Dieci Piccoli Italiani

Dieci Piccoli Italiani - N. 134 - Ottobre 2022

di AA.VV.

01_mizooks_600MIZOOKSTRA - ALSO SPRACH MIZOOKSTRA (Sangue Disken, 2022)
avant-jazz

Dalla collaborazione tra il produttore elettronico Mario Conte e il sassofonista free-jazz Simone Garino nascono alcune “Session” raccolte in “Also Sprach Mizookstra” a nome, appunto, Mizookstra. La più lunga e impervia, la “#8” in due parti e 10 minuti in totale, comincia come una rozza fantasia di sub-musique concrete che si trasforma in sofisticato battito industriale, mentre il sax soffia e vortica tra i suoi stessi echi. Al secondo posto viene la “#2”, sommesso vagito impiantato in una landa stregata, diffratto e poi implodente in una jam ferroviaria. Terza impegnativa escursione post-post-jazz è la “#4”, arcano incantatore a lenta combustione portato a nuove moltiplicazioni caotiche. Da non tralasciare i pezzi minori, da “#5”, piccola apoteosi di moltiplicazioni di suono e illusionismo Ebm quasi ballabile, a “#7”, delirium tremens Terry Riley-iano, fino alla più intensa, una “#6” fatta di schizzi di cacofonia incandescente e un sax che dialoga con altri assurdi conglomerati ritmici, una versione aliena del “Welfare State” di Lol Coxhill. Battezzato con una fusione tra il “misuk” di Brecht e il “Zarathustra” di Nietzsche, il progetto punta a una non-musica allucinata, scossa da follie ataviche. Nel suo rifiuto superbo dei canoni armonici rimane spesso nel limbo dell’happening, ma affascina per la deformità delle invenzioni e l’anti-lirismo deragliato, esaltati dalla strenua modellazione sonica, esclusivamente analogica (Michele Saran7/10)


02_atomATŌMI - LITTLE FLOATING ORACLES (Lady Blunt, 2022)
ambient-drone

Atōmi, ossia Lorenzo Setti (di Modena trasferito a Berlino), s’impone con le ampie e composite meditazioni di “Little Floating Oracles”, un concept sul feto. La maggiore è “Laniakea”, lenta propalazione post-new age, melodia di grado Aun fatta sibilare tra valanghe e rintocchi elettronici fino a incontrare deformazioni spaziotemporali. Analogo è l’adagio Rachmaninoff dagli instabili contrappunti di sfreccianti simil-legni e simil-ottoni in “Adela”. La preziosità astrale di “Oneiros” viene sopraffatta da un triviale carosello elettrofuturista alla Kraftwerk e fuochi d’artificio minimalisti, ma si riscatta col solfeggio circolare di soprano in “Oracles”, che poi prende a scandire il ritmo per una sospesa e dolente sonata di droni liberi, fino a mutare in grido siderale. Questa sinfonia elettronica termina con un esercizio spirituale di lunghi respiri al cospetto di un’aurora santificata (“Anemos”). Grazie anche all’andazzo Klaus Schulze-iano della sua carriera, da batterista a musicista cosmico, Setti mette a frutto le sue passate esperienze di linguaggio audiovisivo, sonorizzazioni e colonne sonore da solo a nome 7he Alien e in coppia con Irene Pederzini a nome Hyperflower, oltre al primo Ep multimediale “Armønia” (2020), per scandagliare l’essenza sovrumana del suono. Non privo di rischi - qualche sciupio di mano pesante sugli effetti -, tuttavia ben giostrati con talento evocativo e capacità di avvicendare, manipolare il non-manipolabile. Master di Lawrence English. Settima uscita della Lady Blunt Records di Laura Masotto (Michele Saran7/10)


