Ai londinesi Wolf Alice erano bastati una manciata di singoli per diventare l'ennesima next big thing dell'indie-rock britannico. Ma, per una volta, l'hype della stampa inglese si è rivelato più che giustificato. Il loro percorso, all'insegna di un'invidiabile varietà stilistica, mostra infatti una band in continua evoluzione, capace di stupire a ogni nuova uscita. Da grandi poteri derivano, però, grandi responsabilità, a tal punto che oggi il Telegraph si chiede se i Wolf Alice riusciranno, da soli, a salvare i gruppi rock britannici dall'irrilevanza. Una richiesta probabilmente esagerata per una band che, in fin dei conti, si era posta un obiettivo apparentemente molto più semplice: rendere la propria musica una travolgente ondata di emozioni, in grado di trasmettere vibrazioni diverse. Per farlo, Ellie Rowsell & C. hanno scelto una delle formule più vincenti (ma anche più abusate) della storia del rock: la continua alternanza fra rumore e melodia, fra rabbia e dolcezza, che fece la fortuna in particolar modo del grunge. I Wolf Alice sono diventati così tra i principali portabandiera di un ritorno alle atmosfere che avevano caratterizzato il rock alternativo degli anni 90: Clash Magazine ha coniato per loro il termine folk-grunge, mentre il New Musical Express in un primo momento li ha descritti come "la versione shoegaze delle Hole, ma con melodie migliori".
Appare tuttavia riduttivo tirare in ballo i soliti discorsi triti e ritriti sulla nostalgia, dal momento che, per evidenti limiti anagrafici (Joff Oddie e Joel Amey sono nati nel '90, Ellie Rowsell e Theo Ellis nel '92), i quattro componenti i Nineties li hanno vissuti più che altro in retrospettiva. Alcune influenze, infatti, appaiono spesso inconsapevoli. Quello dei Wolf Alice è un sottile equilibrio: pescano a piene mani dal passato, senza però mai diventare anacronistici; le loro canzoni sono troppo fresche e personali per essere bollate come meramente revivaliste. E la loro sensibilità rimane sempre contemporanea, così come appaiono evidenti le pretese generazionali di cui sanno farsi validi portavoce.
Al fascino dei Wolf Alice contribuisce in modo determinante l'imprevedibile vocalist Ellie Rowsell, nata come cantautrice folk e ben presto trasformatasi in capricciosa punkette, in grado di interpretare sia il ruolo di ragazzina fragile che quello di femme fatale, alternando lugubri poemi gotici a sfoghi adolescenziali, il tutto senza perdere di credibilità. Una cantante-chitarrista vocalmente eclettica e dalle innumerevoli possibilità espressive: che si tratti infatti di urla rabbiose, sussurri delicati, interpretazioni nevrotiche, ricami fanciulleschi o saliscendi onirici, per lei non fa differenza alcuna. Ad affiancarla, il suo più stretto collaboratore musicale, il chitarrista Joff Oddie, alla costante ricerca di effetti, distorsioni e diavolerie sonore varie; il suo migliore amico, Theo Ellis, bassista e anima goliardica del gruppo; and last but not least, il batterista Joel Amey, importante anche nel ruolo di seconda voce.
Gli esordi: dal folk al grunge
Cresciuta nella comunità irlandese di Londra, Ellie Ciara Rowsell fin da piccola compone racconti e poesie. A 14 anni impara a strimpellare la chitarra: il suo primo mito giovanile è Avril Lavigne, presto rimpiazzata da Karen O degli Yeah Yeah Yeahs; poi, grazie a Blur e Nirvana, si avvicina all'alternative rock degli anni Novanta. Maturata un po' di esperienza con il programma GarageBand, nel 2010 decide di fondare un duo acustico insieme all'amico Joff Oddie, di due anni più grande di lei. Nascono così i Wolf Alice, il cui nome deriva da una fiaba horror scritta nel 1979 da Angela Carter ("Lupo-Alice", una sorta di rivisitazione di "Cappuccetto Rosso" e "Alice nel Paese delle Meraviglie").
