Playlist

Qualche buona canzone l'hanno incisa anche i Queen

Pochi artisti, forse nessuno, hanno riempito la classifica di paccottiglia in quantità paragonabile ai Queen. Con una cinquantina di pezzi nella top 40 britannica, distribuiti su quattro decadi, il loro impero della pomposità ha conquistato e tuttora conquista il pubblico con uno stile invadente e in molti casi assai più tronfio che brillante.
La loro presa sull'immaginario collettivo, tuttavia, non conosce cedimenti. A trent'anni e passa dalla morte, i fan sono più convinti che mai dell'assoluta, anzi oggettiva, superiorità di Freddie Mercury rispetto a qualunque altro cantante della storia. Non pochi collocano lo stile tronfio e sovrassaturo di Brian May sull’Olimpo del chitarrismo rock. Hit moleste come "We Will Rock You" e "We Are The Champions" sono entrate grazie al loro trionfalismo martellante nel peggior repertorio da manifestazione sportiva, mentre le escursioni synth/disco – per esempio "Another One Bites The Dust" e "I Want to Break Free" – che all’epoca avevano spiazzato gli ammiratori, oggi sono considerate da alcuni tra gli apici del periodo, per un misto di disillusione e mancanza di riferimenti. Un ulteriore rilancio di popolarità, poi, è arrivato pochi anni fa grazie al musical/biopic "Bohemian Rhapsody", che ha contribuito a canonizzare l’epopea della band anche presso il pubblico più giovane.

Tra barocco e cabaret

Eppure i Queen non sono solo stati ostentazione e ritornelli ruffiani. In qualche occasione, il loro perenne destreggiarsi fra kitsch e dozzinalità ha trovato felici punti di equilibrio - sempre che di equilibrio si possa parlare, vista la natura sfacciatamente esagerata di molti di questi slanci visionari.
Ecco dunque l'orizzonte di questa playlist, che passa in rassegna l'intero percorso della band inglese, includendo anche alcuni episodi solistici. Il filo conduttore è il lato più prog-pop della loro produzione, quello che li vede come originali e strabordanti interpreti di un filone giocoso e sopra le righe, un po' glam e un po' beatlesiano, che include anche 10cc e City Boy, Electric Light Orchestra, Pilot, Jet, Be Bop Deluxe, di là dall'oceano gli Sparks, in Giappone la Sadistic Mika Band. Un territorio fatto di strutture pop rocambolesche, voltafaccia folgoranti (da cui l'espressione "flash rock", ricorrente in tutti i primi anni Settanta), flirt in direzione kitsch perennemente in bilico fra ironia e sovrabbondanza.

Nella compilation il vaudeville incontra l'operetta e la granny music scherzosa e retrò in stile Paul McCartney, incrociandosi con debordanti sferzate hard: un turbinio di stili e invenzioni che non manca della magniloquenza dei classici più triti, ma la abbina a un estro più scherzoso e fantasiosamente contraddittorio. Un mix eclettico che stempera la pomposità senza negarla e la combina a un'attitudine "sbilenca", dando vita a una formula potenzialmente interessante anche per chi, pur non fan accanito della band, sappia apprezzare le strutture pop non convenzionali.

Trucchi, cembali e meraviglie

In questo contesto la voce di Mercury, sempre teatrale ma raramente convincente sul piano emotivo, trova una sua dimensione efficace: la finzione è palese ed è l'anima della festa, tanto che a ogni verso saturo di enfasi riesce a conferire senso e presenza. Similmente, le linee perennemente raddoppiate di Brian May accentuano il carattere spettacolare dei pezzi, portando l'artificio alla ribalta e dando corpo a una struttura meticolosamente costruita. Quando non viene sfruttato nella sua veste più baldanzosa e circense, il pianoforte contribuisce alla componente classicheggiante, resa ancora più smaccata dall'inserimento del clavicembalo, come in "The Fairy Feller's Master-Stroke". Quasi assenti, invece, i sintetizzatori: per buona parte della produzione settantiana la band fece vanto esplicito della scelta di non impiegare le tastiere elettroniche – "No synthesizers!" recitava il frontespizio di alcuni dei loro album più venduti – mentre i brani selezionati da "The Game", "Flash Gordon", "The Miracle" e "Innuendo" testimoniano l'inversione di rotta agli inizi degli anni Ottanta.

Un altro fulcro è l'inventiva armonica, con cadenze ricercate e cambi imprevisti di tonalità. Il salto di tritono in "Bohemian Rhapsody" è stato recentemente al centro di un approfondimento dello YouTuber David Bennett, ma anche pezzi come "Killer Queen" e "The Millionaire Waltz" mettono in scena tutto il repertorio di truccherie post-beatlesiane, fatto di dominanti secondarie, discese cromatiche e settime strategiche. Anche "The Miracle", con la sua raffica di modulazioni subliminali e la strofa strutturata su uno schema di soli tre versi, ne è un chiaro esempio.

Fra bagliori e baracconate

Molti dei pezzi selezionati, si potrà osservare, portano la firma di Freddie Mercury. L'autore della tremenda "We Are The Champions" era, dei quattro componenti dei Queen, il songwriter più affine allo spirito di questa playlist: dotato di una sensibilità teatrale e ambiziosa, sapeva miscelare elementi grandiosi con melodie che andavano ben oltre i soliti inni da manifestazione sportiva. La stessa "We Are The Champions", pur roboante ed enfatica fino a risultare indigesta per alcuni, mostra, grazie ai suoi astuti ed efficaci cambi di tonalità, tutta la perizia del frontman nel gestire transizioni ad effetto. Uno sguardo al suo percorso solistico conferma questa vocazione: "Barcelona", il caleidoscopio musicale realizzato insieme alla soprano Montserrat Caballé, rappresenta una fusione dramma operstico e pop sinfonico, mentre la rigogliosa "Mr. Bad Guy" gioca sul contrasto fra tastiere plastificate e coloriture orchestrali.

Insomma: fra inni, marce, cori e altro ciarpame da classifica, i Queen qualche perla l’hanno davvero tirata fuori. Quando Mercury sa mettere il suo istrionismo al servizio di una teatralità che non chiede per forza l’applauso, quando May lascia perdere i numeri da parata e insegue linee più sghembe, qualcosa succede. Anche in alcuni dei brani più celebri, sotto la superficie esagerata si intravede una vena surreale e obliqua che merita attenzione. Riascoltare oggi, uno dopo l'altro, questi pezzi è come aprire un baule di costumi teatrali: per improbabili, vistosi, pacchiani che possano risultare, è difficile restare indifferenti al fascino della loro arguta mancanza di sobrietà.

12/04/2025