Il lato oscuro di Napoli

Geometric Vision e la scena dark napoletana

Questi ultimi anni hanno visto l’emergere di una nuova onda post-punk/darkwave capace di tenere assieme l’interesse per le tradizioni, per il proprio luogo di origine, con una visione internazionale, aperta ma sempre con uno sguardo consapevole sul presente, sull’immediato futuro e sulle sue crisi globali. La città partenopea, da sempre culla di una cultura europea cosmopolita aperta agli influssi esterni, ha visto nascere numerose realtà che oggi sono conosciute e apprezzate anche all’estero. Geometric Vision, Hapax e Ash Code sono tre esempi notevoli di una musica sotterranea che punta sulla qualità e i contenuti. Mentre i giornali e i media mainstream propongono sempre la stessa indigesta minestra, oscillante tra il colorato "hype" pop globale e il sinistro (e onnipresente in Italia) provincialismo nazionalpopolare, qualcosa si muove nell’ombra e tesse la sua rete. Per esplorare il lato oscuro di Napoli, abbiamo fatto quattro chiacchiere con i Geometric Vision, band formata da Ago Giordano, Gennaro Campanile e Roberto Amato. Al tutto, abbiamo allegato anche una selezione di brani e video della nuova promettente scena darkwave napoletana per inquadrare meglio il fenomeno.

Quando si pensa a Napoli, si ricorda quasi sempre il suo lato più spensierato e solare. La città, però, ha anche un suo lato oscuro forse meno conosciuto. Mi vengono in mente il cimitero delle Fontanelle e la sua cripta, il culto dei teschi e delle anime del purgatorio, persino le inquietanti macchine anatomiche della cappella di San Severo. Immagino, siano tutte fonti d’ispirazione iconografica per i gruppi darkwave napoletani…
Ago: Quando si pensa a Napoli si ricorda quasi sempre il suo lato più spensierato, e si sbaglia. Credo che Napoli sia tra le città più misteriose e magiche al mondo. Non c’è un solo angolo della città che non ti metta addosso quella sensazione di piacevole “tensione”, c’è sempre una storia, una leggenda, un fantasma, dietro l’angolo.

In questi ultimi anni sembra sia emersa una vera e propria scena post-punk/ darkwave a Napoli. Oltre ai Geometric Vision, penso anche a Hapax e Ash Code. Penso voi abbiate visto nascere il tutto dagli inizi. Com’è incominciata? Suonavate negli stessi posti? Avete iniziato assieme?
La nascita di un moderno movimento post-punk/darkwave (se di movimento si può parlare) è avvenuta velocemente e quasi in maniera casuale. Molti di noi erano soliti frequentare i club della sottocultura cittadina, in particolare tre locali che, ahimè, non esistono più ma che hanno avuto un ruolo fondamentale nella maturazione musicale di tutti noi: il Cellar Theory, La Scala Privata e il Dark Club Arcadia. Ci si incontrava ai concerti, ci si innamorava di gruppi misconosciuti, si riscoprivano le sonorità degli anni Ottanta, si discuteva animatamente di musica e di altro. Di lì a poco alcuni di noi decisero di mettere su dei progetti musicali, molti già suonavano e provenivano da mondi molto diversi fra loro (chi suonava indie, chi metal, chi post-rock, chi elettronica...) ma avevamo tutti il desiderio di fare qualcosa di diverso, così ci si incontrava in sala prove, si sperimentava. Noi geometrici abbiamo iniziato nel 2012, nei primi tempi c'era molto entusiasmo ma non avevamo un fine ben preciso... poi improvvisamente ci siamo ritrovati dopo pochi mesi a scrivere, a incidere un disco e a tenere concerti in giro per l'Italia. Poco tempo dopo ci seguirono gli Ash Code e gli Hapax, sebbene i componenti di tutte queste band già avessero altri progetti all'attivo da diversi anni. Oltre a quelli citati da te, voglio ricordare anche Dark Door e Froe Char (quest'ultima artista napoletana ma di stanza a Parigi), altri due interessanti progetti napoletani in bilico tra darkwave e minimal synth molto apprezzati all'estero.
Alla fine ci conosciamo tutti da anni, molti di noi hanno condiviso delle esperienze musicali e di vita ed è figo quando oggi capita di ritrovarsi a suonare insieme all'estero con i rispettivi gruppi. Si può dire, con un pizzico di modestia e di orgoglio, che negli ultimi anni Napoli abbia dato un piccolo slancio al filone darkwave/goth italiano (e internazionale), ma la cosa bella è che ancora oggi nessuno di noi si è reso pienamente conto di quello che è successo.