03_corasaCORASAN - HEY (autoprod., 2022)
songwriter

Oltre alla carriera di producer elettronico, il romano Alessio Corasaniti s’inventa anche quella d’autore passatista naif a nome Corasan, presentandola peraltro nel migliore dei modi con il singolo “Contea” (2020), sguaiata e marciante rivisitazione della “Wild Thing” dei Troggs ripiena di bombardamenti elettronici. Nel seguente debutto lungo “Hey” sfilano poi altri gioielli, a cominciare da una “Dipingi un sorriso” presentata come soul vecchio stampo e allargata a piccolo tour de force claudicante e fuori fase di psichedelia tossica, spartito tra chitarre in epiche stonature acid-rock e un sintetizzatore suonato come un clavicembalo. A seguire c’è “Dorme il sole”, altra cartolina imputridita post-sessantottina perforata da un sax in totale dissonanza e arricchita di disturbi alla “CTA102” dei Byrds. Allo stesso modo “Notte” deturpa orrendamente il Battisti disco-dance dei tardi 70. Quindi arrivano le serenate sui generis, la prima con carica spavalda hard-space da MC5 (“Ron Jeremy”), le altre quietamente folk e appesantite da eccessivo torpore ma ancora armonicamente fuori bolla (“Chinatown”, “Confidenze”). Il piccolo ciclo si chiude senza nemmeno più ritmo con “Walzer zigzagante”, r&b disciolto in un’ultima evaporazione lisergica. Sotto questa coltre allucinatoria, tutta suonata e prodotta da Corasaniti, si cela un concept di rottura amorosa cantato, via via, come timido sbraito, come lamento a mezza voce, come falsetto fastidioso, o con un tormento autoinflitto di filtri in bassa qualità, e secondo uno svitato flusso di (in)coscienza. Sbracatamente tragicomico con un pressapochismo sia caotico che calcolato, soprattutto nella prima parte. Il cantautorato italico tradizionale ritorna come fantasma postmoderno (Michele Saran6,5/10)


04_andreapa_600ANDREA PAVONI - CANZONI IN VERTICALE (Filibusta, 2022)
pop

Chiusa l’avventura nel neo-prog con i suoi Greenwall, il tastierista di origine romana Andrea Pavoni per il primo solista “Canzoni in verticale” punta invece al ruolo di piccolo superumano Jim Steinman: scrive e produce una serie di canzoni orchestrali per uno stuolo di cantanti. Eccelle nella ballata epica “Parole dal mare”, un Vasco Rossi immerso in un titanismo wagneriano, e nel recitativo-fiume “Il castello di sabbia”, un Ivano Fossati colto tra percussività e armonie volatili, ma anche in quel tipico romanticismo rabbuiato del europop anni 80 de “La discussione”, sciolto in un coro gospel e, al contempo, appesantito da una jam elettronica. Sul piano della melodia a vincere è invece “Il campo di battaglia” per piano e voce, con profondità da cantico di chiesa. Quando manca quell’appeal spontaneo allora intervengono costruzioni concertanti: ottoni e organo in chiusa alla dedica sentimentale r&b dal passo solenne di “Se non dovessi tornare”, sitar e tabla a dominare sulla nenia Donovan-iana svanita di “La casa al sole”, la sarabanda new age con cui termina la ninnananna operistica di “Stella stellina”, il carosello circense in cui si placa la dedica trafelata alla Venditti di “Sonia non esiste”. Queste voglie avanguardiste peraltro si isolano in interludi solo strumentali (“Buongiorno”, “Music For Piano And Cello” e soprattutto l’arabeggiante fiatistica “L’ascensione di Cristo”). Uniche patacche sono “Un tuo ritratto”, ibrido tirato per le lunghe di tempo di minuetto, cavatina pianistica e saccarosio da musical Disney, e la sudamericana in pompa spompata da sigla di varietà “Sabato sera”. Di questo ciclo amoroso in forma d’album-monstre di quasi 80 minuti (e persino una bonus) si può stimare, oltre alla palese, monumentale ambizione, anche il passo, la tenuta e il cuore pulsante d’opera lirica pop per via dello zampino di Philipp “Phil Mehr” Mersa - batteria e produzione -, nonostante a traballare siano proprio le fondamenta, dalla trama al filo logico. Nemmeno atmosfera e comunicatività suonano sempre precise, ma il passo è ponderoso, altero, imponente, la cantabilità molto più prossima al monologo interiore che alla canzone. Come Pavoni renda contagiosi i testi più impervi senza alcuna rima è anzi il vero miracolo. Qualità elevata. Venti strumentisti, cinque vocalist (Michele Saran6,5/10)


