MICHELE GAZICH - La Via Del Sale (2016, fonoBisanzio)
songwriting
Michele Gazich è un cantautore e violinista bresciano e questo è il suo settimo album. Gazich mette assieme una gran quantità di strumenti, sia moderni che classici, per realizzare una raccolta di canzoni che si ispira alla canzone popolare italiana, rivedendola con un proprio personale filtro, che prevede un suono caldo e allo stesso tempo cupo, che richiama immagini tenebrose del passato, quelle che dovrebbero farci riflettere sugli errori che l'umanità continua a fare oggi, senza far tesoro delle lezioni subite dai nostri antenati. Gli incroci di violino e pianoforte costituiscono lo scheletro dei brani, e attorno a esso il suono è cangiante, ricco ma mai ridondante. La voce ruvida ed espressiva di Gazich e i suoi testi efficaci e senza compromessi sono aspetti altrettanto importanti per un disco che di certo non è da ascoltare tutti i giorni, ma risulta pregevole per l sua capacità evocativa e l'abilità di veicolare nel modo giusto l'ambizione che lo caratterizza. Interessanti anche i momenti in cui ci si allontana dall'italiano per cantare in spagnolo o in siciliano e ottimo il contributo alla voce degli ospiti Rita "Lilith" Oberti e Salvo Ruolo (Stefano Bartolotta 7/10)
FABIO CINTI - Forze elastiche (2016, Marvis Labl)
songwriter
Già con un buon carnet alle spalle (tra gli altri, "Il minuto secondo", 2012; "Madame Ugo", 2013; "Tutto t'orna", 2014), il laziale cantante, cantautore e multistrumentista Fabio Cinti, non contento, dà un picco d'ambizione con "Forze Elastiche". Si erge un ispirato eclettismo: da "Io Milano di te" (con solo di cello classicheggiante) si passa a "Mondo in vetrina" (funky-zombie metropolitano), da "Quadriglia" (profluvio di synth) a "La gente che mente" (cullante, smarrita serenata), "L'isola" e "Come Bennett" (tenui flussi di coscienza) si sublimano in "Perturbamento" (con archi e clavicembalo), "Non è facile a dirsi" (oracolistica e sperimentale) si collega "Wait For The Winter" (solenne ninnananna alla CSN&Y), "Cadevano i santi" (recitativo spettrale e jam Floyd-iana) capitola in "Paure come cose" (aria da musical con glockenspiel). Cinti confeziona il tutto con una vestina elettronica che lega le canzoni in una sorta di affresco urbano, e che sgorgano in siparietti campionati o industriali nel mezzo del massimalismo dell'arrangiamento. Si farebbe presto a bollarlo come emulatore degli artisti con cui ha collaborato e che lo hanno lanciato (Battiato, Morgan, Benvegnù, si aggiungano pure i tardi Csi). Si perderebbe però il suo vero specifico di concezione ampia, un ciclo di canzoni rarissimo nel panorama leggero italico. Multisfaccettato, zappiano persino. Secondo lascito della personale etichetta-laboratorio Marvis Labl, seguito di "The Thin Lie" (2015) a nome Marvis, con Irene Ghiotto. Cover in addendum: "Biko" (Peter Gabriel) (Michele Saran 6,5/10)
RED SUN - Triosophy (2016 - Spin On Black)
stoner, psych
A due anni dalla prima pubblicazione su cd, la Spin On Black (label specializzata in emissioni su vinile, questa è la seconda, a pochi mesi dalla reissue di "Mantra" dei Ritmo Tribale) concede una seconda opportunità ad un album passato colpevolmente inosservato. Prende forma così un'importante ristampa per l'esordio dei piacentini Red Sun, in 250 copie numerate da 180gr. "Triosophy" contiene sette tracce strumentali magistralmente suonate, che si nutrono dello stoner dei Kyuss, lo digeriscono e lo ricontestualizzano. Bordate taglienti ("A Glance At The Starry Sky"), cavalcate imperiose ("Hot Stones Under The Sun"), epiche immersioni psichedeliche ("The Morning Light"), dolci abbracci lisergici ("Magic Dawn") e la polvere della prateria che entra dalle fessure ("The Road To The Old Mill"). Il risultato è incredibile, visto che tutto è suonato da un trio chitarra, basso e batteria. La rimasterizzazione è stata affidata a Marc Urselli, tre volte vincitore del Grammy Award. Distribuisce Goodfellas (Claudio Lancia 6,5/10)
POP JAMES - Super Power Super Quiet (2016, DoubleDoubleU)
soul-pop