Nello specifico, raccontaci un po’ la storia dei Geometric Vision. Come mai questo nome?
Ago: Ho sempre composto musica nella mia camera. Quella che avevo nella casa in cui ormai non vivo più da tempo. Quella casa aveva una finestra rettangolare, con una piccola tendina che spostavo per contemplare l’unico pezzettino di cielo che mi era concesso, e, nei momenti più bui, la centrale elettrica. Tutte le cose da quella stanza diventavano forme geometriche. È abbastanza angosciante immaginare i limiti del cielo, eppure a me veniva naturale. Se dai uno sguardo all'artwork del nostro primo album "Dream", (credo) si riesca a capire qualcosa. 

Il vostro ultimo album “FIRE! FIRE! FIRE!”, uscito nel 2018 per Swiss Dark Nights, ha come tema portante la catastrofe. Ad esempio, fate esplicitamente riferimento all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e al susseguente disastro di Pompei. Viviamo in un momento potenzialmente catastrofico per l’umanità in generale o forse le catastrofi hanno solo un carattere ricorrente, ciclico e inevitabile?
Roberto: Come usava dire un nostro illustre concittadino (Giambattista Vico), esistono corsi e ricorsi storici, quindi senza alcun dubbio anche le catastrofi hanno di per sé un carattere di ciclicità, di inalienabilità e di inevitabilità. Anche se credo che alcuni popoli su questa terra siano, per così dire, più "avvezzi" alla catastrofe e questo è il caso dei napoletani. Vivere a una manciata di chilometri da un vulcano attivo molto pericoloso fa sviluppare dentro di te un fatalismo e una serafica rassegnazione all'esistenza necessari per vivere una vita quasi normale a dispetto del rischio di un disastro che è sempre alle porte. Il nostro disco parla senz'altro di questo ma ha in sé anche altre due chiavi di lettura, all'apparenza molto distanti tra loro ma che nel nostro caso sono intellegibili: quella psicologica e quella mitologica. Con il mito e le sue leggende ancestrali (ad esempio, quella della Kimera o il rituale sudamericano del Corvo in "The Head") e con gli avvenimenti storici di un passato che si perde nella notte dei tempi, abbiamo provato a tradurre il malessere che proviamo noi trentenni di oggi, nei primi decenni del Duemila. Alla nostra età - quando non si è troppo vecchi ma nemmeno più troppo giovani - il sentore della catastrofe imminente, di qualcosa che nella tua vita possa andare storto da un momento all'altro e rovinare tutto è sicuramente presente e anche se potrebbe suonare retorico l'epoca in cui viviamo aggiunge a questo bel quadretto solo altra inquietudine. La nostra generazione ha una sfiducia nel futuro che definirei epocale. Inoltre, su tanti aspetti della vita si ha come la sensazione che si stiano facendo dei passi indietro anziché dei progressi dal punto di vista culturale e delle politiche sociali, ed è forse la prima volta che succede nella storia dell'Occidente. Ma, al di là di queste considerazioni, a volte siamo anche ottimisti. 

Nel bel video di “Apocalypse Queen” siete riusciti a ricreare un po’ l’atmosfera apocalittica, abbandonata e desolante di certi paesini del Meridione. Per certi versi, è un’ambientazione piena di sole, ma al contempo più angosciante e disperata di una foresta svedese in pieno inverno. Dove è stato girato il video?
Il video è stato girato in tre location diverse, tutte dalle nostre parti. Siamo stati alla Solfatara, nel cuore della Caldera Flegrea (l'altra area vulcanica attiva della Campania oltre al Vesuvio), sul Vesuvio e infine ad Apice Vecchia, un piccolo borgo del beneventano che è stato completamente abbandonato negli anni Sessanta a seguito di alcuni eventi sismici che hanno interessato la zona. Come giustamente hai rimarcato tu, molte zone del Meridione ci restituiscono un chiaro affresco di tutta la sofferenza e di tutto il dolore che queste terre hanno subito. E molto spesso ce ne dimentichiamo.

