È un pubblico composto principalmente da fan della vecchia guardia quello aggregatosi questa sera, 20 novembre 2013, all’Alcatraz di Milano. Il locale è chiuso per la metà e inizialmente l’affluenza sembra al di sotto delle aspettative, ma man mano che si avvicina l’ora di inizio del concerto, la calca aumenta. Quando le luci si abbassano e sul palco emerge l’inequivocabile capigliatura di Gillespie, il pubblico è ormai ben compattato.
Sono i conturbanti nove minuti di “2013” ad aprire la tappa milanese ( e l’unica italiana) del tour promozionale per il decimo album dei Primal Scream, "More Light". Un Lp che colma la voragine tra il rock di matrice rollingstoniana di "Screamadelica" e le successive sperimentazioni techno-pop, non certo andate tutte a buon fine. Il gruppo di Glasgow ha chiaramente assorbito al meglio tutte queste esperienze musicali, assimilandole e reinserendole nella cornice più puramente rock, con cui hanno esordito.
In questa prima traccia, la voce di Bobbie Gillespie - fortunatamente non intaccata dal passare del tempo - dialoga armonicamente con la melodia del sax. È poi il turno dell’accattivante "Hit Void". Il pezzo inizia con dei toni quasi rockabilly, per poi degenerare bruscamente in un’atmosfera più dark e psichedelica. Le chitarre e la batteria diventano più mordenti, il pubblico si lascia andare, mentre Gillespie, con i suoi cinquant’anni suonati, riesce a coinvolgere le prime file dell’audience meglio di molti performer con la metà dei suoi anni.
Si torna al rock più tradizionale, un vero e proprio balzo nei primi anni Novanta con “Jailbird”. Gillespie sembra giochi con il pubblico, spesso la similitudine con Mick Jagger è portata a livelli parossistici, al limite dello scimmiottamento. Il risultato comunque è buono, e il mosh pit sotto il palco ribolle, ritmato dal tamburello e dalle mosse di danza del cantante.
Riemergono i synth e i toni lo-fi con "Burning Wheel". “I’m sinful, I’m sly” ("Sono peccaminoso, sono subdolo"). Un testo che si accorda perfettamente alla sinuosità delle tastiere. I Primal Scream con questo pezzo ci riportano per pochi minuti alle sperimentazioni e alle contaminazioni multi-genere che hanno caratterizzato l’Lp "Vanishing Point".
Arriviamo ora al vero e proprio climax del live, la cavalcata rock “Shoot Speed/Kill Light”. Il pubblico è completamente ipnotizzato da questo pezzo, un incantesimo strumentale che lascia tutti in stato di trance estasiata. C’è da dire che qui si nota la bravura dei nuovi arrivati, la bassista Simone Butler e il chitarrista Barrie Cadogan. Quest’ultimo non finisce di sorprenderci piacevolmente nella successiva "Accelerator", anche se comunque Andrew Innes continua a farsi pienamente rispettare.
Gillespie lancia la propria invettiva dal palco dell’Alcatraz pronunciando a raffica il testo di "Culturecide", una perfetta testimonianza delle recenti contaminazioni hip-hop del gruppo. Questo pezzo sembrava essere un po’ debole sul disco, ma durante il live show è drasticamente rivitalizzato. Segue l’electro-lullaby "Tenement Kid", dalle tonalità fosche, quasi lugubri, amplificate dallo strisciato di Darrin Mooney.
"Walking With The Beast", e la successiva "Goodbye Johnny", in cui pervadono significativi echi di bossa nova, richiamano forse fin troppo i fasti dell’età loureediana - o dei Velvet Underground, se preferite - e sono una delle poche note stridenti di una performance altrimenti di buonissimo livello.
Con "Turn Each Other Inside Out" si lascia ancora spazio a chitarristi e bassista di esibirsi in tutta la propria maestria, specialmente le chitarre che, pur non perdendo mai la verve, mantengono per tutta la performance una precisione impeccabile, messa a dura prova dai giri intricati di questo pezzo.
Le sonorità assumono tonalità post-punk in "Autobahn 66", ma si ritorna subito al rock coinvolgente con "It’s Alright, It’s Ok", pezzo del loro decimo album, ma che potrebbe inserirsi senza troppe difficoltà nella tracklist di "Screamadelica". Senza che il pubblico se ne renda pienamente conto, il bridge finale di questo pezzo si tramuta in una versione rock&roll di "Oh Happy Day", provocazione che il pubblico accoglie divertita, ritmando puntualmente con battiti di mani corali. Con "Swastika Eyes" l’Alcatraz sembra assumere provvisoriamente le sembianze di un rave inglese degli anni Ottanta, i toni sono quelli della disco music più primitiva, forse anche troppo.
"Country Girl", che dovrebbe essere uno degli inni per gli aficionados della band, è sfortunatamente il pezzo in cui il cantante sembra accusare i primi segni di stanchezza. Il ritornello è affannato, Gillespie non riesce a veicolare tutta la potenza che necessita un pezzo simile, ma il pubblico non sembra accorgersene e nel mosh pit i ragazzi si spingono con forza sempre maggiore. Ed è con "Rocks Off", un altro pezzo corale reminiscente dei Rolling Stones, che si chiude la prima parte.
La band torna sul palco per l’encore e ripropone i grandi successi di "Screamadelica": "Higher Than The Sun" (impreziosita da un piccolo omaggio ai Nirvana: Gillespie inizia infatti il pezzo intonando un verso di "Heart-Shaped Box"), "Loaded" e "Movin’ On Up". Hanno ripreso un po’ di fiato nel break e la resa è fantastica. Il pubblico è in visibilio, le mani ormai ritmano tutti e tre i pezzi spontaneamente, i corpi si muovono a tempo con la musica, ma senza troppa ressa. Un esempio perfetto di come si dovrebbe assistere a un concerto.
Il live di questa caleidoscopica compagine si chiude qui. È chiaramente ben riuscito su tutti i fronti: sono riusciti a promuovere il nuovo disco, presentando in maniera ottima le canzoni dell’ultimo album, anzi in alcuni casi addirittura potenziandole rispetto alla versione studio; e sono riusciti ad accontentare i fan di tutte le età, con una setlist composta da un mix bilanciato di passato e presente, un dialogo che è portato avanti principalmente da "Screamadelica" e, ovviamente, "More Light". Una performance in conclusione ottima, un viaggio nel tempo e nella musica, che i Primal Scream hanno saputo pilotare magistralmente.