’immaginario d’inizio anni 20 (Michele Saran6,5/10)


06_pietroberPIETRO BERSELLI - EVIDENTEMENTE NO (Dischi Sotterranei, 2021)
songwriter

Dopo quasi cinque anni di silenzio il bresciano-patavino Pietro Berselli ritorna con “Evidentemente no”, un diario delle recenti impressioni di vita in cui mette a segno più di qualcosa, anzitutto l’acuminata ballata crepuscolare d’impeto shoegaze di “Spettatore”, quindi l’eponima novelty ballabile e l’ancor più ariosa ed elettronica “Lontano”, la tremolante patetica dedica sentimentale pianistica di “Sul fiume”, l’ambiziosa “I re degli anni 80” (un imponente crescendo techno-pop), il refrain barocco in “Grandi sistemi” e un buon finale, la pseudo-salmodia distorta di “Cade dal cielo”. A parte la fattura vecchiotta e poetizzante delle canzoni (qualche eccesso britpop, vedi “Nord Europa”) e fin tanto che ci si limita al nuovo suono - rivoluzionato dal tuttofare Martino Cuman rispetto al precedente “Orfeo” (2017) -, è un ciclo scattante e consumabile, a volte pure potente nei suoi grumi sperimentali (campioni vocali, giochi elettronici). Bravetti Edoardo Della Bitta (chitarra) e Roberto Obici (batteria) a corredo (Michele Saran6/10)


07_basilis_600_03BASILISCO - = (Hysm?, 2021)
electroacoustic

Il secondo progetto (il primo è Garage Boy) al di fuori dei Bread Pitt, di cui è bassista, per Vito Basile (Altamura, Puglia) prende il nome di Basilisco, inaugurato da un “=” composto per elettronica, nastri e basso elettrico. “Fake Authenticity” comprime una serie di variazioni in velocità (echi, distorsioni, campioni) di un’anonima cellula elettronica. La distorsione vitrea di “Hybrid Man” si prolunga e sviluppa in “Glass Room” secondo pronunciatissimi riverberi elettronici di percussioni povere. “Piss Factor” è una sonata Fred Frith-iana per armonie industriali. La chiusa, “Yellow Finger Post-Death” è una sfida tra un trambusto di battiti metallurgici alla rinfusa e un inquieto bordone stridente che un po’ li contrasta e un po’ li scimmiotta. Meno felici sono le idee che impiegano il suo basso o una parvenza di ritmo: “Eternal Golden Trail”, un incompiuto ibrido tra Tangerine Dream e Black Dice, “Invisible Body”, fusione di canti sub-umani e clima stregonesco sciupata da un battito anemico. Album a tecniche miste, molto miste, un po’ grezzo, ben introdotto quasi didascalicamente fin dall’artwork. Discreto per lo charme che riporta alle primeve ricerche laboratoriali del mondo analogico dei 60. Terrorismo sonico distopico solo a tracce (Michele Saran6/10)


08_weddingk_02WEDDING KOLLEKTIV - BRODO (Neontoaster Multimedia Dept., 2021)
post-wave

Alessandro Dienni, Tiziana Lo Conte, Inke Kühl più Claudio Moneta: i mitici Gronge capitolini (poi Goah) si ripropongono come Wedding Kollektiv nel mini “Brodo”. Degni di nota, nella prima “Ipersfera relazionale”, più che la poesia declamata su passo ballabile, sono i pochi secondi di sonata per legni d’avanguardia che la aprono e chiudono e che, con una durata più estesa, la proietterebbe a ideale remix dei Henry Cow. L’accompagnamento filiforme di nuovo techno-cameristico ma più amalgamato, in “L’astronomo”, sostiene un canto da ballata civile. Chiude la prima facciata una “Ciò che resta del fuoco”, sorta di reading monologante post-Talking Heads. L’atmosfera teutonica del quartiere di Wedding (Berlino), da cui il nome, ha consentito a Denni ancora nel 2017 la contaminazione di tre generi: avanguardia, elettronica, recitazione. Prevale la terza componente: con i testi romantico-criptici di Giulia D’Alia cantati in maniera eclettica e mirabolante da Lo Conte, è un picciolo manufatto artistico-teatrale e non tanto musicale, intellettuale e non tanto godibile, che accusa scricchiolii di tenuta specie nella seconda facciata (il jazz-funk di “Sabato 16 giugno”, la lenta screziata “A proposito del tuo candore”). Secondo impegno di Lo Conte e Moneta del 2021 oltre a “Grand Hotel Abisso” (2021) a nome Roseluxx (Michele Saran5,5/10)