Progressivamente, la formazione si allarga con l'ingresso di due nuovi elementi, la bassista Sadie Cleary e il batterista James DC. Sempre nel 2010, i Wolf Alice pubblicano un Ep omonimo, autoprodotto e distribuito soltanto in formato digitale. Tre tracce in tutto, piuttosto suggestive (spaziano dall'indietronica al folk), oggi reperibili soltanto su SoundCloud e su YouTube.
Nel 2012 la band assume finalmente l'assetto definitivo: Joel Amey rimpiazza James DC dietro le pelli, Theo Ellis diventa il nuovo bassista. I due nuovi membri portano con sé idee e influenze musicali, che spingono i Wolf Alice ad abbandonare le velleità acustiche di inizio carriera, irrobustendo decisamente il proprio sound. Tra febbraio e maggio del 2013 escono i primi singoli fisici della band, "Fluffy" e "Bros", destinati a diventare tra i loro brani più apprezzati, benché si tratti di due versioni ancora embrionali rispetto a quelle che avrebbero poi registrato per l'album d'esordio.
A ottobre è invece la volta del primo Ep ufficiale: quattro canzoni che mostrano già appieno le qualità dei Wolf Alice. Il pezzo forte è "Blush", con il suo appiccicoso ritornello-scioglilingua ("Punch drunk, dumb struck, pot luck happy, happy"), ma destano ottime impressioni anche "She" (con reminiscenze dei primi Arctic Monkeys) e "90 Mile Beach" (ballata narcolettica in stile Smashing Pumpkins).
Blush rappresenta il lasciapassare per la firma con la Dirty Hit, emergente etichetta divenuta improvvisamente centrale nella scena indipendente britannica grazie all'exploit dei 1975.
Passano pochi mesi e i Wolf Alice rilasciano un nuovo extended play, Creature Songs, con altri quattro brani altrettanto incisivi. A far drizzare le antenne agli addetti ai lavori e agli appassionati è soprattutto "Moaning Lisa Smile", trascinante inno grunge che riporta indietro le lancette ai tempi dell'età d'oro della musica di Seattle, con tanto di citazione ironica del leggendario videoclip di "Smells Like Teen Spirit". Alternando strofe melodiche a ritornelli rumorosi con le chitarre in primo piano, Ellie Rowsell e compagni dimostrano di aver imparato alla perfezione la lezione piano/forte dei Pixies. "Storms" riprende il sound muscolare di gruppi shoegaze come Swervedriver e Catherine Wheel che, a metà anni 90, flirtavano pesantemente con il grunge. Nei Wolf Alice, tuttavia, è presente fin dagli inizi un lato più psichedelico e sognante, ben rappresentato da "Heavenly Creatures" e "We're Not The Same". Questo mix di influenze provenienti dai Nineties - grunge e shoegaze, dream pop e neo-psichedelia - rappresenta la cifra stilistica della band londinese: Slowdive meets Nirvana, sintetizza la stampa inglese.
My Love Is Cool (2015)
I Wolf Alice sono attesi al varco dopo i promettenti Ep: riusciranno a confermare quanto di buono mostrato finora? Ci pensa My Love Is Cool, il primo album in studio, a sciogliere ogni dubbio: la fiducia è stata ben riposta, ne è valsa la pena di scommettere su di loro. Chi si aspettava un disco di soli chitarroni è destinato, però, a rimanere deluso fin dalle prime note di "Turn To Dust", una misteriosa filastrocca appena sussurrata da Ellie Rowsell. Spetta poi alla versione riveduta e corretta di "Bros", una delle prime canzoni scritte dalla cantante, fissare il mood dell'opera, velato di dolce malinconia e con una leggerezza che rimanda all'album d'esordio dei Cranberries. Un altro brano chiave, in tal senso, è "Lisbon", un'introversa ballata indie-pop, tenera e chiassosa allo stesso tempo, che parla della paura che si prova quando si è innamorati (in grado di far precipitare in un "buco nero più profondo della morte").
