Lo scorso primo novembre, a quarant’anni dalla sua pubblicazione, la Mute ha pubblicato la ristampa di “Y”, l'epocale disco di debutto del Pop Group che all’epoca portò grande scompiglio tra gli appassionati di rock con la sua esplosiva miscela di protesta sociale, post-punk, dub, funk, reggae, free-jazz e tecniche d’avanguardia. Per celebrare la nuova vita di uno dei grandi capolavori della new wave e del rock tutto, non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di porre qualche domanda a Mark Stewart, che del Pop Group è ancora leader e voce infuocata.
Ciao Mark! Come ti vanno le cose? Cosa hai fatto di bello durante questi ultimi mesi?
Sto bene, grazie mille. Sono stato molto impegnato a supervisionare l’artwork e i tesori musicali nascosti di questa ristampa di “Y” che è biblicamente epica, una roba tipo Cecil B. DeMille.
Come ti sei avvicinato alla musica quando eri giovane e quando hai capito che poteva diventare la tua ragione di vita?
Non l’ho ancora capito. Prima dell’avvento del punk, pensavamo che la musica fosse molto lontana, poi ci capitò di imbatterci in cose tipo Paul Simonon dei Clash con gli adesivi sul suo basso e tutta la storiella dei tre accordi e fu così che un'intera generazione di ragazzi abbandonò un futuro divertente nella fabbrica di armi del posto per i piaceri perversi del post-punk.
Nella tua vita, ci sono stati lunghi periodi senza che tu facessi musica. Cosa fai di solito quando non fai musica?
La mia vita è molto insolita e i periodi senza musica li ho trascorsi sui vulcani attivi nel bel mezzo dell’Atlantico, dando una mano dietro le quinte a progetti di alcuni amici (Tricky, On-U), imbastendo provocazioni con un collettivo d'arte di cui faccio parte e che si chiama Nuovo Banalismo, buttando giù scarabocchi teorici e prassi. Più recentemente, ho dato un contributo grafico a una mostra sul massacro di Peterloo a Manchester, sono stato coinvolto in una collaborazione in Italia con un collettivo chiamato Obselete Capitalism; poi, ho avuto modo di collaborare alla realizzazione di una rivista/libro con il movimento del Nuovo Banalismo e l'artista Rupert Goldsworthy. E, poi, ovviamente ho fatto pessime battute.
In molte delle tue canzoni, anche in alcune dello stesso "Y", hai usato la distorsione applicata alla voce. È un semplice "effetto" o ha un significato artistico e/o filosofico più profondo?
L'idea è quella di incarnare una forma di resistenza umana contro la matrice distorta e manipolata (o contro ciò che la gente chiama “realtà”). Penso che il potere della musica sia più incisivo e più forte se la voce è usata in modo da ricordare quello che Jimi Hendrix faceva con la sua chitarra.
La musica di "Y" è evidentemente influenzata dall'idea di giustapposizione e/o di collage di diverse fonti sonore (penso, per esempio, a "We Are Time"). Ma questa idea, in un modo o nell'altro, ritornerà anche nelle tue opere da solista e in alcune delle tue collaborazioni. È una scelta pianificata?
Sì e no. Un passaggio molto importante del nostro manifesto del Nuovo Banalismo dice che "la tecnica è un rifugio per gli insicuri". Trovo che l'uso delle procedure casuali sia un processo vitale. Un'idea a cui stavo lavorando oggi è quella dell’"imprevisto felice", e durante la mia carriera e prassi artistica sono sempre stato aperto agli imprevisti: è importante mantenere aperto il proprio cervello.
"Y" ebbe sicuramente un background politico molto forte. Quanto, all’epoca, era importante per te la politica e quanto lo è oggi?
Personalmente, non riesco a separare la magia e le immersioni in acque profonde da ciò che le persone chiamano politica. Una teoria interessante che ho scoperto di recente è quella dell'economista americano contemporaneo Joseph Stiglitz. Nel suo libro "Il prezzo della disuguaglianza", egli in sostanza dice che, in ogni azione che fai, dalle noccioline che acquisti alle gerarchie che accetti, c'è sempre un effetto farfalla. Ogni azione ha una reazione.
Al Pop Group non è mai interessato suonare il punk. Niente canzoni veloci e brevi, ma un mix di funk, free-jazz, caos e dub. Cosa vi spinse contro la corrente?
Pensavamo che il punk significasse sfidare tutto: nessuna razza, nessun genere, nessuna classe sociale. Sfidare la politica, tutte le forme di musica e l'essenza stessa di ciò che chiamano realtà. Il Principio Unico e tutto.
Si possono avvertire frammenti di musica dub e roots reggae (o almeno influenze sparse) nel sound mix di "Y". Solo un tributo nostalgico a una civiltà leggendaria o anche una posizione politica?
Pensavo che il dub in quel momento fosse tanto sperimentale quanto una qualsiasi delle cosiddette band post-punk. Lavorare con il famigerato dubmeister Dennis Bovell è stata una parte vitale della nostra filosofia di base. Per quanto mi riguarda, le dolenti canzoni del roots reggae continuano a riemergere nella mia coscienza, su base emotiva, politica e mistica. Come cantava Justin Hinds dei Dominoes: "Peccatori, dove scapperete, dove vi nasconderete, verrà il nostro giorno".
Quali erano, alla fine degli anni Settanta, i tuoi più grandi eroi musicali
This Heat, Linton Kwesi Johnson, Archie Pool della Radical Alliance of Black Poets and Players, Lucio Battisti, Mutabaruka e i primissimi Television.
Siamo ancora “tutti delle prostitute”, come recitava il titolo ("We Are All Prostitutes") del vostro secondo singolo pubblicato nel 1979?
