27/07/2013

Robert Glasper Experiment & Bilal

Locus Festival, Locorotondo (Ba)


Locorotondo è un suggestivo borgo che sorge nella valle d’Itria, nel bel mezzo di quell’affascinante territorio denominato Terra dei Trulli. Uno scenario d’altri tempi che da nove anni ospita il Locus Festival, una rassegna di concerti a ingresso gratuito che sin dall’inizio si è distinto per il suo gusto alternativo e ricercato.
Quest’anno il festival ha ospitato alcuni grandi nomi della scena black: Cody Chesnutt, il primo giorno, e il Robert Glasper Experiment, supportato da Bilal, il secondo. Ed è proprio di quest’ultima esibizione che ora parleremo.

Robert Glasper e Bilal sono due figure molto simili: entrambi occupano un posto cruciale nella rinascita nu-soul dell’ultimo decennio, possiamo anzi dire che ne costituiscono gli ultimi baluardi, considerando la grande crisi di identità che questo genere, un tempo brillante e pulsante di vita, sembra affrontare da qualche anno a questa parte. Due nomi a cui quasi sempre, se almeno consideriamo la loro presenza in uno scenario più mainstream, è associata la dicitura “featuring”.
Se prendiamo il caso di Bilal, è impressionante la lista di nomi con cui ha collaborato, personalità di spicco come Common, Roots, Beyoncè, Solange, Erykah Badu ecc. Eppure i suoi lavori solisti faticano a trovare un posto di rilievo nella chart americana. Ascoltandoli viene anche facile intuire il motivo di ciò: lontani da qualunque compromesso stilistico, i suoi dischi perseguono una strada nu-soul impervia e obliqua, crocevia di avanguardia, art-rock e soul come poteva pensarlo D’Angelo.

“Airtight’s Revenge”, il suo album pubblicato nel 2010, è una delle maggiori gemme soul uscite in tempi recenti, e al tempo stesso ne costituisce una delle declinazioni più complesse e difficili da comprendere. Pezzi che via via abbandonano la forma-canzone per seguire una sorta di flusso di coscienza progressivo, ma sempre controllato, mai fine a se stesso.
Non è il posto adatto per parlarne dettagliatamente, ma il succo è: recuperate assolutamente questo disco, ingiustamente ignorato da buona parte della critica sin dalla sua uscita. Bilal poi è tornato proprio quest’anno con un nuovo album, “A Love Surreal”, più pacato e romantico del suo predecessore, un saggio di classe e eleganza. Restano sempre le geometrie oblique che contraddistinguono il suo sound, ma ha un feeling più familiare e “immediato”.

Il pianista Robert Glasper è invece balzato agli onori della critica col variegato “Black Radio” uscito l’anno scorso: punto di incontro di jazz, nu-soul e hip-hop, ha condensato in modo sintetico lo spirito della “alternatività” black degli ultimi anni. Tanti i nomi influenti, tra cui lo stesso Bilal, in un lavoro che limita l’impeto jazz del complesso Experiment, per flirtare amabilmente col pop. Vena jazz che però salta di nuovo fuori in tutta la sua debordante esplosività quando la band si esibisce dal vivo.

Alle 22:00 l’Experiment fa il suo ingresso con la sua formazione ormai collaudata da tempo: Robert Glasper al piano, Derrick Hodge al basso, Chris Dave alla batteria e Casey Benjamin al vocoder e alla tastiera. Qualche problema acustico prontamente risolto con grande calma  e maestria e poi si parte subito alla grande: i pezzi di "Black Radio" suonati in apertura (tra cui la cover di “Cherish The Day” di Sade) deflagrano in code strumentali esaltanti, ora smooth ora impetuose.
Robert Glasper diverte il pubblico col suo tocco irresistibile, mentre basso e batteria si incrociano in groove ipnotici e incalzanti. Casey Benjamin usa il vocoder in modo del tutto dissimile dall’utilizzo spropositato che se ne fa nel mondo mainstream: con lui diventa mezzo con cui astrarre totalmente la voce, renderla una nebulosa vagante nell’etere, suono psichedelico e futuristico, sulle prime addirittura ostico, poi meravigliosamente dreamy.

La sua interpretazione trasfigura tanti classici black e non che sono stati eseguiti durante il concerto: “Get Lucky” dei Daft Punk diventa una nenia paranoica e squisitamente sci-fi; “The Light” di Common suona ancora più desolata e notturna; “All I Need” dei Radiohead è quasi irriconoscibile, flusso sonoro informe che esplode in una coda mozzafiato, con gli strumenti che si rincorrono in un vortice di intensità crescente.
L’ingresso di Bilal verso metà concerto segna il punto più alto della serata: “Levels”, pezzo tratto da “Airtight’s Revenge”, mette sin da subito in mostra le straordinarie capacità vocali del soul-singer, capace di passare dal falsetto stridulo e quasi femmineo a esplosioni dirompenti; il suo è un puro flusso di coscienza come in stato di trance, con il chorus che si ripete come un mantra… e vorresti che quel momentonon finisse mai. Casey Benjamin prende il sax e sono lacrime: la voce diventa un tutt’uno con gli strumenti, ormai impazziti e imprendibili, e sempre quel refrain “Play this song, play this song, play this song if you love me” che man mano si dissolve come un sogno.

L’Experiment è incredibilmente a suo agio: nessuna interruzione tra un pezzo e l’altro, atmosfere multiformi si susseguono senza che si avverta uno stacco. Hodge sfodera un assolo di basso da pelle d’oca, sembra quasi di ascoltare una chitarra spagnola; Benjamin è scatenato ai fiati, che si tratti di sax, tromba o clarinetto. A volte, dopo una jam tiratissima, si ritorna al punto di partenza con melodie strumentali paradisiache.
E’ incredibile il modo in cui Glasper orchestri l’andamento dell’esibizione: è lui che detta i tempi e i suoni, fissando per tutto il tempo il pubblico con uno sguardo torvo e sarcastico.

“All Matter”, forse il brano più bello di “Airtight’s Revenge”, è semplicemente da brividi: è difficile descrivere la performance vocale di Bilal… Si ha solo la netta sensazione di trovarsi di fronte a un artista di un altro pianeta. Dopo il primo ritornello, la band espande il pezzo in un intermezzo incendiario, poi Bilal torna, canta gli ultimi versi sottovoce, si rianima per un ultimo refrain, e poi cala il sipario. Gli applausi esplodono a scena aperta.
La band si ritira, ma presto ritorna in scena per eseguire una toccante “Butterfly”, tratta dall’ultimo disco di Bilal.

Due ore veramente difficili da dimenticare: immersi in un paesaggio da sogno, con un venticello fresco che ci deliziava, abbiamo assistito a una prova di rara maestria, che conferma tutto il bene che si è detto e che si può dire a proposito di questi paladini della musica black odierna. Dio benedica il Locus Festival.