Per essere i cosiddetti giorni “della merla” c’erano almeno dieci gradi a Bologna (solita umidità tritaossa a parte), ma l’anno nuovo necessitava di una scossa per ingranare in direzione dei prossimi live. In quest’ottica si sono collocati i Blackbird Days, la due giorni made in Covo Club, giunta alla sua terza edizione, che ogni anno si propone di scaldare i motori con ghiotte proposte più o meno conosciute.
La prima serata del mini-festival è inaugurata dalle brevi e potenti sferzate a metà strada esatta tra metal e hardcore dei Rough Touch, quartetto ferrarese con all’attivo due soli Ep, il demo “Rough Touch ‘19” (2019) e “Sanctify Darkness” (2023), la cui scaletta per l’occasione include due cover, i micidiali guitar-riff a perdifiato di “Judgement Day” degli Integrity, tra le maggiori influenze riscontrate nei brani del gruppo, e una traccia dei Manowar, molto ben interpretate. Credibile e mai forzato, il gruppo si muove sicuro di sé in scena e il cantato in growl del frontman non manca un colpo; ad attestarsi il titolo di highlight dell’esibizione sono i cambi di passo repentini dell’esplosiva “Place In This World” .
Arriva il turno dei Lightinf. e lo scenario cambia totalmente, con un telo di gallagheriana memoria recante la scritta “Rock ‘N’ Roll” che fa capolino sul palco e qualche outfit brit anni Novanta al seguito. La performance è incentrata sull’album di debutto “All Conditions Gear” (che per colore della copertina e titolo può rievocare lontanamente “Different Gear, Still Speeding” dei Beady Eye), uscito il giorno stesso, che mescola rapide derive hc e qualche sprazzo tra new wave e post-punk. A risaltare dal vivo è senz’altro la quota hardcore-punk, tuttavia i componenti della band appaiono talvolta leggermente disallineati, con il rischio di sovrastarsi l’un l’altro; al netto di ciò, le chitarre della tagliente “Souls On Ice” e l’orecchiabile “Frozen Feelings” si confermano punti focali dello show come su disco.
Unici guest dell’intera edizione a provenire dal Regno Unito, gli scozzesi Soapbox ricoprono il ruolo di headliner della prima tranche di gruppi, collegati dal fil rouge delle atmosfere hardcore declinate in diverse maniere. Grazie al solo Ep “Hawd That” (2024) e a una manciata di singoli, il quartetto ha accresciuto gradualmente la sua fama nell’ultimo anno e mezzo, puntando tutto sulla resa della dimensione dal vivo.
La reboante “Mad Jungle Beat” detta i ritmi dell’energica esibizione in crescendo, passando per le rapidissime incursioni di “Stiff Upper Lip” e i battimani, le esplosioni e il drumming fuori controllo di “Private Public Transport”. In corso d’opera il cantante Tom Rowan si rivolge al pubblico a più riprese un po’ in spagnolo e un po’ in italiano, ottenendo un coinvolgimento sempre maggiore da parte della platea; si fanno notare le bassline incalzanti di “Meter Made” e “Yer Da”, e a quest’ultima fa seguito l’apprezzatissima e più breve “Fascist Bob”, che si colloca nel filone di Amyl And The Sniffers e soci, replicata in occasione dell’encore, con conclusione del set principale sui piccoli poghi di “Prince Andy”.
Niente di troppo rivoluzionario a livello di sound, ovviamente, ma alcuni pezzi dal vivo riescono a smuovere efficacemente la situazione, con il frontman sempre in prima linea, che tra interventi e balletti fra il molleggiato e il febbrile, si dimostra un discreto mattatore in grado animare folle desiderose di fare un bel po’ di baccano.
Il filo conduttore su cui viaggia la seconda giornata del festival è invece all’insegna delle sonorità dark, con un focus sulle influenze dream-pop e shoegaze. Il primo nome a cui spetta il compito di rompere il ghiaccio è quello dei Casa Gialla, duo di base a Venezia che amalgama atmosfere darkwave a una matrice cantautorale. A sentire una traccia valida come “Aldilà”, e a lasciarsi catturare tra le spire della seduzione oscura di “Veleno”, rimarcata ancor di più dalla figura ammaliante della cantante Giuditta Fabiani (conosciuta anche con il moniker di Giudimorale, suo progetto solista), risulta impossibile non citare tra i rimandi più immediati i Diaframma di “Siberia”, i Serfs di “Half Eaten By Dogs” e i Molchat Doma.
Gli inediti eseguiti in chiusura presentano forse un testo un po’ più debole rispetto ai primi brani in scaletta, tuttavia il duo è ancora all’inizio e le buone potenzialità non mancano.
È la volta dei Mondaze, quartetto faentino heavy-gaze in pista dal 2016, attualmente sulla cresta dell’onda grazie a “Linger” (2024), seguito del valido debutto “Late Bloom” (2021). Innegabilmente molto preparati dal punto di vista tecnico, pagano lo scotto di ritrovarsi non avvolti ma soffocati da una plumbea e piatta nuvola di rumore che copre totalmente la voce (già poco udibile su disco) del frontman Matteo Vandelli. Non si tratterebbe di un problema immane, quando si parla di shoegaze, basti pensare ai My Bloody Valentine, derive post-rock ed estetica ad essi correlata, ma le variazioni sul tema contano, e in questo caso non ne risaltano molte. L’accento è posto sul sophomore con “Lines Of You”, che funge da apripista, e la vetta regalata dalle armonie di “Dusty Eyes”. Verso la conclusione dell’esibizione, la penna di questo articolo si guarda intorno e scorge qualche viso un po' sofferente, segnato dal passaggio degli imponenti vortici di suono.
Veniamo agli ultimi ospiti dell’evento, ovvero gli attesissimi Glazyhaze, pronti a dare un seguito all’ottimo “Just Fade Away” (2023) con “Sonic”, in arrivo a fine marzo. La loro attitudine si è confermata fin dagli esordi decisamente internazionale; non è infatti un caso che il gruppo sia stato incluso in numerose liste e playlist da svariate testate di ambito shoegaze, post-punk e affini e che si stia costruendo a piccoli passi una solida base con numerose date all’estero. I Nostri sfoderano immediatamente un trittico d’effetto, entrando a gamba tesa con le note veloci e sognanti del pezzo forte “A Glimpse Of Light”, per poi rallentare progressivamente con le melodie di “Saltless” e gli echi dell’oscura pseudo-ballata “Censor Me”.
Si continua con una tripletta di novità incluse in “Sonic”, ovvero le rapide sferzate di batteria di “What A Feeling”, i cori pop di “Nirvana”, eseguita a due voci da Irene Moretuzzo e dal bassista Vsevolod Prokhorov e le esplosioni dell’intensa e brillante “Forgive Me”. Un ulteriore vertice viene sfiorato con la lenta ballata “Ecstasy Of The Week” e il gran finale offerto dai vibranti riff di chitarra di “The Other Side”. Un’esibizione equilibrata e senza la minima sbavatura, a dir poco perfetta per concludere in stato di grazia il festivalino invernale offerto dal Casalone.
Soapbox
Mad Jungle Beat
On And On
In A Mess
Stiff Upper Lip
Meter Made
Private Public Transport
The Fear
Value Added Glasgow
Disgrace
As Yer Told
Yer Da
Fascist Bob
Prince Andy
Encore
Fascist Bob
Glazyhaze
A Glimpse Of Light
Saltless
Censor Me
What A Feeling
Nirvana
Forgive Me
Tears
Ecstasy Of The Week
Hold My Hand
Not Tonight
The Other Side