Dieci Piccoli Italiani

N.143 - Luglio 2023

di AA.VV.

01_glayhaGLAZYHAZE - JUST FADE AWAY (Slimer, 2023)
shoegaze, dream-pop

“And I don't care if this is useless / Whoever said that love is useful?”, o la riscoperta delle proprie vulnerabilità e dei sentimenti, abbracciandoli liberamente e senza alcun timore. L’ammaliante “Just Fade Away” è un piccolo scrigno dalle reminiscenze ninetiesche reca il volto e la firma dei giovanissimi Irene Moretuzzo e Lorenzo Dall’Armellina. Il progetto Glazyhaze, oggi di stanza a Venezia, ha visto la luce nel 2021 e porta in dote influenze di matrice dream-pop, alt-rock e tratti psych-rock, oltre ad un focus sui più classici pilastri shoegaze Slowdive e My Bloody Valentine (rischiosi da maneggiare), il tutto corredato da testi introspettivi. I ronzii e i bagliori di “Ouverture” echeggiano i Wolf Alice guidati da Ellie Rowsell, mentre la concentrica e diluita “The Shadow Of Your Smile” funge da anticamera alle pregevoli “Tears”, che si accosta alle delicate melodie dei Cocteau Twins, e “Saltless”, i cui rimandi oscillano tra Lush e Slowdive. Segnano la metà del disco l’incantevole e tormentata pseudo-ballad “Censor Me” e il prosieguo “Haze”, aumentando la velocità con l’armonica “A Glimpse Of Light”, che scivola tra i My Bloody Valentine e i validi Alvvays. Ristabiliscono l’equilibrio la chitarra acustica e i riverberi conclusivi della più eterea “Ecstasy Of The Weak”, avviandosi ad una chiusura in dissolvenza con “Hold My Hand” e la catarsi liberatoria conferita dai riff dell’ottima “The Other Side”. Sebbene la tendenza sia spesso quella di catalogare questo genere di opere come parzialmente derivative, è innegabile che ogni chiaroscuro presente nelle tracce dell’inafferrabile “Just Fade Away” risulti credibile e dal taglio personale, fuori dal tempo, ma non nostalgico. Considerate le premesse del debut, non rimane che tenere d’occhio l’evoluzione dei Glazyhaze, in attesa di scoprire quali altre idee promettenti potrebbero avere in serbo (Martina Vetrugno7/10)


02_violetanVIOLET AND THE BUTLER - 9 (autoprod., 2023)
jazz

Brillante esordio per il trio romano composto da Martina Pelosi, Massimiliano Barbaliscia e Michele Leiss, con i contributi in sede di scrittura di Isabella Grimaldi. Ambientazioni notturne dove è il colore viola, non a caso, a definire i contorni, una voce – a tratti tormentata, quella di Martina - che squarcia il silenzio, tastiere a tessere i fili del discorso, una batteria a sostenere la ritmica, un sax tenore a imporsi non di rado con imperiosità. Tutti gli ingredienti dei Violet And The Butler son definiti sin dai quattro minuti e mezzo dell’iniziale “The Dust Sever”: di fatto una versione jazzy dei Portishead, che lascia intercettare un’impressionante gamma di influenze nel personale mix stilistico. Il trio stesso indica fra i propri ascolti formativi non soltanto i classici del jazz ma anche BeatlesRadioheadMuseJeff Buckley e Tori Amos. “Ivory” potrebbe essere la colonna sonora di una spy-story, “King Of Ice” mostra uno svolgimento da rock ballad intimamente malinconica, “Precipizio” è un delicato strumentale non privo di sorprese, “New Year Song” l’avvolgente chiusura dai vaghi sentori radiofonici. Brani originali dalla veste elegante e raffinata e dalle poliedriche sfumature, che dal vivo vengono eseguiti alternati alla rivisitazione di grandi capolavori del passato, mostrando sempre un innato gusto per l’improvvisazione (Claudio Lancia7/10)