Alla fine di “Virtual AnalogTears”, il vostro secondo album pubblicato del 2015, c’è un brano, “Nenia”, cantato in italiano. Nel finale in cui si sentono i lamenti delle “chiangimuerti”, le donne dell’Italia meridionale che piangevano al capezzale dei defunti. La voce femminile che sembra tradurre in italiano i lamenti delle donne in nero è tratta da qualche film o è stata recitata e registrata per l’occasione?
La voce narrante è tratta dal documentario del 1960 “Stendalì - Suonano ancora” sulle prefiche del Salento ed è di Cecilia Mangini, autrice del documentario insieme a Pier Paolo Pasolini.

All’inizio di un vostro concerto avete usato la registrazione della voce del grande Antonio De Curtis, in arte Totò. Se non sbaglio, recitava "A' livella", una delle sue poesie più celebri. Vuoi dirci qualcosa su questa scelta?
Roberto: Volevamo iniziare il concerto con un momento di grande pathos e ci è venuta l'idea di campionare la voce di Totò che recita in napoletano "A' Livella" per il forte legame che abbiamo con la cultura della nostra città e per la tematica trattata nel componimento. È bizzarro infatti che una delle più intense poesie italiane sul tema della morte sia stata scritta da un attore comico. Il monito di Totò è lapidario: la superbia, il prevaricare del più forte sul più debole, l'affannarsi per ottenere dei privilegi sono tutte manifestazioni ridicole proprie dell'uomo terreno. Con la fine della vita tutto si appiana e "...queste pagliacciate le fanno solo i vivi, noi siamo seri, apparteniamo alla morte", come recita la poesia.
Ormai è diventato l'intro fisso di ogni nostro concerto, sappiamo che probabilmente quasi nessuno oltre i napoletani capirà le parole, ma il tono della voce che sembra provenire dall'oltretomba rende bene la tensione e il messaggio evocato dalla poesia.

Geometric Vision, Hapax e Ash Code suonano molto spesso all’estero. Come vi trovate a suonare fuori dall’Italia e quali differenze avete eventualmente notato nel pubblico e nell’organizzazione?
Quando hai la fortuna di girare molto fuori dal tuo paese, ti rendi conto che i preconcetti e i luoghi comuni sull'estero rispetto all'Italia restano tali e che spesso i meccanismi che sono alla base della musica dal vivo sono quasi sempre gli stessi a tutte le latitudini, dalla Sicilia alla Scandinavia. Sarà che il tipo di musica che suoniamo è seguito quasi esclusivamente da un pubblico appassionato e attento, ma siamo stati accolti sempre bene, sia in Italia che all'estero. C'è da dire che in Italia esistono persone che si fanno un cuore tanto per organizzare eventi anche di nicchia, talvolta in contesti molto difficili e con la consapevolezza che non sempre andrà bene, quindi tanto di capello per loro. Forse un'unica piccola critica che si può muovere al nostro paese è che si è persa un po' di passione e di curiosità verso la scena musicale alternativa, sia da parte della critica musicale che del pubblico. Credo che ciò dipenda un po' dallo stato della musica indipendente in Italia, che sta vivendo un momento un po' particolare dove regna anche un po' di confusione. Ma è un discorso abbastanza complesso.

Nel vostro ultimo album avete ospitato anche Volkan Caner dei She Past Away. Com’è stato collaborare con lui?
Ago: La collaborazione con Volkan è nata senza pensarci troppo. Mi piace come canta, mi piace come interpreta i testi. Gli ho inviato un messaggio chiedendogli se volesse collaborare con noi, mi ha detto di  prima ancora di ascoltare il brano. Gli ho inviato la canzone e ha registrato la voce dopo nemmeno una settimana. Ne è venuto fuori un buon lavoro di cui andiamo fieri. Soprattutto perché Volkan, se la memoria non mi inganna, non canta con nessun'altra band all'infuori fuori dei She Past Away. 

