Bacharach è George Gershwin che incontra Duke Ellington nella nascente pop music. Mentre i due citati saldano la musica colta alla tradizione blues-jazz, Bacharach va oltre, unendo le due componenti anche alla popular musical, ampliandone così orizzonti e prospettive. Bacharach si pone in questa veste come primo genio anomalo del "pop", un genio poco moderno e poco appariscente, poco loquace e poco rock, troppo bello-borghese perché potesse creare clamori in quell'America anni 50-60 infiammata dal nuovo credo del rock'n'roll , a suo modo un anti-eroe che ha trasportato la pop-song su strade nuove. Come giustamente dice Robin Platts: "...semplici emozioni si traducevano in musiche e parole costruite ad arte, canzoni che erano davvero molto più complesse di come suonavano. Bacharach le faceva apparire facili, ma non lo erano. Aveva spinto il songwriting verso nuove, eccitanti frontiere, con un uso innovativo di parole, ritmi e melodie".
La grandezza della musica di Bacharach dischiude arcane emozioni, lievi e allo stesso tempo inquietanti con la leggerezza del suo tocco bach-arachiano unico e inconfondibile. Non c'è musicista pop o rock o jazz che non si sia inchinato al suo talento: da Frank Zappa che ne ammirava la sofisticatezza, a Brian Wilson che lo ha eletto come suo songwriter prediletto, agli Steely Dan ("Io e Walter Becker eravamo grandissimi fan dei dischi di Burt, ci hanno influenzato profondamente", rivelerà Donald Fagen a Melody Maker nel 1993) a Stan Getz e McCoy Tyner che hanno inciso due separati album tributo dallo stesso titolo ("What The World Needs Now"), e a una schiera di musicisti così disparati che citarli tutti sarebbe impossibile: Rem, Elvis Costello (con cui produrrà l'immenso "Painted From Memory"), Mark Hollis, Diana Krall, Stereolab, Luther Vandross, Love, Oasis, White Stripes, Pretenders, Laura Nyro, Belle and Sebastian, Cardinal, Divine Comedy, Kyoto Jazz Massive, Isaac Hayes, di cui bisogna ricordare la strepitosa cover di "Walk On By" nell'album "Hot Buttered Soul", curiosamente coverizzata anche in versione post-punk dagli Stranglers nell'Ep allegato all'album "Black & White" del 1978... la lista sarebbe davvero infinita.
John Zorn dirà di lui nelle note introduttive alla "Great Jewish Music": "Burt Bacharach è uno dei grandi geni della musica popolare americana. Le sue canzoni superano le aspettative di ciò che una pop-song dovrebbe essere. Armonie avanzate, mutazioni di accordi con imprevedibili modulazioni, improvvisi cambi di ritmo... Ma fa apparire tutto così naturale che non te ne rendi conto e non puoi fare a meno di metterti a fischiettarlo".
Per anni la sua musica è stata relegata a semplice muzak, easy listening, almeno fino all'esplosione della lounge music negli anni Novanta che di fatto ha sdoganato anche Bacharach alle nuove inebetite generazioni musicofile: Nme del 1996 parla di lui come "Lounge Wizard", Mojo nel 1998 lo definisce "A gentleman who prefers diminished sevenths", e Q nel 1996 si spinge a ritrarlo come "a man imprisoned in music's metaphorical lift for years".
C'è stata la reale difficoltà di comprendere da parte di molta critica coeva il professionismo del grande artigiano, dell'uomo che ha letteralmente inventato un modo nuovo di scrivere la pop song componendo di fatto quella che io chiamerei la "chamber pop sonata".
Laddove Phil Spector opera su lente accumulazioni e stratificazioni sonore per raggiungere il climax adatto della canzone (il famoso Spector Wall of Sound), Bacharach lavora di fioretto, con una lenta ed estenuante attività di arrangiamento e produzione: "Un perfezionista, ci facevamo impazzire a vicenda" dirà Hal David nel 2003.
L'avventura musicale di Bacharach inizia nel corporativismo produttivo di stampo fordiano del Brill Building, nel cuore di Manhattan. L'aspetto meccanico, riproduttivo e ripetitivo viene sapientemente equilibrato con una incredibile creatività artistica, supportata da un raro talento melodico. Ai tempi la factory del Brill fu stigmatizzata nella visione dell'industria-apparato, troppo inautentica per i canoni rock che venivano a formarsi in quegli anni.
Se da un lato il Brill era davvero una industria produttiva di canzonette da vendere come saponette, dall'altro l'esplosione di nuovi sistemi tecnologici di registrazione permise ai suoi "operai" di portare il linguaggio pop su livelli di ambizione mai prima esplorati. L'esigenza commerciale e quella artistica trovarono alla fine un sano modo di coesistere. Tra questi "operai", oltre a Bacharach, entrato nel Brill Building nell'estate del 1956 per la Famous-Paramount Music di Eddie Wolpin, vanno almeno ricordati altri nomi da leggenda, come Gerry Goffin e Carole King, Phil Spector, Paul Simon, Jerry Leiber e Mike Stoller, Laura Nyro.