Non solo la classica posa retrò anima i quattro Pop James di "Super Power Super Quiet": vi è anche un'attitudine alla Nine Inch Nails di manipolazione iconoclasta espressa tramite i trucchi dello studio di registrazione. Ciò vale per il techno-funk tribale di "Afromoon", la samba saettata a velocità drum'n'bass di "Acquario", il soul cibernetico di "Drops", tutti momenti ricolmi di scenari variabili e sabotaggi scenografici. In una frangia meno sofisticata si collocano poi pezzi come "Rais Montura" (in tempo di salsa-reggae) che privilegiano una forma levigata di synth-pop, e ancora meglio la luminosa danza progressiva di "Underwater Ride" (uno dei loro primi pezzi), con uno spettro che passa da dancefloor a chillout a sci-fi, e l'ancor più vintage "Da Space", con aromi hawaiani. Gustoso debutto per una compagine (base a Novara) dalle ottime capacità tecniche, poliglotto non solo per la lingua delle liriche, elegantemente avvolto in arrangiamenti più autunnali e pensosi che estivi e festivi. Prodotto da Andrea Cajelli, edito su Cd ma confezionato in una busta 7" come un 45 giri. Primo singolo: "Afromoon". (Michele Saran 6,5/10)
LITTLE PIECES OF MARMELADE - Little Pieces Of Marmelade! (2016, autoprodotto)
crossover, blues, psych
In perfetta antitesi con la dolcezza evocata dal nome, i Little Pieces Of Marmelade rielaborano le sonorità grunge/crossover anni 90 infarcendole di blues e psichedelia. La formula non è così scontata come può sembrare: il giovane duo di Macerata (nato nel 2014 e vincitore dell'ottava edizione dell'Homeless Rock Fest) sa come muoversi a ritroso nel tempo grazie a un'attitudine che coniuga riff e drumming potenti senza finire nel fossato della prevedibilità. Le sei tracce dell'Ep omonimo (rintracciabile su Sound Cloud) sembrano arrivare da una sala prove temporale nella quale trovano posto i delay vocali alla Jane's Addiction di "Man Killed By The Hero", il mood Stone Temple Pilots di "Pigman", i viaggi hard/psych dei primi Soundgarden in "Crib", la polvere dei crocevia del Mississippi ("SPEED sCUM n'ROLL") e gli scorci dei bassifondi della Detroit degli Stooges ("Ballan-tee"). Meno convincente è invece la deriva Rage Against The Machine di "Revolt", che ha l'aria di un omaggio (inconsapevole o meno) e toglie un po' di forza a quanto di personale la band è in grado di proporre. Un buongiorno visto dal mattino, che fa intravedere le potenzialità dei due ventenni, rendendo stimolante l'attesa di un lavoro sulla lunga distanza (Paolo Ciro 6,5/10)
LAPINGRA - The Spectaculis (2016, autoprodotto)
avant-pop
Forti di un paio di Ep ("Untitled", 2007, e "Farewell Gallinella", 2008) e di un debutto lungo impeccabile ("Salamastra", 2011), i romani Angela Tomassone, Paolo Testa, Pasquale Remia, Julia Imperiali, Umberto Petrocelli, in arte Lapingra, rompono gli argini con il secondo "The Spectaculis". Il titolo è appropriato e per niente sbruffone: pezzi come "Fifi Mariella" (tastiere scandite a tempo di pendolo, coro di mondine che diviene marcia medievaleggiante) e tutta una serie di novelty multiformi, da "The Girl From Peru" (cambia anche lingua in velocità) alla title track, a "Eat A Mandarino", fino a techno-pop più coesivi, cartooneschi e demenziali come "Futurissima Show", fanno davvero saltare dalla sedia. Splendido pop zappiano con pochi precedenti in Italia (la Petrina più anarchica? i Kramers? la prima Antolini?) e buon esempio d'orchestrazione sbrigliata, d'uso patafisico delle liriche. Evita, merito non da poco, che il revival vintage rubi furbescamente la scena: qui è solo un dettaglio messo nel frullatore. Seconda parte calante, ma sempre esilarante e con un finale operistico. Due anni di lavorazione (Michele Saran 6,5/10)
REQUIEM FOR PAOLA P. Sangue del tuo sangue (2016, Nulla Officine Discografiche)
post-hardcore
Con una formazione in parte rimaneggiata, i Requiem For Paola P. di Bergamo si ripresentano dopo uno iato di sei anni con "Sangue del tuo sangue". La forza e l'urto emo-core sono invariati, ma a stagliarsi è anzitutto "Tutti questi piccoli cavalli", una sarabanda swing con fiati mescalero che, però, non ha granché di gioviale, anzi è più un requiem che tiene fede al nome del complesso (anche se di fatto vede solo il cantante Andrea Pezzotta spalleggiato da tutt'altri musicisti). "Del nostro parlare moderno", "Nulla va lasciato (tra i denti)", "La coda delle nove", "Alluvioni cambiò" sono creazioni con una loro complessità progressive-rock. Semplicemente acrobatiche le altre, ridondanti ballate pregne di controtempi ("Nel gorgo muti", "Un'ora d'armi"). Rimescolamento d'ingredienti triti (Fast Animals, Fine Before You Came, tardi Majakovich); si deve comunque riconoscerne un impianto più solenne, autoriale, rispetto ai due predecessori ("Simplicity", 2008, "Tutti appesi", 2010), un buon tiro, un assetto espressionista che spintona via con ira la forma-pop, e persino, a tratti, un verace urlo di dolore generazionale. Co-prodotto con Imbecillity Kids. Bel packaging (Michele Saran 6/10)