05_danieleleDANIELE LEDDA - CLAVIUS (Ticonzero, 2022)
avantgarde

Tra l’attività di docenza di musica elettronica al conservatorio di Cagliari, Daniele Ledda trova anche tempo e modo per brevettare dapprima Snake Platform, un metodo alternativo di improvvisazione e direzione d’orchestra, e poi Clavius, una teoria di pianoforti preparati (taroccati, decostruiti o aumentati). Nell’album “Clavius” propone appunto un campionario delle possibilità della nuova creazione. Nell’ancora breve “Studio 1” ottiene uno strimpellio minimalista riverberato, un’ipnosi applicata in corsa anche ai puri suoni percussivi. “Studio 2” è un gioco di sincronie/asincronie in cui a note tradizionali di piano (una cavatina semi-dodecafonica) si sovrappongono scure risonanze e battimenti elettronici, fino a venire disintegrate da una mitraglia di percussioni impazzite. “Studio 4” è un altro pezzo minimalista ribattuto, un rapido ticchettio d’orologio adornato di mesti droni mediterranei e protratto secondo gli sfasamenti delle “Pulses” di Steve Reich in cui la dinamica si alza e si abbassa, sfuma e acquisisce distorsione. Tre allettanti esperimenti, influenzati dal folk natio prima ancora dell’elettronica astratta, che puntano - forse inconsciamente - a invertire il procedimento dell’alea di Cage dall’indeterminatezza aulicamente distaccata a un rozzo fascino primordiale. Facilonerie quando Ledda applica il suo arsenale autocostruito a due rifacimenti: “Teardrop” dei Massive Attack e una porzione del primo movimento del “Music For Airports” di Eno (Michele Saran6,5/10)


06_cristianocCRISTIANO CALCAGNILE ANOKHI - INVERSI (We Insist!, 2022)
post-bop

Dopo un trascorso col proprio Multikulti dedicato a rivisitazioni di Don Cherry e Terry Riley (oltre a Mrafi, Lingue Di Fuoco e altri), il batterista d'origine milanese Cristiano Calcagnile organizza un trio con pianoforte e double bass a nome Anokhi. Il loro “Inversi” consta di cinque jam di media lunghezza al confine con la sonata da camera: il tema diluito e vagante di compostezza neoclassica di “Inversi”, la decadenza post-Bill Evans mitigata da accelerazione e modulazione in tonalità maggiore in “Malware”, una “Aureo” guidata dalla lirica agonia cacofonica del contrabbasso, e le più estese “Furioso” e “Litok” che sono anche le meno tendenti alla natura morta e le più caricate di groove bop e di impeto quasi gestuale. Il disco è di Calcagnile, molto compositore e poco leader, ma lo dominano le nobili performance pianistiche di Giorgio Pacorig e lo speziano certe scaltre intuizioni di Gabriele Evangelista al basso. La sua batteria ogni tanto si ricorda della fantasia espressa col suo capolavoro “Sti()ma” (2015). Un interplay in dondolio tra il rarefatto e lo scollacciato, inquadrato però in una rettitudine da grandeur intellettuale. In copertina uno scatto per riscoprire Pietro Bologna (“Di bianco silenzio”) (Michele Saran6,5/10)


