DADA SUTRA - EP 1 (autoprod., 2022)
post-wave
Caterina Dolci, italo-russo-boema nata a Milano, sfrutta la sua eclettica preparazione, sia di musica classica che di jazz, sia al basso elettrico che alla voce, nel progetto Dada Sutra. Per il primo Ep chiama a sé Vincenzo Parisi alle tastiere, Lorenzo D’Erasmo alle percussioni, Cristiana Palandri alla chitarra e Giacomo Carlone alla batteria. Sul pulsare scandito delle percussioni e l’andirivieni sfarfallante dell’organo si snoda la desolata “Big Boy”, la sua prima recitazione di tono vamp, discretamente distante sia dai canoni soul-blues che new wave. “Panopticon”, arricchendosi di tocchi cinesizzanti quasi atonali, folate di distorsioni e controcanti macabri, si avvicina al canto propiziatorio tout-court al di fuori dei generi. Impiega 7 minuti la meditazione elettronica “Do You Still Have Those Pills” a dipanare le sue allucinazioni da incubo freudiano, forte pure di un canto ribassato. Ultimo tocco di classe è “Leatherman”, anti-cabaret alla Marlene Dietrich fondato su scordature e tocchi molesti, comunque in grado di raggiungere una certa forza lirica. Co-scritto con Parisi e co-prodotto con Carlone, è per certi versi ancora un esperimento, ma ben proiettato in un rustico, coraggioso esprit libre. Clima livido e opprimente di comune accordo con le sue tematiche negative (un po’ gotiche, un po’ espressioniste, un po’ distopiche), come pure sardoniche irrazionali inserzioni dada di comune accordo col nome. Ruolo chiave delle percussioni, una voce che richiama Lida Husik. Il suo basso è più una presenza, uno spettro, ma c’è (Michele Saran, 7/10)
STEFANIA AVOLIO - ROOTS OF REBIRTH (autoprod., 2022)
songwriter
Stefania Avolio prosegue la sua personale avventura solista con “Roots Of Rebirth”, suonato per la maggior parte da Lorenzo Masotto alle tastiere elettroniche. L’elegia solitaria di “A Special Something” è tutta costruita su una bruma elettrovocale post-Enya e sospinta da un soffice battito da discoteca. Ancor più pura è “Dress Of Flowers”, fondata su un originale chiarore soul angelico e rifrazioni vocali, mentre “Shell” retrocede a una danza ancestrale con armonie vocali rinascimentali. “Naked”, il pezzo baricentrico dell’album, è un’ampia e piana invocazione cantata dietro un filtro distorcente e attorniata di gelide brezze organistiche. Il suo pianoforte minimalista fa ancora capolino e impreziosisce, più che la “New Light” scelta come singolo (non tra i pezzi migliori), la Wim Mertens-iana “No Time” e soprattutto un ameno lied su subliminale spinta hip-hop, “Loneliness”. Pur preservando l’assetto - un po’ acquoso - della compositrice new age, da quel brodo primordiale di vocalismi senza parole che era “Natural Element” (2020) prende forma un’autrice nella vena metafisica di Julia Holter invece fin troppo conscia del peso alle parole, dolcemente impalpabile e, insieme, sempre forte di una vocalità carica e tesa, caldamente serafinica come pure sottilmente corale. Scritto durante la pandemia e tenuto fermo per un anno. Video di “New Light” con la danzatrice e coreografa Elena De Angeli (Michele Saran, 6,5/10)
RADON SQUAD - HOTEL COLON (Ribéss, 2022)
alt-rap