Da "nuovi Nirvana con voce femminile" a "versione più raffinata degli Yeah Yeah Yeahs" il passo è dunque breve. In realtà, la passione per il grunge ritorna negli stop and go di "You're A Germ" (per cui viene girato anche uno spassosissimo video horror), nelle urla isteriche da riot grrrl presenti nel ritornello di "Fluffy" e nel finale incandescente di "Giant Peach", uno dei loro cavalli di battaglia nei concerti dal vivo. C'è posto anche per il noise-pop ancora acerbo di "Your Loves Whore" e per l'improvvisa coda elettrica che rianima l'eccellente "Swallowtail", l'unico brano cantato da un altro membro della band (ovvero il batterista Joel Amey) e paradossalmente pure il più maturo.
La doppietta formata da "Silk" e "Freazy" rappresenta la maggiore concessione al pop mainstream e alle tendenze radiofoniche del periodo. La prima, in seguito inserita nella colonna sonora del sequel di "Trainspotting", fa un po' il verso sia a Lana Del Rey che a Lorde; la seconda sembra invece la risposta indie a "Call Me Maybe", il tormentone estivo di Carly Rae Jepsen. Riferimenti tuttavia in contrapposizione con i testi, piuttosto cupi e ispirati al romanzo "Le vergini suicide" di Jeffrey Eugenides.
Ellie Rowsell, la principale autrice della band, privilegia tematiche adolescenziali, in modo magari un po' ingenuo ma sincero, con qualche piccola ambizione poetica. I suoi monologhi interiori toccano principalmente temi come l'amore non corrisposto, il senso di inadeguatezza, la morte e la solitudine. E in "Soapy Water" la cantante lancia il proprio grido d'aiuto, con versi disperati come "Is hard to live when is good to die". Ci pensano i video musicali, in ogni caso, a stemperare la tensione, mostrando il sano senso dell'umorismo dei Wolf Alice, che emerge in modo preponderante anche dalla loro gestione dei social.
Il disco non poteva che concludersi con la presenza di una ghost track - un cliché inevitabile visti i frequenti rimandi agli anni 90 - dal sapore lo-fi, con Ellie che invita l'ascoltatore nella sua cameretta per insegnarle il rock'n'roll.
My Love Is Cool va alla grande in patria, dove debutta al numero due e viene certificato disco d'oro, mentre dall'altra parte dell'oceano entra timidamente nella Top 100 di Billboard. Anche il giudizio della critica è pressoché unanime: Nme, con il consueto senso della misura, parla di "debutto del decennio" e perfino Pitchfork, webzine solitamente poco tenera con le band emergenti d'Oltremanica, riconosce il valore dell'esordio discografico dei Wolf Alice.
La band trascorre buona parte del 2016 in tour (toccando anche l'Italia: prima all'I-Days di Monza e poi, per due edizioni di fila, al Firenze Rocks), togliendosi la soddisfazione di riempire Glastonbury. I loro continui spostamenti in autobus vengono immortalati nel documentario "On The Road", diretto dal regista inglese Michael Winterbottom. "È stato abbastanza imbarazzante recitare nella parte di sé stessi", ricorda oggi Ellie Rowsell di quella esperienza. Nell'anno seguente, la cantante presta la sua voce a due brani ("3WW" e "Deadcrush") contenuti nel terzo album degli Alt-J e si mostra attiva anche nel sociale, organizzando l'evento benefico Bands 4 Refugees; inoltre, si schiera apertamente a favore del Partito Laburista nelle elezioni del 2017, supportando il candidato Jeremy Corbyn.
Visions Of A Life (2017)
I Wolf Alice non erano rimasti troppo soddisfatti dal lavoro svolto in fase di missaggio da Mike Crossey: il risultato finale appariva, in effetti, eccessivamente sovraprodotto, il suono non rendeva del tutto giustizia all'energia mostrata dalla band nelle performance live. Per questo motivo, decidono di cercare un nuovo produttore: la scelta ricade sull'americano Justin Meldal-Johnsen, ex-bassista di Beck e già al lavoro con M83 e Paramore.