09_salvatoremariar_600_01.SALVATORE MARIA RUISI - NIENTE NON RIMANE NIENTE (autoprod., 2021)
songwriter

Ci vuole un po’ di pazienza per seguire i discorsi generici (nostalgie, coscienza civile, sguardi al futuro) e per ascoltare gli accompagnamenti altrettanto generici (pop, folk-rock, ballad) di “Niente non rimane niente” di Salvatore Maria Ruisi. Portate vieppiù dalla sua chitarra acustica, le canzoni riservano comunque qualche amenità, a partire dal singolo “Gocce” (2020), formulaico a perdifiato su tempo bubblegum. “Distratto” è invece il suo inno personale (con mellotron ad arieggiarlo), e probabilmente la sua migliore melodia. Sfilano poi, a energia via via decrescente, “E no”, ballata accusatoria con armonica rurale, “Ogni giorno”, cantata fatalista, “Senza colore”, danzante e stornellante, “Ninna Anna”, un lento folk sospirato e atmosferico. Da un appassionato cantautore siculo (classe 88) che ha dato anche due singoli d’antipasto, “Notte rossa Barbera” (2018) e “Mondo capovolto” (2018), un debutto giostrato con garbo tra intenzioni leggere al limite dell’it-pop e pose da scafato cantautore vecchio stampo. Miglior esempio: “Arrivederci”, mistura di “Amico fragile” e lento rhythm’n’blues. Aiuti fondamentali da Fabio Rizzo e Donato Di Trapani. Specificazione: “Atto I” (Michele Saran5,5/10)


10_adistants_600_01A DISTANT SHORE - BETTER DAYS EP (Somewherecold, 2021)
alt-pop

Gli emiliani Riccardo Spaggiari, elettronica (anche attivo come Cosmos In Collisions), e Gualtiero Venturelli, chitarra (anche percussionista negli Ataraxia, oltre che titolare del personale John De Farga), provenienti dai Amp Rive, assoldano la cantante Giovanna Dazzi per formare gli A Distant Shore, dichiaratamente improntati al dream-pop. Dai quattro pezzi del primo Ep “Better Days”, a parte la cantilena anemica imbottita di trapunte elettroniche di “Drownbrown”, emerge però piuttosto una piega di revival del techno-pop anni 80 a suon di drum-machine e arpeggiatori, come per “Girls”, quasi un’imitazione dei Bronski Beat, e per “Safe Place”, sorta di soul robotico. Dunque dream-pop o techno-pop? Poco importa. A parte questa non così voluta ambiguità fascinosa, comunque le cose non girano: un canto troppo algido (Dazzi proviene dal blues, ndr), una sciatteria di fondo, canzoni piatte (Michele Saran4,5/10)

Discografia

CARVER - L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA(Tataki, 2021)
TANCA - WORDS OF DOGTOWN(Peermusic Italy, 2021)
FEDERICO CALCAGNO - PIRANHA(Habitable, 2021)
MOONMINE - MY REVOLUTION(autoprod., 2021)
CIRCOLO LEHMANN - IL RE DELLE LEPRI(Libellula, 2021)
PIETRO BERSELLI - EVIDENTEMENTENO(Dischi Sotterranei, 2021)
BASILISCO - =(Hysm?, 2021)
WEDDING KOLLEKTIV - BRODO(Neontoaster Multimedia Dept., 2021)
SALVATORE MARIA RUISI - NIENTE NON RIMANE NIENTE(autoprod., 2021)
A DISTANT SHORE - BETTER DAYS EP(Somewherecold, 2021)
Pietra miliare
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