Sì, soprattutto oggi, ma domani è chiuso.
Hai ripetuto spesso che "non ci sono spettatori", che è anche il titolo ("There Are No Spectators”) di una delle canzoni del secondo disco del Pop Group, "For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?". Cosa intendi esattamente?
Intendevo dire che è importante scagliare palle cariche d'effetto verso il futuro, raccoglierle lì dove atterrano e costruire con esse la tua immaginazione. Bisogna evitare di diventare "voyeur dell’Armageddon".
Cosa ha spinto il Pop Group a ritornare in carreggiata nel 2010?
Matt Groening ci ha chiesto di riformarci per suonare all'All Tomorrow's Parties insieme agli Stooges. Non appena siamo tornati insieme, nella stanza c'è stato un tornado di follia che, da allora, si è rivelato inarrestabile. Però, vorrei poter riformare il mio cervello.
Oggi, quando ti capita di riascoltare "Y", cosa avverti? Sei pienamente soddisfatto di quel disco o c'è qualcosa che ti sarebbe piaciuto fare diversamente?
La cosa più folle è che, ogni volta che lo ascolto, avverto qualcosa di diverso, avverto qualcosa di nuovo, è come un indice di possibilità. Non vedo l’ora di riportarlo in giro. Al momento, sto interpretando il ruolo di un maestro di circo che cerca di domare i personaggi selvaggi coinvolti, incoraggiandoli a salire sul retro di un camion per portare, dalle vostre parti, quel gran carnevale di mostri che è “Y”. Per quanto riguarda il mio livello di soddisfazione e la mia preferenza per eventuali cambiamenti... la fede è la stanza del dubbio.
Quali scrittori, filosofi e artisti in generale sono alla base della tua visione del mondo?
Frantz Fanon, Antonin Artaud, Thor Heyerdahl, Rupert Sheldrake, Rumi, Adam Parfrey (l’editore dei libri della Feral House), Vandana Shiva, Bernie Rhodes, Robert Goulet, Erwin Piscator, Jerzy Grotowski e molte figure legate al teatro simbolista.
Cosa pensi dell’attuale scena musicale?
È incredibile, soprattutto nel Regno Unito. C’è molta grande musica, in giro: dalla combriccola dei Black Midi di Londra alla bass music della scena di Bristol, con artisti del calibro di Giant Swan e Young Echo.
Per quanto ancora dobbiamo tollerare gli omicidi di massa? Insomma: "For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?"
Ci sono cure non convenzionali per i disturbi quotidiani.
Ti senti ancora un “ladro di fuoco”?
Mani di luce.
Hai mai svenduto i tuoi sogni?
L’ostacolo è la via.
Un tuo giudizio sulla Brexit…
Ci vorrebbe un trattato di venti pagine.
Dieci dischi che porteresti su quella famosa “isola deserta”…
Albert Ayler – "Ghosts"
Questa traccia è un totem, un distintivo d'onore per gli outsider di tutto il mondo. Questo disco è mio amico per la vita.
The Spades – "We Sell Soul"
Uno dei primi lavori ideati da Roky Erickson, un vero visionario.
Pablo Gad – "Hard Times"
Uno a cui torno spesso e che mi fa sempre pensare alla Bristol della fine degli anni 70. Il mio inno di giovane condannato.
Vivian Jackson & The Ralph Brothers - "Conquering Lion"
Una delle tante profezie rivelatrici di Vivian Jackson aka Yabby You. Ho bisogno di musica come questa per vivere.
Jobriath – "Morning Star Ship"
Un invito a tornare al mio Io adolescente. Un brano che mi definisce in molti modi.
Woody Guthrie – "This Land Is Your Land"
Mi sono imbattuto in Guthrie grazie a una raccomandazione di Joe Strummer, entrambi cantanti di protesta classici. Altamente consigliato è anche Phil Ochs.
Mark Winter - "Go Away Little Girl"
C'è una storia perduta del rock & roll inglese che ho collezionato. I miei favoriti sono Eden Kane e Johnny Gentle, ma questa melodia, che è un po’ più di una ballata misteriosa, mi fa sempre venire i brividi.
Lee ‘Scratch’ Perry – "Here Come The Warm Dreads" (con Brian Eno)
Adrian Sherwood e l'intera banda della On-U Sound sono un po’ come la mia famiglia. Tra i loro lavori e tra quelli cui hanno collaborato, i miei preferiti sono “Cry Tuff Dub Encounters” e “Mankind' di Jalal Mansur Nuriddin (of The Last Poets)” di Prince Far I, ma soprattutto “Revenge of the Mozabites” di Suns of Arqa. "Heavy Rain" mostra che stanno ancora spingendo oltre il limite e "disturbando il comodo".
Janet Kay/Dennis Bovell - "Silly Games (Dub)"
L'altra sera al Rough Trade East di Londra, per la serata di lancio della ristampa di "Y", un evento che abbiamo chiamato "Salon Y", Dennis Bovell ha fatto un mix dub live di uno dei nostri brani, il lato B di "She Is Beyond Good" & Evil ', intitolato “3.38”. Gli è capitato di menzionare che "3.38" ripescò alcuni passaggi di rullante da questo dub.
Uno per i fanatici.
P-Funk All Stars - "Hydraulic Pump"
George Clinton, Eddie Hazel, Jerome "Bigfoot" Brailey fino a Bootsy Collins, sono stati tutti una fonte costante di ispirazione e questa è stata la spina dorsale del mio "mantenersi in forma"-regime quotidiano fin da quando avevo 14 anni.
Ah, un’ultima cosa! Vuoi dirci da dove nacque l'idea del titolo dell'album "Y" e perché sceglieste proprio quella copertina?
Uno dei misteri dell’universo.