Registrato a Los Angeles e pubblicato nel settembre del 2017, Visions Of A Life è un album meno immediato rispetto al predecessore. Il punto di partenza rimangono sempre gli anni Novanta, con gli ingredienti dosati però in quantità differente: meno grunge e twee pop, più shoegaze e dream-pop. Ci pensa subito l'opening track "Heavenward" a mettere le carte in tavola: il sound si espande, la costruzione melodica si fa più sinistra e minacciosa, il clima generale più oscuro. Sotto il muro di suono creato dalle chitarre - più pastose che mai - di Oddie e Rowsell, si inserisce la voce stratificata della cantante.
La loro musica acquista una nuova dimensione dark: "Formidable Cool" appare come una rilettura ancora più perversa ed esoterica di "Giant Peach", l'ansiogena "Sky Musings" abbraccia invece l'elettronica à-la Garbage. I Wolf Alice si avventurano coraggiosamente anche in nuovi territori finora inesplorati: per esempio, l'ambiziosa title track - otto minuti di riff epici, drumming incessante, intermezzo da cheerleader, progressioni metal e finale solenne - è a un passo dal prog. Evoluzioni imprevedibili caratterizzano anche le sorprendenti "Sadboy" e "St. Purple & Green", mentre in "Planet Hunter" - una delle vette del disco - compare il Mellotron.
"I see the signs of a lifetime, you 'til I die
And I'm swiftly out, Irish goodbye
What if it's not meant for me? Love"
("Don't Delete The Kisses")
Il lato più trasognato emerge soprattutto nel folk pastorale e fuori dal tempo di "After The Zero Hour", il pezzo in cui più si sente l'influsso di Lana Del Rey, e nel synth-pop atmosferico di "Don't Delete The Kisses". Quest'ultima, oltre a diventare la loro canzone più ascoltata sulle varie piattaforme digitali, è probabilmente anche il capolavoro dei Wolf Alice: su una base quasi ambient, dopo una prima parte onirica, Ellie Rowsell recita uno spoken diviso in due parti e inframezzato da un glorioso ritornello. Un anthem degli anni Dieci, la perfetta colonna sonora per tutti quei ragazzi insicuri che non trovano il coraggio di rivelarsi alla persona amata. I testi dell'album rimangono infatti introspettivi, con la vocalist che ci rende partecipi delle sue ansie: è come se le riflessioni da lei appuntate sul suo diario personale prendessero vita sotto forma musicale.
Quantomeno bizzarra la scelta di puntare su "Yuk Foo", una sfuriata punk di due minuti scarsi ispirata dalla lettura di "Our Band Could Be Your Life" (la bibbia sul mondo dell'alternative rock statunitense degli anni 80), come singolo di lancio. Una mossa volutamente anti-commerciale, che disorienta il pubblico e desta un certo scalpore in particolare per il contestato verso "I wanna fuck all the people I meet". Il testo, sboccatissimo, va interpretato come uno sfogo personale della Rowsell, stufatasi di dover soddisfare le aspettative altrui e di essere sempre descritta come una frontwoman timida e vulnerabile.
Il disco comprende anche qualche pezzo pop-rock più convenzionale e dall'indubbio appeal radiofonico, come il secondo singolo "Beautifully Unconventional", sorretto da un riff incalzante e per il quale viene girato un video in stile anni 50 ("era solo una scusa per indossare una parrucca", scherzerà Ellie), o "Space & Time", garage rock martellante con la ritmica che richiama i Velvet Underground di "I'm Waiting For The Man".
Visions Of A Life è un lavoro tanto dispersivo quanto affascinante, forse pure pretenzioso a tratti, ma che conferma le enormi potenzialità del quartetto londinese. Col senno di poi, un disco di transizione, sì, ma nella migliore accezione del termine. I Wolf Alice, insomma, superano brillantemente l'esame del secondo album che, come si sa, è sempre il più difficile. E cominciano a fare incetta di premi, tra cui l'ambito Mercury Prize o il primo posto nella classifica dei migliori album dell'anno stilata da Drowned In Sound.