Tra le più originali crew hip-hop italiane (forse la più originale) la riminese Radon Squad ha il ragguardevole merito di aver coniato un hip-hop carico di temi socialmente impegnati ma talmente involuto da negare sé stesso, un po’ ciò che ha fatto cinquant’anni prima nel folk il non-cantastorie Wild Man Fischer. Il loro “Sterco” (2015) si regge solo su rap casuali, conversazioni e rumori concreti sub-industriali, mentre il più convenzionale “Sotto” (2015) comincia ad articolare un linguaggio, pur alieno. Anni dopo “Hotel Colon” progredisce in quella pseudo-modellazione sonora, a partire dal martellante inno al vuoto della provincia di “Il guardiano della solitudine” introdotto da cigolii di porta in stile Pierre Henry, quindi con le schitarrate doom-metal nel flusso di coscienza a mezza voce di “Acari”, il beat caracollante e il solenne flow riverberato (e un interludio di sabba) di “Eternebra”, e il sub-rap nello sdrucito collage con registratori di cassa e ronzii minacciosi di “Omae mo omae”. Il breve disco si chiude con una sorta di anti-mixtape di spezzoni parlati grotteschi su uno sbiadito sfondo di fanfare funk-soul, “Il pacifismo è una pia illusione”. Quarto album escludendo le cinque autoproduzioni a nome RDNSQD e alcuni progetti del solo Makumbo (altri membri oscuri: Potential Dust, TIR). Nonostante una spettacolarità più pronunciata che un purista vedrebbe come eresia (un singolo persino pop, “How to distruggere la società”, e per la prima volta il loro tag in “Reception”), la loro visione è fatta salva. Sottoproletaria, filosofica, aleatoria, escrementizia e implosa, ma a momenti anche plateale. Ben oltre la coeva trap, meglio degli ultimi Uochi Toki. Co-produzione Ribéss Records e Light Item (Michele Saran, 6,5/10)
LEANDRO - EGO (Bunya, 2022)
songwriter
Brani-chiave di “Ego”, il ritorno di Andrea Leandro, sono le dediche di “Grace” e “Nessie”, all’apparenza modeste confessioni acustiche che, invece, svelano una condotta di generale complessità, piccoli cosmi di suoni contrapposti, cambi di tempo e zigzag armonici. Per “Orgoglio” si traveste scientemente e con classe da cantante Motown, e “American Beauty”, altro numero soul-pop, suona apaticamente riflessivo ma pregno d’impeto orchestrale. Leandro modula poi la sua impostazione canora dalle parti di Nick Drake per “Foglie”, sullo sfondo di pattern eterei e droni elettronici, e infine opta per coretti malefici e distorsioni diavolesche in “Angeli” (titolo ironico). Il canzoniere del torinese si rinforza d’intelligente arguzia, in una serie d’intuizioni in volo chilometri sopra le sciccherie sanremesi. Purtroppo questo valente cantautore - a quattro mani con Paolo Bertazzoli - le dosa col contagocce (nemmeno 21 minuti in tutto). Va meglio se si ascoltano anche le canzoni spurie uscite dopo il debutto “Fossimo già grandi” (2019): “Per mano” (2020), “Dietro niente” (2020) con sonosem, “Galassia” (2021) e “Grattacielo” (2021) (Michele Saran, 6,5/10)
TREETOPS - DEMETRA (Vagabundos, 2022)
jazz-rock
Fondato dalla chitarrista Anna Bielli e dal tastierista Marcello Tirelli quando ancora frequentavano la scuola di musica, il settetto romano dei Treetops si compone ancora di una seconda chitarra (Andrea Spiridigliozzi), basso (Simone Ndiaye), sax tenore (Daniel Ventura) e soprano (Eric Stefan Miele), e batteria (Luca Libonati). Il loro primo “Demetra” offre per la maggior parte componimenti brevi: i florilegi sincopati dell’eponima “Demetra”, un po’ il paradigma dell’opera, il crescendo innescato da un assolo spaziale di tastiera in “Letargo”, il trotto, quasi una rumba (e un finale di prog dolente) di “Harvest”, e un jazz-funk di media fattura, “Neo Glass”. Appena più lunghe sono “42” Of Nature”, un articolato tema subacqueo quasi drum’n’bass che sfocia in un sospeso doppio assolo dei sax sulle pulsazioni dell’elettronica, e l’inferiore ma non meno composita “Sirene”. Prodotto da Pino Pecorelli dell’Orchestra Di Piazza Vittorio, ha né più né meno di quanto ci si può aspettare da un combo di diligenti studenti di jazz al debutto - inibita contaminazione, generale rispetto delle norme armonico-ritmiche, scrittura impacchettante a scapito della libera improvvisazione -, ma con un valore aggiunto nelle progressioni epiche delle melodie, degne di una colonna sonora. Concept eco-nostalgico (Michele Saran, 6/10)