07_baseballgBASEBALL GREGG - PASTIMES (La Barberia, 2022)
lo-fi pop

Due amici appassionati di bedroom pop sono la base del duo italoamericano Baseball Gregg, una sigla sforna-canzoni composta dal bolognese Luca Lovisetto e il californiano Sam Regan. I loro “Vacation” (2016) e “Sleep” (2018) sperimentano i primi concept nostalgici fondati sulle tastierine economiche, mentre “Calendar” (2020), di 12 canzoni pubblicate mensilmente, espande l’ambizione del progetto. E’ però il successivo “Pastimes” a tentare di assurgere a loro prima summa. I pezzi più estroversi fanno tesoro di una preparazione in qualche modo classica: “Montese”, serenata leggermente tossica con qualche traccia di stornello e forti echi delle colonne sonore leggere italiane anni 60, “Past Times”, dagli ornamenti baroccheggianti che si acuminano nel ritornello angelico, “Lake Geneva”, probabilmente il migliore motivetto del lotto, avvolto in una lenta giostrina elettronica, fino a degenerare con una “Better Days” viziata da una leziosità da “Tempo delle mele”. Il duo si ricompone al più ossequioso verbo lo-fi con “Biting My Tongue”, dal jingle-jangle e un umore tutto Pavement-iano, cui fa seguito l’esercizio coldwave di “Sylvia Beach”, e meglio una “Onlyfans” più creativa e sprintante, ma soprattutto la persino esilarante “Holobiont”, pop da spiaggia retrò velocizzato e cantato da dei affannati Simon & Garfunkel. Le altre sono ridondanti, e forse fin troppo dominate da voci caduche e svanite. Ci sono comunque un altro cliché di passatismo in “Oh Les Beaux Jours” (pop francese dell’era del boom) e qualche finezza non richiesta nella swingante “Sottovoce” (piano e contrabbasso). Pubblicato ancora a puntate, i tre Ep “Parrots & The Park” (2022), “A Life Designed For Fun” (2022) e “Windows Of My House” (2022), è un caleidoscopio dai molti specchi, da Brian Wilson a Bradford Cox, passando per Lou Barlow e Mark Everett, anche se da questi semidei del pop artigianale il duo si fa accecare, anziché trarre verace, compatta, proficua ispirazione. 20 canzoni di cui metà, o poco meno, da scartare. Arrangiamenti: bravetta Cristina Muñoz al cello. Co-prodotto con Z Tapes (Michele Saran5,5/10)


08_malak.MALAKAY - MONSTER CRIES SOLO IN THE HEAVEN (Peermusic Italy, 2022)
trap-pop

Andrea Camboni (Sassari) inizia il suo Malakay con il mixtape “Re Mida” (2013), prosegue con i singoli “NMDN” (2015), “NVBI” (2015), “AQVA” (2016), “Trillmatic” (2017) e “Everglades” (2018), con l’Ep “V Days” (2019) e con i seguiti “Bluvertigo” (2019), “A3” (2019) e “Move” (2020), tutti con featuring e collaborazioni, e perviene all’“album” di 20 minuti “Monster Cries Solo In The Heaven”. Il suo stile fonde ormai abbastanza liberamente estetica trap e scrittura melodica, come provano la canzone eponima e il ritornello vagamente reggae di “Higher Love”. I due pezzi prodotti dal conterraneo ilovethisbeat fanno bello e cattivo tempo: un momento di originalità, “2Thedarknback”, un denso fondale di voci bianche rifratte (che poi Camboni stesso rielabora in “Millennium Ghetto”), e la sciocchezzuola sentimentale di “Grazie” per giunta inutilmente ridoppiata al canto dalla conterranea Chiara Floris. Incallito, non indegno rimaiolo dei recenti luoghi comuni adolescenziali. Fievole (Michele Saran5/10)