03_underdUNDERDOG - UNDERDOG VS UNDERDOG (Phonosphera, 2023)
alt-rock

Formati da due vocalist e strumentisti in quel di Roma, Diego Pandiscia e Barbara “Basia” Wisniewska, gli Underdog cominciano con “Zeno” (2006) e “Keine Psychotherapie” (2009) dominati da uno spirito tutto mitteleuropeo insieme bohemienne, circense e maudit, conditi dalle strepitose evoluzioni dei due cantanti (strega lirica lei, demonietto conturbante lui) e immerse in un clima d’improvvisazione fusion scalcagnata e vibrante, fino a “Keep Calm” (2012), ancor più sbrigliato. Dopo quasi un decennio il terzo “Underdog Vs Underdog” come da titolo raccoglie due sessioni distanti nel tempo. La prima, risalente al 2015 e non poco connotata dal pianismo di Alberto Fiori, raccoglie i brani che avrebbero dovuto dar seguito a “Keep Calm”: la frenesia lounge-jazz di “Where Did I Sleep Last Night”, con cui stropicciano letteralmente il refrain di “Crucify” di Tori Amos, l’ancor più jazzistica, fantasmagorica e Jefferson Airplane-iana “Mirrors”, con una Wisniewska divenuta Grace Slick insinuante e nevrotica e un Pandiscia divenuto Marty Balin oracolo delirante, e lo scorrevole funk di tic isterici e dilatazioni psichedeliche canore di “Silent Insect”. La seconda, risalente alla pandemia e completata con Lorenzo Tarducci alla chitarra e Jacopo Dell’Abate all’elettronica, perde un po’ di giri mentre si avvicina appena al pop-rock tradizionale. “Mean” si fonda sul “Laura Palmer’s Theme” di Badalamenti, mentre “Mare Mostrum” (esplicitamente dedicata alla tragedia dei migranti) si basa su una soundscape onirica che coerentemente naufraga in onde marine e nubifragi strumentali, quindi “Jungle Lemon Bomb” approccia il drum’n’bass elettronico e “Come ogni estate”, altro esperimento, si rarefà in una piccola babele linguistica e a-ritmica. Disco solo sulla carta scisso, in realtà amalgamato dalla transizione alla maturità, e pure da un trasparente concept acquatico. Una diversa attestazione del loro genio: meno eccessi, poca follia balcanica, più compostezza anche per via della mancanza di ottoni e fiati. Ma c’è, comunque, genio. E due spanne sopra la media. Pandiscia è anche valente bassista. Come brano non spicca molto, in compenso “Cold Moon In Deep Water” ha un bel videoclip realizzato con la AI dai videomaker di Contaminazioni (Michele Saran6,5/10)


04_teoederTEO EDERLE - FISHES (Flying Robert Music, 2023)
avant-jazz

Con “Fishes” il bassista Teo Ederle perviene a un progetto radicalmente personale, nonostante il suo quid sia spesso lasciato ai comprimari con cui si accompagna (la denominazione 4-5tet). Ad esempio in “A Dugongo Called Arnold”, jazz-rock funkeggiante, il cuore improvvisativo consiste in smarrimenti psichedelici della chitarra e un chiacchiericcio dixie dei fiati. La trasformazione allucinatoria in “Manta Marilde” muove da un tema ballad del solo sax. Di contro, la fosca e serpentina fusion di “Octopus Full Moon Dance” sbanda nel caos collettivo. Pimpante e circense, “Dennis The Sand Hopper” invece si spegne in un silenzio di gesti d’avanguardia, fughe baroccheggianti e swing instabili. Tuttofare dalle mille carriere, lo scafato veronese realizza, con qualche ammollimento di tensione sul piano compositivo, uno sfuggente concept di jazz ittiologico e istologico di distinta fattura. Lo descrive con la miglior sintetica perfezione il brevissimo finale di “One Minute Plancton”, un minuto di fraseggi immersi in distorsioni acide e gragnuole ritmiche. Tracce di elettronica povera a cura del chitarrista Enrico Terragnoli (podophono). Bandello: fenomenale generatore di tempi irregolari (Michele Saran6,5/10)


05_naroNAROVA - LA FINE DEL GRAN CASINO EP (Stand Alone Complex, 2023)
songwriter

Trasferito da Sannicandro (Bari) a Berlino, Narova (Nicola Proscia) trova la giusta ispirazione per debuttare con l’Ep “La fine del gran casino”, strutturato con piccoli strumentali “Prologo” e “Epilogo” a delimitare un trittico di canzoni. In realtà tutto sfuma senza strappi tra il “sadcore” di folk-rock crepuscolare del “Prologo” e la prima “Caro fiore”, salmo esistenzialista colto tra Morrissey e il gregoriano. “Seconda” è ancor più levitante, spirituale, al limite del cantico ecclesiale, e sempre con la giusta intonazione “Moby Dick” importa qualche gracile fibra d’accompagnamento, una sezione ritmica acustica e un simil-accordion. Profondità lirica e colore d’atmosfera. Onore al merito, per questo, a finali e interludi reminiscenti di acid-rock e space-rock: appena più enfasi oltre i vagiti pastorali. Due comprimari ben diretti (David Dessert, Eduard Modestow) (Michele Saran6,5/10)