LO STRANIERO - FALLI A PEZZI! (La Tempesta, 2022)
dance-pop
Con il terzo “Falli a pezzi!” i Lo Straniero danno ancora una rara prova di passatismo non fine a sé stesso. L’eponima “Falli a pezzi!” suona come una colorata sprintante produzione tratta dal “golden-age” dell’hip-hop anni 80, e “Soundvillage” s’impone come altra possibile (e intellettuale) super-hit da pista da ballo vecchio stampo. Allo stesso modo, ma con maggiore articolazione, il vibrante techno-ska di “Area di rigore” nasce dall’avvicendarsi tra un lui scazzato prossimo a un maestro del passatismo, Beck, e una lei con un tono algido e robotico proveniente dall’era del synth-pop. L’umore si fa invece uggioso in “Milano-Sanremo”, una soffusa ballata rap, e nell’ancor più catatonica e innodica “Punto di energia”. Finché, in “Animale guida”, la base ritmica persino perde importanza per far spazio a qualche tocco psichedelico. Non un caso: è il loro primo disco (su cassetta) senza il motore elettroritmico Giovanni Masci. Ridotta a quintetto (Giovanni Facelli, Federica Addari, Luca Francia, Valentina Francini e Francesco Seitone) ma con la riconferma di Ale Bavo alla regia, la formazione alessandrina coglie l’occasione per affocare i propri pulsanti quadretti generazionali, e per sperimentare di quel tanto, risaltare il diabolico sottofondo di suoni-disturbi. Buona l’intesa di gruppo, più che prima corale in senso Jefferson Airplane-iano; testi acuti anche se rabbuffati e ritornelli, al contrario, sempliciotti qua e là. Come sempre curato da Francini l’artwork, stavolta a collage surrealista (Michele Saran, 6/10)
RIO SACRO - RIO SACRO (JAP, 2022)
instrumental
Il primo omonimo dei Rio Sacro si dà vieppiù all’oleografia idillica da film western “old town” (“Belvedere”, “Canaglia”, “Pastorale”), anche quando svaria appena all’esotico (“Ultima paglia”) o si apre alla melodia più pop (“Oltre la sera”). Dalla carta da parati si stagliano comunque una “Radio Notte” che oltre a timbrare il cartellino Morricone imbastisce un pigro vaudeville con scat femminile e termina con un breve duetto/duello tra chitarre appena distorte, il sardonico stomp-blues di “Afroasiatica” e l’improvvisazione country-rock con perturbazioni Fleetwood Mac di “Crocevia”. Progetto tutto folk fin dalla formazione: due chitarristi da tempo nella scena umbra (Gualdo Tadino), Edoardo Commodi (Diraq, Comelinchiostro) e il turnista Norberto Becchetti, si ritrovano dai tempi della scuola per improvvisare assieme, aggiungendo poi i buoni tocchi di basso e tastiere di Giulio Catarinelli, oltre alla batteria di Michele Fondacci. N’è saltato fuori solo un cataloghino di temi d’aggraziata timidezza, autonomi almeno nel contrappunto tarato su registri emotivi. Co-produzione tra JAP Records e L’Amore Mio Non Muore Dischi (Michele Saran, 5,5/10)
GAIRO - HER (Drown Within, 2022)
alt-metal
I cagliaritani Gairo debuttano con un disco omonimo strumentale (2017) da cui emergono vieppiù i dettagli dati dalle tastiere elettroniche, come le vibrazioni e i tremolii che infilzano la soundscape sludge-metal di “Day Two”, l’oleografia di urla e growl in “Day Three”, gli effetti sia cristallini che corali in “Day Four” e infine il tic-tac nella ponderosa e anthemica “Day Five”. Quella che poteva morire concept-band (dedicata ai cinque giorni dell’alluvione di Gairo Vecchio del ‘51) invece si riorganizza in senso tradizionale come sestetto privo di elettronica e con un cantante per un secondo “Her”. Proprio il canto, e particolarmente cerimonioso, interagisce