Come dirà Bacharach: "Era come essere nell'esercito e avere a che fare con ogni sottotenente. Nessuno aveva scampo". E infatti fu un periodo di compromessi e frustrazioni per il giovane Burt ("Lavorai proprio male a New York e scrissi alcune canzoni davvero banali") e anche il suo materiale compositivo risulta ancora anonimo: "Era come se quel materiale l'avesse composto qualcun altro" scriverà Michael Ancliffe.
Un altro aspetto che per tanto tempo ha paralizzato la critica è stata l'apparente complessità e sofisticatezza della sua scrittura musicale, aliena al rock e molto accademica, che poco si prestava alla comprensione "linguistica" per tutta una generazione di musicisti rock illetterati con nessuna formazione musicale alla spalle. Come dice la sua musa Dionne Warwick: "Servirebbe praticamente un corso di musica per saper maneggiare le sue partiture".
Ma se vogliamo queste sono accuse risibili quando si parla di arte musicale, accostabili a quelle rivolte negli stessi anni al nuovo sound della Motown, definito troppo "slick". Due estetiche musicali, quella di Gordy e quella di Bacharach, per alcuni versi accostabili (basta sentire la cover di "This Guy's In Love With You" delle Supremes con i Temptations per rendersene conto): grande professionalità, grandi arrangiamenti e grandi melodie. Una freschezza di sound che ancora oggi resta intatta.
Questa mutua "incomprensione linguistica" si è poi stemperata quando il rock è riuscito a elaborare quella "complessità compositiva" adattandola con i suoi mezzi alle sue necessità. Quando il rock si è evoluto dal rock‘n'roll ha trovato sì fonte di ispirazione nella letteratura, nel cinema e nella pittura, ma ha dovuto e voluto guardare e imparare dalla classica, dal jazz e dalla musica contemporanea per non sentirsi "linguisticamente" e "psicologicamente" meno preparato.
Bacharach aveva già attinto per la sua formazione musicale, dopo aver imparato a suonare già da piccolo il pianoforte, il violoncello e la batteria, dagli impressionisti francesi (Ravel, Debussy), dai post-impressionisti Poulenc, Satie, Milhaud (praticamente il music hall francese di stampo anche cabarettistico) fino ad arrivare a Berg, Webern. E questo per la sua formazione classica. Vivendo a Kansas City e a New York, ha poi scovato e assimilato ritmi dal jazz be-bop degli anni 40 (la sacra trimurti Monk-Gillespie-Parker). Dal cerebralismo dell'avanguardia minimale-elettronica (Cage, Stockhausen) ha invece carpito il rigore dell'incisione. Stanco poi dell'alto si è rivolto al basso, al pop orchestrale dal sound anche fin troppo perfetto di Ray Conniff.
Nel Brill Building, grazie a Wolpin, Bacharach incontrerà Hal David, colui che diventerà il suo storico paroliere. La formula r'n'b degli esordi non aveva prodotto alcun risultato artistico di rilievo: il rock'n'roll non era la strada da battere. Dovrà quindi arrivare al 1962 per la "svolta", non prima di essersi scrollato l'esperienza negativa ma formativa, sotto la direzione artistica di Mitch Miller, del Brill Building.
Nel 1962 la canzone "I Just Don't Know What To Do With Myself", con Bacharach alla direzione dell'orchestra, Phil Ramone come ingegnere del suono e la produzione di Leiber e Stoller, esce passando inosservata come b-side di "And I Never Knew" per il singolo di Tommy Hunt, cantante black di r'n'b. Due anni dopo, completamente riarrangiata e con una interpretazione vocale mozzafiato di Dusty Springfield, arriverà al terzo posto delle classifiche Uk: "Chi non avrebbe voluto cantare una canzone come questa? Era uno scrittore che stava cambiando profondamente il suono della pop music", ricorderà la stessa Springfield.
La canzone diventerà il primo vero manifesto della poetica ed estetica musicale del duo. Possiamo affermare di avere di fronte una b-side storica alla pari di una "Rain" dei Beatles, tanto per intenderci. Troviamo già i tratti tipici della produzione successiva del duo: un ennui, un malessere ormai adulto non più adolescenziale, che partendo dall'Elvis Presley di "Are You Lonesome Tonight?" ci condurrà al "Man Alone" di Sinatra.
Il lavoro come direttore d'orchestra per Marlene Dietrich (iniziato nel 1958 e protrattosi fino al 1965) apre la strada a Burt ai grandi esperimenti sugli accordi (i suoi famosi accordi sospesi) e sugli arrangiamenti e alla effettiva costruzione della new pop song.