09_alessandrob_600ALESSANDRO BARIS - SINTESI (Otono, 2022)
electronica

Alessandro Baris, italoamericano, si fa un nome come batterista, percussionista e chitarrista, manovratore di drum machine e strumentazione elettronica nel trio Comfort e nel duo Collisions, e come ospite di club e gallerie europee. Quando intraprende finalmente un proprio percorso solista, racchiuso nel primo Ep “Sintesi”, può così chiamare a sé anche qualche eminenza frattanto conosciuta negli anni passati: Lee Ranaldo, Emma Nolde e Lisa Papineau. A dispetto di cotanti nomi il risultato non appaga. Ranaldo sdoppia la sua voce tra cantico e declamazione quasi-mantrica nello scialbo ambient cantautoriale da tardo David Sylvian di “Last Letter To Jayne”, e forse pure peggio fanno le ballate eteree delle altre due ospiti. Così e cosà nei brani strumentali: “Unheard” è una sonatina Idm per piano elettrico sequenziato di echi e fade che gira a vuoto; “Lifetime” fa sentire un po’ di elettricità nel finale; “All That”, grazie alla sua tensione tribale (finalmente la sua batteria) che innesca un grazioso disegno minimalista, s’impone oggettivamente come momento migliore. Proposta come tante di elettronica sofisticata. Cura e confezione, invero riguardevoli, contano più della musica (Michele Saran4,5/10)


10_drowDROWN - BLUES (Selvatico Dischi, 2022)
songwriter

Oltre all’esperienza in quartetto coi Hope At The Bus Stop, il padovano cantautore Alberto Bombarelli è anche attivo come Drown. “Mirror Climbing Ghosts” (2016), collezione di piccole elegie acustiche, lo mette in luce sia come virtuoso chitarrista folk che come cantante caldamente Tim Buckley-iano, laddove il seguente “The Cave” (2019) tralascia di colpo quella magia intimista per darsi a una estroversa e vertiginosa fusion di jazz-pop vocale (“Norwegian Dance”, “Raindrops”, “The Hunter”) supportato da spettacolari comprimari. Il suo terzo “Blues” vanta una “Hill Song” che tenta d’intersecare proprio questi due stili, la docile trama della chitarra acustica e le spericolatezze jazzate del canto (con accompagnamento psichedelico degno della “Albatross” di Peter Green). Il resto perde in un colpo bussola e ispirazione. In “I Love Everybody” e “Half Of Anna”, entrambe sostenute da scat fin troppo insistiti, inserisce per motivi sconosciuti l’italiano (un rap leggero nella prima, un declamato “spoken” nella seconda), e in “Domizia” a un certo punto prende a bisbigliare - sempre in italiano - sciupando un discreto fraseggio di folk esotico. Altre, peggio ancora, sembrano dei demo rimasti tali. Abbastanza salda invece la sequenza data da “There Was A Time” e “Doctor”, caratterizzata dall’organo elettrico, unici momenti in cui si intuisce un chiaro modo di fare. Le bizzarrie eclettiche, che anche Elia Sommacal alla produzione fatica ad amalgamare, non bastano a riscattare la scarsità dell’impostazione. Ritmo d’insieme floscio, canzoni poco interessanti, crooning spesso sopra le righe (Michele Saran4,5/10)

Discografia

MIZOOKSTRA - ALSO SPRACH MIZOOKSTRA(Sangue Disken, 2022)
ATŌMI - LITTLE FLOATING ORACLES(Lady Blunt, 2022)
CORASAN - HEY(autoprod., 2022)
ANDREA PAVONI - CANZONI IN VERTICALE(Filibusta, 2022)
DANIELE LEDDA - CLAVIUS(Ticonzero, 2022)
CRISTIANO CALCAGNILE ANOKHI - INVERSI(We Insist!, 2022)
BASEBALL GREGG - PASTIMES(La Barberia, 2022)
MALAKAY - MONSTER CRIES SOLO IN THE HEAVEN(Peermusic Italy, 2022)
ALESSANDRO BARIS - SINTESI(Otono, 2022)
DROWN - BLUES(Selvatico Dischi, 2022)
Pietra miliare
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