SORAYASANTA - L'emancipazione di L. (2016, autoprodotto)
alt-rock, post-rock
Sporchi, diretti e lo-fi, ma al contempo riflessivi e ricercati, i SorayaSanta giungono al secondo album in dieci anni di attività, una sorta di viaggio-concept sull'emancipazione femminile. La musica del quartetto romano è caratterizzata da suggestivi tappeti sonori, potenti esplosioni dinamiche, intense linee melodiche, serrate tessiture ritmiche e belle code strumentali, in grado di ricordare tanto il post-rock dei Mogwai ("Canone") quanto l'alt-rock targato anni 90 ("Fame stabilità"). Le principali influenze sono individuabili nella scena rock indipendente anglosassone, ma non certo secondari risultano gli influssi e le suggestioni del movimento alternativo di casa nostra (probabile che i ragazzi abbiano consumato i primi lavori di Afterhours e Marlene Kuntz), prossimità rafforzata dalla scelta del cantato in italiano. La voce di Antonio Puglisi si approssima all'immaginario post-punk, ulteriore ingrediente studiato per dar vita ad un mix stimolante. Chiude il dischetto la lunga "Cantilena mattutina nell'erba", oltre otto minuti arricchiti da rumori della natura ed esperimenti sonori, in una struttura quasi prog (Claudio Lancia 6/10)
NoN - Sancta Sanctorum (2016, I Dischi del Minollo)
new wave
Inanellato finalmente un primo breve "Sacra massa" (2014), i tre fiorentini NoN danno un'altra infornata di revival dark per "Sancta Sanctorum", da una "Bukowski piange" con uno svolgimento serpentino e informe (anche raffazzonato) a una radiofonica "Così felice", un Jovanotti depresso che fronteggia i Sonic Youth, fino a un goffo tentativo di serenata leggera alla Tenco-Modugno ("Come l'ombra", molto meglio i due minuti di stornello subliminale di "Reti e pareti"). Sound precisamente sbozzato e correttamente reso vibrante, ma il disco non si giustificherebbe senza i veri colpi gobbi, "Tutto il mondo sotto un sasso" e "Sostanza". La prima è una tour-de-force di martellamenti genuinamente apocalittici sotto forma di litania, la seconda (scritta e cantata da Luca Barachetti), ancor più dilatata per un totale di nove minuti, è l'"Emilia paranoica" del caso: nuvola di distorsione, tocchi tango-noir di chitarra, flusso di coscienza oltremodo introverso, lunga apoteosi drammaturgica. Il miracolo non si ripete per il gran finale, "La paura". Co-prodotto con Garage Records. (Michele Saran 6/10)
FILIPPO VIGNATO - Plastic Breath (2016, Auand)
contemporary jazz
Già membro del Rosa Brunello 5tet e Y Los Fermentos di “Upright Tales” (2016), e al suo fianco anche negli Omit Five, oltre a MOF e Malkuth e qualche altro, il trombonista veneto Filippo Vignato debutta come leader di trio per “Plastic Breath”, in compagnia del piano elettrico di Yannick Lestra e della batteria di Attila Gyarfas. Il grosso, purtroppo, è dato da pseudo-ballad (metafisiche e slabbrate quanto si vuole, ma irrisolte) e persino un tentativo non riuscito di destrutturazione del jazz-pop (“Stop This Snooze”, pugno di Lestra). Aperto da “The Meeting”, sospensione per batteria percossa a mani, e chiuso da “Microscopy”, soffi esanimi su un tappeto di piatti appena sfiorati e gocce di piano, ha i suoi momenti più interessanti nella corta e cortissima distanza. L’improvvisazione collettiva da cui si divincola a tratti un tema blues in “Red Sky Hymn” convince a metà, ma la breve “Square Bubbles” e la prima metà di “Lev & Sveta”, interamente basate sul suono riprocessato in riverberi allucinati, e sull’accoppiata in ostinato di rhodes e batteria che richiama “In A Silent Way”, si autoinvitano con forza e audacia dalle parti di Jon Hassell e Miles Davis. Due piccoli tocchi che hanno del prodigioso, sviliti in una minestra che sa di allungato, a volte di scolastico. Registrato e prodotto in due tranche tra Parigi e Budapest (Michele Saran 5,5/10)