Avendo ora il pieno controllo degli arrangiamenti e della fase produttiva del sound, Bacharach svilupperà finalmente tutto il suo enorme potenziale creativo, perché - come spiega lui stesso a Hubert Saal, nel 1970 - puoi avere una canzone strepitosa, ma un arrangiamento o una produzione scadenti la rovineranno sempre".
Siamo arrivati a una fase storica dove la dicotomia arte alta-arte bassa viene definitivamente frantumata e riconciliata su vette per i tempi impensabili: ricordiamo che siamo in anni, quelli a cavallo tra i 50 e i 60, dove l'incomunicabilità tra alto (avanguardia) e basso (popular music) era ben netto e definito. Bacharach conosce e ammira il lavoro dei vari Cage, Stockhausen, LaMonte Young, ma è anche consapevole della loro scarsa presa a livello popolare, per l'intrinseca difficoltà d'ascolto della loro musica. Rimodernizzando uno dei temi più banali ma allo stesso tempo più complessi da trattare, il discorso amoroso nelle sue infinite sfaccettature, Bacharach attuerà la svolta del grande successo popolare degli anni a seguire. Non è un tema nuovo, tutta la Tin Pan Alley Story si è costruita sulla canzonetta d'amore, ma è il nuovo modo di produrre il sound che creerà la leggenda. Una leggenda che si alimenterà con il contributo essenziale di un altro personaggio: Dionne Warwick. Capace di affrontare e le complessità ritmiche-armoniche delle composizioni di Bacharach (fate caso alla naturalezza con la quale riesce a divincolarsi dai 5/4 ai 4/4 per poi passare ai 7/8 in "Anyone Who Had A Heart") e quelle espressive di veicolare feeling complessi, Dionne si ritrova la voce perfetta per le canzoni del duo: "Ero solito darle suggerimenti. Ora non più. So che quello che farà sarà sempre un gioiello", dirà di lei Bacharach.
Reach out: la nuova Arcadia del pop
Il primo album di Bacharach, "Hit Maker!", esce nel 1965. Passa inosservato negli Usa, ottenendo invece un notevole successo commerciale in Gran Bretagna, e vede la partecipazione come session men dei futuri Led Zeppelin Jimmy Page e John Paul Jones. Sono presenti già i capolavori "Walk On By", "A House Is Not A Home", "Anyone Who Had A Heart". La sensibilità arcadica di questo nuovo pop non poteva passare inosservata all'ascoltatore britannico, sempre così ricettivo verso stati della mente nostalgici e romantici. I suoi complessi strati emozionali, supportati da un perfetto equilibrio formale, vengono però compiutamente raggiunti nel suo secondo lavoro, il capolavoro intimista "Reach Out" (ottobre 1967). Questa vuole essere la sua storia.
Nel 1967 Bacharach firma un contratto discografico con la A&M Records dei fondatori Herb Alpert e Jerry Moss. La casa discografica ha nel logo in basso una tromba, segno distintivo della "politica sonora" portata avanti dal duo. La A&M Records si rivolge a un pubblico di ascoltatori poco interessato al rock psichedelico allora in gran spolvero e più orientato su forme classiche e adulte di ascolto. La Tijuana Brass, la Baja Marimba Band, i Sandpipers, Sergio Mendes & Brasil '66, ecco che la latin-exotica music entra a gran ritmo nel "carnevale" discografico del pop commerciale.
Bacharach si ritrova a lavorare non più nella claustrofobica e verticale Manhattan, ma sulla West Coast di Los Angeles dagli ampi spazi e dal cielo solare. Le frizioni e ambientali e psicologiche West-East Coast si riveleranno essere fonte di ispirazione creativa notevole per tutti i successivi lavori del musicista, con i suoi frequenti spostamenti sulle due sponde oceaniche.
Poco conosciamo degli orchestrali che hanno preso parte alla varie session di registrazione dall'album (non saranno mai riportati sull'album ) ma di certo alla registrazione del 18 luglio 1967 partecipa una cospicua sezione d'archi, composta da due violoncelli (Raphael Kramer e Frederick Seykora), due viole (Allan Harshaman e Robert Ostrowsky) e ben nove violini (Erno Neufeld, Anatol Kaminsky, Marvin Limonick, Nathan Kapoff, Alexander Murray, Joseph Stepansky, Leonard Malarsky, Sam Freed, George Kast). Sono tutti orchestrali professionisti già affermatisi con varie orchestre, tra cui quelle di Henry Mancini, Louis Armstrong, Frank Sinatra, Ella Fitzgerald e alcuni di loro in seguito lavoreranno anche nella pop music con gruppi come i Monkees ("In The Birds The Bees And The Monkees" del 1968) e con Frank Zappa (Leonard Malarsky in "Lumpy Gravy" del 1969). In questa data verranno registrate, dalle otto di sera fino alla mezzanotte, "Are You There", "I Say A Little Prayer", "What The World Needs Now" e due versioni di "The Windows Of The World".