06_gin_600_02GINNY - IF I’M NOT LOVING YOU (EEEE, 2023)
indie-folk

Con Paolo Spaccamonti alle chitarre elettriche, la cantautrice Ginevra Fenoglio esordisce con un Ep di indie-folk mesto ed emozionale. Inserendosi nel solco tracciato da Phoebe Bridgers e soprattutto dalla Lucy Dacus acustica e meditabonda, le sei canzoni di “If I’m Not Loving You” tratteggiano un percorso di formazione sul cui sfondo balugina sempre il tema amoroso. Il bacio passionale della copertina appare però delicatamente immerso in un cielo nebuloso, come sospeso in un ambiente mentale tra la fantasia e la rimembranza. Si tratta del resto di un’impressione rafforzata dagli arrangiamenti dolci e raffinati che sostengono il canto confessionale di Ginevra. E sono proprio le scelte strumentali e di contorno che riescono a riscattare le canzoni da quei modelli impliciti a cui sono particolarmente vicine sul profilo melodico. “If I’m Not Loving You” rappresenta dunque un buon debutto sulla corta distanza che speriamo possa avere un ulteriore seguito e che possa riscontrare interesse anche oltre i confini nazionali e italofoni (Daniel Moor6,5)


07_onehorsebONE HORSE BAND - USELESS PROPAGANDA (Go Down, 2023)
garage-rock

“Useless Propaganda” di One Horse Band comincia con “Santa Claus”, un lento che riporta persino agli Skyliners ma che, in mano sua, assume tratti di una ballata tossica Lanegan-iana. Non è l’unica concessione a forma-canzone e melodia. “Killing Floor” dà sul refrain epico con fare da Howlin’ Wolf, “It’s Gimmick” fa prevalere coretti doo-wop a dispetto del suo impeto in stile Sonics, e “A Little More” persino punta tutto sull’atmosfera, per quanto sfilacciata. Tra tutte, l’eponima “Useless Propaganda” impiega un canto tra rap e talking-blues (e un battito bombastico post-techno). Ma la sua specialità rimane ancora il fragore garage-punk, con cui peraltro dà vita a una delle sue più trascinanti, l’intersezione tra hardcore e hard-rock di “I Sing”, come pure la fitta maligna di “Hello Charlie”. Terzo album per l’ignoto, “equino” power-bluesman dal milanese, registrato in Canada con Dave Schiffman che gli presta anche una goccia della tromba di Tom Moffett dei rimpianti Fat As Fuck, e primo per la dura e pura Go Down Records. Dei tre è però il meno purosangue, abbastanza vario, a tratti confessionale e persino cantautoriale visto pure il concept di fondo (dall’innocenza alla disillusione). Soliti limiti di ridondanza, ma sempre in un’intensità niente male di distorsioni e cadenze che lo mette in luce, definitivamente, anche come shouter d’imitazione. Testi riportati su un simil-newspaper in allegato (Michele Saran6/10)


08_dangdaDANG DANG - LIAR (autoprod., 2023)
dance-rock

Il quartetto cesenate dei Dang Dang rimarca la distanza dalla nu wave epica-tribale, pure con sfondamenti nella neo-psichedelia, del debutto “You Should Be Happy” (2016) con il terzo “Liar”, ingioiellandosi anzitutto della canzone eponima, sorta di “Can You Feel It” di Michael Jackson accelerata alla quintupla velocità e dopata di pulsazione demonica e canto drammatico, qualcosa che avrebbe allettato Jim Steinman. Altri veementi incaponimenti danzerecci stanno nelle jam a locomotiva con cui si prolungano le già estese “Cheap Chinese Clothes” (9 minuti) e ancor di più la band-track “Dang Dang” (10 minuti), un rave alla Planet Funk con qualche secondo di dannazione canora e un assolo di sax invischiato in clangori elettronici. Gli altri momenti lunghi sono invece anche fiacchi (“The Frost”, “After The War”). Il complesso mostra una certa coscienza stilistica in incipit basati su citazioni intelligenti e dotte, da Vangelis (“Filthy White Lies”) a Eno (“Not Safe Enough”), anche se quanto segue non raggiunge quelle aspettative, ma “Sex With Him” è solo una rispettosa imitazione di Visage, Berlin e new romantic assortita, e, analoga, “Body Reaction” suona come un semplice remix acid-funk dei Human League (anche se il refrain ha un certo fascino). Concepito e realizzato nel lockdown, è più che altro il figlio evoluto della svolta elettrodance inaugurata dal predecessore “Bellaria” (2019). Padronanza e personalità del complesso (Matteo Castagnoli e Fabio Borroni, i fondatori, più Lara Zambelli e Nicola Bustacchini) sono fuori discussione. Ma il ricorso a decorazioni kitsch e stereotipi spesso stucca e crea frizioni: la cover di “Vamos A La Playa” ne dà pratica dimostrazione. Al solito distinto il sax di Paolo Gradari dei Cazale (Michele Saran5,5/10)