Rispetto ai nomi del passato che hanno influenzato il vostro lavoro, chi vi viene in mente, così su due piedi? Ci sono anche artisti italiani degli anni Ottanta e Novanta?
Ago: Se dovessi parlarti di cosa  mi ha influenzato mi vengono in mente i miei genitori, mio fratello, le stronzate che ho fatto da ragazzino, il disagio della periferia, la prima volta che ho sofferto per amore, la prima sbronza, il primo attacco di panico, e poi sì, qualche disco dei Sonic Youth, dei Joy Division, di Pino Daniele e di Fabrizio De André.
Roberto: Rispondere sinteticamente a questa domanda è pressoché impossibile tante sono le influenze che hanno portato al sound dei GV. Personalmente la mia adolescenza e post-adolescenza sono state un trip nei meandri della musica britannica dai Beatles in poi, ma più che gli artisti  è stato un tipo di mood tipicamente British a influenzarmi. Potrei fare qualche nome random, tipo Bowie, Smiths, Talk Talk, Cure, Oasis, Stone Roses, Slowdive, i gruppi della Factory Records, della Sarah Records... ma me ne vengono in mente altri settantamila. Inoltre, ascolto e mi faccio ispirare anche da tanta musica prodotta oggi, poiché sono convinto che per fare della buona musica bisogna immergersi nello spirito del proprio tempo.
Nei Geometric Vision ognuno di noi ha riversato il suo immaginario musicale e un pizzico di disagio interiore, ma se dovessi fare dei nomi che ci accomunano direi senz'altro Velvet Underground, Tuxedomoon, Nick Cave, Bauhaus, The Chameleons, Cocteau Twins, Interpol, tanto post-punk degli albori, una manciata di gruppi coldwave e un bel po' di synth-pop e di industrial.
La musica italiana ha rivestito sicuramente un ruolo importante per noi, c'è l'amore viscerale verso la new wave italiana e verso artisti come i Diaframma, i vecchi Litfiba, CCCP, Moda (rigorosamente senza accento), Decibel, Garbo, Faust'o, Jeunesse d'Ivoire, Detonazione, Franti, Carmody, Neon, Polaroid; ma anche per il rock d'autore dei primi anni 90, i cantautori, il neapolitan power, l'italodisco...
Gennaro: Sono sempre stato affascinato dalle sonorità più oscure ed estreme sin da quando ero un adolescente introverso. Mentre i miei coetanei ascoltavano grunge e post-rock, io spaziavo dal metal all'industrial, dal noise al black metal, pur apprezzando artisti più noti come Pink Floyd e Depeche Mode. Questa predilezione per i suoni più cupi mi ha successivamente spinto verso il post-punk; partendo da pietre miliari come i dischi dei Cure, Siouxsie and The Banshees e Joy Division, mi sono gettato a capofitto nel genere e anche il mio modo di suonare il basso ha seguito questa naturale evoluzione. Tra gli italiani nomino senz'altro i primi Litfiba e in particolare Gianni Maroccolo, che ha sicuramente influenzato una generazione di bassisti italiani a venire amanti di un certo tipo di sonorità.

Sempre rispetto al passato, pensi che oggi la scena darkwave/post-punk contemporanea sia adeguatamente seguita e supportata anche dalla stampa e dalla critica musicale “generalista” in Italia o rimane una cosa sotterranea e di nicchia, legata solo a poche e coraggiose webzine specializzate?
Roberto: L'universo darkwave e post-punk odierno è qualcosa che trascende il singolo paese, ci conosciamo più o meno tutti, siamo in contatto fra musicisti provenienti da ogni angolo del globo e talvolta collaboriamo fra noi, quindi la dimensione locale non si percepisce più di tanto, ma forse questo vale soprattutto per le band e i promoter.
Per quanto riguarda la stampa e la critica musicale in Italia, il discorso è un po' diverso e mi ricollego a quanto dicevo sopra, ossia che la situazione musicale nel nostro paese è oggi molto particolare e necessiterebbe di un'analisi approfondita. Quello che percepisco è che negli ultimi anni la critica musicale si sia concentrata principalmente sugli exploit del momento e su fenomeni che, nati nel circuito indipendente, hanno presto svelato la loro vera vocazione che era più pop-commerciale. Concentradosi su questi ultimi, ci si è dimenticati quasi completamente di un'intera fetta della musica indipendente prodotta in questo paese, musica senza velleità o doppi fini, fatta per il puro gusto di esprimersi e che meriterebbe la giusta attenzione.
Per fortuna r-esistono ancora delle webzine che approfondiscono il discorso anche su altri fronti ma al di là di tutto, penso sempre che l'attenzione non vada mai pretesa, semmai ricercata e attirata su di sé proponendo cose di qualità che possano davvero interessare a qualcuno. Se si ha qualcosa da dire, prima o poi qualcuno se ne accorge.

Che programmi avete per l’immediato futuro?
Quest'estate avremo l'onore e il piacere di partecipare a un evento iconico come il Wave Gotik Treffen. Inoltre, stiamo iniziando a buttare giù idee per il prossimo album, ma prima c'è ancora un po' di tempo per buttare acqua sul fuoco, aspettando che si spenga lentamente...



Discografia













Pietra miliare
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