con un fraseggio-recitativo post-folk solenne e oscuro nei 12 minuti del pezzo eponimo, finora la loro progressione più imponente. Il suo fratello minore, molto minore, è però una power-ballad grunge-metal priva di climax e allungata a 9 minuti, “Like An Elephant In A Sandstorm”. Tornando solo strumentale il complesso scodella pezzi post-metal senza grosse qualità in cui, di nuovo, valgono più le minuzie, come la brutale distorsione post-Black Sabbath che apre “1808” o i tuoni sinfonici che chiudono “Summer Of 94”. Il grosso dell’opera - di transizione, ispirata sì e no - è impagliato con tanta, troppa stoppa schitarrante, spianate di ripetitivi accordi distorti, niente assoli, e decorata con centellinate raffinatezze. Discreta produzione di Fabio Demontis. Supporto de Le Officine, Kairos e collettivo A.C.M.E. (Michele Saran, 5,5/10)
MANICAS - POSH PUNK (Semplicemente Dischi, 2022)
alt-rock
Il cantautore Andrea Manica, voce e chitarra, ferrarese d’origine, comincia supportato dagli arrangiamenti di Lorenzo Mazzilli con l’Ep “La faccia degli dei” (2019), specie nell’algido cabaret post-punk di “Marina e Ulay”, oltre alla comparsata di Fabio “Dandy Bestia” Testoni degli Skiantos nella marciante requisitoria politica di “La libertà in questo paese”. Manica comincia a modellare un proprio power-trio - Francesco Popup al basso e Ricardo Tomba alla batteria - per il suo vertice d’ambizione “Stella danzante” (2020), singolo di 11 minuti multimediale (accompagnato da un cortometraggio), fino a convalidarlo pluralizzando il nome in Manicas per “Posh Punk” e metterlo a frutto anzitutto nel singolo “Lilium” (2022), un ritratto loser condito con distorsioni noise-rock. “Le donne di notte” è invece un incrocio genetico tra l’epos di Springsteen e l’attitudine parodistica dei Devo, ma la nuova formazione frutta anche una vitaminica Arctic Monkeys-iana “Pinocchio con il frac”, con un altro cameo di Testoni. Il giocattolo si rompe nella seconda metà: difficilmente salvabile, tra gli altri, il ritornello quasi-zen in “Egle”. Tra produzione rimaneggiata - dapprima Manuele Fusaroli, poi il leggendario Glezös Alberganti che aggiunge le tastiere elettroniche - e uso stucchevole delle rime baciate, questo disco breve sfoggia qualche tratto virtuoso (tenue demenzialità e simpatia amarognola, matta ballabilità) che non basta a farlo distinguere nel cestone del generico (Michele Saran, 5/10)
CMQMARTINA - VERGOGNA (Columbia, 2022)
songwriter
Martina Sironi (Monza), nickname cmqmartina, comincia indipendente affiancata dal produttore Matteo Brioschi con un manipolo di canzoncine in forma di rimbalzanti techno-pop: “Lasciami andare” (2019), “Lago blu” (2019), “Carne per cani” (2019) e “L’esatto momento” (2020). Con la partecipazione a X Factor 2020 viene scritturata dalla Sony Columbia che la ricopre di produttori per il successivo “Disco 2” (2021), di modo che i nuovi singoli possano sfondare nelle classifiche di vendita, specie “Se mi pieghi non mi spezzi” (2021). Il terzo album “Vergogna” dà in teoria un compromesso tra l’“indie” del primo e il “mainstream” del secondo, a partire da un team produzione più selezionato, Matteo “Mr Monkey” Novi e collaboratori (Splendore, Leonardo Lombardi, Marco Barbieri), e poi nei suoi frutti, tra cui il ritornello post-Abba di “Inferno rosa” (a citare il Battisti di “Questo inferno rosa” si fa peccato), l’andatura orchestrale e sincopata di “Selvatica” (a citare il “Bo Diddley Beat” si fa eresia), e in parte la felpata, ammiccante alla trap “Non scomparire”. Tre pezzi grossomodo centrati, nel loro ambito. Gli altri sono trivialità da disco-divetta dolcemente nevrotica (Michele Saran, 4/10)