09_klid_600KLIDAS - NO HARMONY (Bird’s Robe, 2023)
prog-rock

Emanuele Bury, chitarra e voce, Francesco Coacci, basso e voce, Samuele De Santis, sax, Alberto Marchegiani, tastiere, e Giorgio Staffolani, batteria, sono i Klidas di “No Harmony”. La jam iniziale di “Shores” suona solennemente e liricamente impressionistica quanto può esserlo un ibrido di post-rock e prog. Già meno chiari gli intenti e già più scarica la passione in pezzi come “Shine” e “Arrival” (spunti jazz-rock, svarioni di tempo e clima, distorsioni metal), pur superiori come composizioni. “The Trees Are In Misery” è un altro treno indaffarato, quasi ingorgato, spedito verso il prog-metal. Più breve e più intenso “Not To Dissect”, acceso di virtuosismi un minimo spericolati, e forte di un piglio jazzcore. Prodotto maluccio (pochi bassi) e un tantino anacronistico, scarsino d’idee memorabili per giustificare la sdata riproposizione di un genere vecchierello. Realizzato a quasi un decennio dalla fondazione, il debutto del quintetto maceratese non a caso si regge su costrutti oliatissimi, pianificati al punto da perdere la primordiale scintilla d’improvvisazione, e su rifinite, spettacolose capacità tecniche. Titolo fuorviante: l’armonia c’è eccome. Edito da Bird’s Robe Records, australiana specializzata in avant-prog (Michele Saran5,5/10)


10_angelosicu_600ANGELO SICURELLA - CIGNI (Limone Lunare, 2023)
songwriter

All’indomani di “Surfin’ Gaza” (2014) e dell'album omonimo (2016) dei suoi Omosumo, Angelo Sicurella debutta solista con un trittico di Ep, “Orfani per desiderio” (2015) e il lungo “Yuki O” (2017). Ci vogliono sei anni per arrivare al seguito “Cigni” con cui supera trivialità techno-pop ma da cui emergono altre criticità. “Fossili” potrebbe essere una buona elegia post-Battiato ma s’incarta in una stridula serenata isterica, e “Aria” abbraccia con grazia il neo-soul digitale, anche se rimane un po’ arida e irrisolta. Da “Orbi” emerge uno zuccherato spirito da chansonnier italico alla Gino Paoli, e “Emi” persino riecheggia la one-hit wonder “Daisy” di Daniele Groff. La lunga “Universo” è l’epitome con appena più grinta del soft-disco in cui annaspa il grosso del progetto. Prodotto ancora col fido Francesco Vitaliti, il disco racchiude stimoli che fanno a pugni e un tour-de-force di temi: ecologia, distopia, utopia, nostalgia. La quadra cerca di trovarla l’elettronica, la sempre brava Simona Norato maghetta delle tastiere, Donato Di Trapani, e NTNTN - alter-ego di Sicurella in veste di producer - cui si deve l’ambient-techno di “Giungla”, fuori posto, persino sprecato (Michele Saran4,5/10)

Discografia

GLAZYHAZE - JUST FADE AWAY(Slimer, 2023)
VIOLET AND THE BUTLER - 9(autoprod., 2023)
UNDERDOG - UNDERDOG VS UNDERDOG(Phonosphera, 2023)
TEO EDERLE - FISHES(Flying Robert Music, 2023)
NAROVA - LA FINE DEL GRAN CASINO EP(Stand Alone Complex, 2023)
GINNY - IF I’M NOT LOVING YOU(EEEE, 2023)
ONE HORSE BAND - USELESS PROPAGANDA(Go Down, 2023)
DANG DANG - LIAR(autoprod., 2023)
KLIDAS - NO HARMONY(Bird’s Robe, 2023)
ANGELO SICURELLA - CIGNI(Limone Lunare, 2023)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Dieci Piccoli Italiani sul web

  Glazyhaze

  Violet And The Butler

  Underdog

  Teo Ederle

  Narova

  Ginny

  One Horse Band
  Dang Dang
  Klidas
  Angelo Sicurella