Blue Weekend (2021)
Tornati a casa dopo un'estenuante tournée mondiale in compagnia di Foo Fighters e Queens Of The Stone Age, i Wolf Alice decidono di trasferirsi in un Airbnb nel Somerset per ricaricare le batterie e ritrovare l'entusiasmo degli esordi. L'isolamento stimola il loro processo creativo e li aiuta a focalizzarsi meglio sulle nuove canzoni, scritte perlopiù in una chiesa sconsacrata, in un mondo che non ha ancora fatto i conti con la pandemia di Covid-19.
All'inizio del 2020 la band si reca a Bruxelles per registrare il disco presso gli Icp Studios: di lì a poco il virus inizia a diffondersi in tutta Europa e i quattro londinesi si ritrovano così bloccati in Belgio. Non tutti i mali, però, vengono per nuocere: il gruppo sfrutta infatti il tempo a disposizione per rifinire meglio i pezzi, perfezionandoli ulteriormente. I Wolf Alice questa volta vogliono fare le cose in grande e coinvolgono nel progetto Markus Dravs, ovvero il tipo di produttore che chiami quando ti senti pronto per sfondare sul serio (il suo curriculum, in tal senso, parla chiaro: Arcade Fire, Coldplay, Brian Eno, Björk, Florence + The Machine, Mumford & Sons, Kings Of Leon...).
Nel giugno del 2021 il nuovo album, Blue Weekend, viene finalmente immesso sul mercato. La scelta del titolo è presto spiegata: il blu è un colore che Ellie Rowsell associa alla malinconia e alla tristezza che spesso caratterizzano i suoi fine settimana.
I Wolf Alice si ripresentano con un look più glamour, a cominciare dalla stessa cantante, che nel frattempo posa anche per Vogue. E il loro gusto cinematografico trova il perfetto compimento: per promuovere l'album, decidono di girare un video per ogni canzone, raccontando un tipico sabato sera tra fughe dalla realtà, pub popolati da strane creature e spostamenti notturni in taxi e in bus. I testi affrontano le frustrazioni quotidiane, soffermandosi sulle problematiche dei ventenni ormai sull'orlo dei trenta (cambiano le priorità, si sgretolano le vecchie amicizie...).
Le tematiche rimangono quindi universali, perché le liriche della platinata vocalist continuano a parlare essenzialmente di relazioni, con una maggior apertura però rispetto al passato: ora non ha più alcun timore di mostrare al mondo esterno le sue debolezze. E in "Delicious Things", conseguenza di un irrisolto conflitto tra edonismo e senso di colpa, Ellie ammette di aver ceduto alla tentazione, accettando le droghe che le erano state offerte durante il soggiorno a Los Angeles.
Il salto di qualità in termini di scrittura è evidente, in un lavoro che si discosta dal resto della loro produzione, pur rimanendo coerente con essa: mostra infatti dei Wolf Alice decisi a intraprendere nuove strade musicali. Parlare ancora di revival anni 90, ormai, non ha più senso. Blue Weekend è un album dal gusto contemporaneo, che esalta prima di tutto le melodie e non disdegna affatto le contaminazioni col pop né qualche velato ammiccamento al rap (per esempio, nella strofa del travolgente secondo singolo "Smile"). I quattro londinesi hanno maggiore sicurezza nei propri mezzi ("Ormai siamo diventati dei songwriter adulti", riconosce il chitarrista Joff Oddie) e ci tengono a ribadirlo - con versi insolitamente arroganti come "I am what I am and I'm good at it/ And you don't like me well that isn't fucking relevant" - nel provocatorio testo di "Smile", nato come reazione alle critiche ricevute per "Yuk Foo" e pieno zeppo di rivendicazioni femministe.
"Don't call me mad/ There's a difference, I'm angry/ And your choice to call me cute has offended me/ I have power, there are people who depend on me/ And even you have time you wish to spend on me"
("Smile")
I Wolf Alice si impegnano a trovare il giusto dinamismo in un disco che vive di contrasti e che alterna sapientemente momenti più aggressivi ad altri più leggeri, quasi eterei e spesso persino commoventi. Se nei precedenti album si poteva talvolta scorgere una certa mancanza di coerenza tra una canzone e l'altra, questo problema viene definitivamente risolto in Blue Weekend. Proprio per sottolineare la natura diversa ma complementare dei brani presenti in scaletta, la band utilizza fade in e fade out tra la fine di uno e l'inizio di un altro. Tutte le tracce sono collegate, a cominciare da quella di apertura e da quella di chiusura, che condividono la parola "beach" nel titolo: più minacciosa l'iniziale "The Beach", che cita pure Macbeth, più speranzosa la conclusiva "The Beach II", che ben si presta al singalong con accendini accesi sotto un muro di chitarre shoegaze. Nelle parole di Ellie Rowsell, "è come un viaggio che giunge al termine, in maniera più positiva rispetto a come era iniziato". Un viaggio che comprende momenti divertenti ("Play The Greatest Hits", un irriverente numero punk) e altri in cui regna una palpabile tensione sotterranea ("Feeling Myself").
Nelle prodigiose acrobazie vocali che caratterizzano "Lipstick On The Glass" e "How Can I Make It OK?" emerge un più che giustificato maggior protagonismo da parte della leader, desiderosa di mettere in primo piano la propria voce. L'album è infatti un inno alla versatilità vocale di Ellie Rowsell, ormai pienamente maturata e a suo agio con i registri più disparati. Ne è ulteriore prova la splendida "The Last Man On Earth", ispirata dalla lettura del romanzo di fantascienza "Ghiaccio-nove" (1963) di Kurt Vonnegut: parte come lenta ballata per solo piano e voce, poi entrano in scena gli archi in un arrangiamento orchestrale tipicamente beatlesiano, infine la melodia esplode in un vertiginoso crescendo finale, dal sapore liberatorio. Brani come "Safe From Heartbreak (If You Never Fall In Love)" e "No Hard Feelings" richiamano invece le loro radici folk, in un contesto però più dreamy. A scanso di equivoci, a essere cresciuti sono anche gli altri membri della band: l'eco della chitarra di Joff Oddie, allievo provetto della scuola di Kevin Shields (i My Bloody Valentine erano il suo gruppo preferito in gioventù), si fa sempre più carica di effetti, mentre le potenti linee di basso di Theo Ellis acquisiscono una centralità mai avuta prima.
Accolto entusiasticamente dalla critica, Blue Weekend diventa il primo disco dei Wolf Alice a debuttare direttamente al numero uno nella chart britannica e a fine anno compare in un po' tutte le classifiche sui migliori album del 2021. La band londinese trionfa anche ai Brit Awards del 2022, venendo premiata nella categoria "Best Group". Chi pensa che il rock inglese non abbia più nulla da dire o che le guitar band siano ormai una specie in via di estinzione, farebbe bene ad accorgersi di loro.
Wolf Alice (Ep, 2010) | ||
Blush (Ep, 2013) | ||
Creature Songs (Ep, 2014) | ||
My Love Is Cool (2015) | 7 | |
Visions Of A Life (2017) | 7,5 | |
Blue Weekend (2021) | 8 |
Fluffy | |
She | |
Blush | |
Moaning Lisa Smile | |
Giant Peach | |
Bros | |
You're A Germ | |
Freazy | |
Lisbon | |
Yuk Foo | |
Don't Delete The Kisses | |
Beautifully Unconventional | |
Heavenward | |
Sadboy | |
Space & Time | |
The Beach | |
Delicious Things (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
Lipstick On The Glass (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
Smile (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
Safe From Heartbreak (If You Never Fall In Love) (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
How Can Make It Ok? (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
Play The Greatest Hits (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
Feeling Myself (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
The Last Man On Earth (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
No Hard Feelings (videoclip da Blue Weekend, 2021) | |
The Beach II (videoclip da Blue Weekend, 2021) |
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