Tra i papabili trombettisti che presero parte alle session dell'album circolano i nomi giganti di Dominic Spera, Warren Leuning, Marvin Stamm. Aggiungerei anche Herb Alpert e la sua tromba, già usata per la colonna sonora del film "Casino Royale". Molto probabile è anche la partecipazione della zia di Dionne Warwick, Cissy Houston (madre di Whitney) come vocalist.
Per l'assemblamento del materiale da inserire nell'album, Bacharach riprende materiale quasi tutto già scritto in precedenza con Hal David, vecchi "semi-hit" e lavori per lui non riusciti del tutto, come l'album prodotto per Dionne Warwick "The Windows Of The World" (1967). Li riarrangerà tanto da trasformarli in un sound e in un mood molto diversi, con un lavoro di cesello nei dettagli da lasciare sbalorditi quando si comparano le diverse produzioni.
Questo "reworking" lo notiamo di certo per la scelta di tempi più lenti e soffusamente jazzati, laddove erano veloci e più soul nei lavori di Dionne. Notiamo anche un uso meno invadente dell'orchestra, che non ricopre più quel ruolo leader che aveva nei lavori della Warwick, ma diviene più sostegno ritmico, visto che il lavoro melodico e armonico è svolto ora dai singoli strumenti solisti - tra tutti piano, hammond e tromba.
Notiamo inoltre una ricerca più sul sound che sulle parole, che spesso vengono proprio o tolte del tutto o relegate a sostegno corale. Lo stesso Burt si dirà poco interessato all'aspetto linguistico della parole preferendo piuttosto lavorare sul loro uso fonetico.
Si percepisce netta la volontà di dare ben altro spessore al materiale composto in precedenza. "Reach Out", con anche il successivo lavoro "Make It Easy On Yourself", diventeranno gli anelli mancanti tra il "Pet Sounds" dei Beach Boys e il "Sail Away" di Randy Newman. Nell'acuta osservazione di Skip Heller, i due dischi dimenticati che legano "the teenage symphonies to the God" al cantautorato più maturo di Newman. Ma potrebbe benissimo essere anche il legame con il "Tapestry" di Carole King o il "Closing Time" di Tom Waits.
Come da titolo, Burt si e-stende, forse folgorato da questa nuova dimensione spazio-temporale, vuole raggiungere l'Out, il suo personale shining, quel quid indefinibile che diventerà il tratto tipico della sua musica. In questo Out, luogo dell'anima utopico irrangiungible, sta tutto il suo fascino.
Riuscirà a dare coerenza tematica al suo progetto solista legando sottilmente tutte le canzoni a un unico tema, quello universale dell'amore. Quelle di "Reach Out" sono infatti "piccole storie amorose", mini-spezzoni di possibili provini filmici, finali aperti di partita dal retrogusto amaro.
La copertina "cinematica" di "Reach Out" è già un manifesto della sua estetica e poetica musicale, oltre che un celato omaggio alla celeberrima cover delle Variazioni Goldberg suonate da Glenn Gould nel 1955. Vediamo il protagonista in varie fasi di montaggio del materiale sonoro: scrivere, dirigere, ascoltare, cantare, produrre. In questi frammenti, alcuni integri, altri lacerati, troviamo le nuances delle sue straordinarie melodie: emozioni istantanee impresse nell'aria come quelle dei suoi prediletti Ravel, Debussy e Satie, riletti in un classicismo pop "saltellante alla Burt".
Di certo è la grande maestria raggiunta nell'arte della composizione e dell'arrangiamento che gli permette ora di sondare nuove strade.
Le undici tracce di "Reach Out", nei bizzarri e repentini cambi di ritmi, tempi, sensazioni, svelano questo cammino di stupori fanciulleschi: bisogna anche da adulti avere conservato l'Out per capirne la grandezza.
Reach Out For Me, incisa per primo da Lou Johnson nel 1963, in seguito fu inserita nell'album "Make Way For Dionne Warwick" del 1964. E' ora un "altro" pezzo, quello che ascoltiamo: lievemente jazzata, con piano di Bacharach che sostituisce la voce di Dionne e la tromba finale in bella evidenza, rivela già tutta la maestria degli equilibrati arrangiamenti raggiunti dal compositore americano. Voci femminili e quel tocco leggiadro di esotismo si sprigionano e incastrano alla perfezione.
Alfie fu scritta nel 66 per l'omonimo film diretto da Lewis Gilbert e vincitore del Premio Speciale della Giuria al 19° Festival di Cannes. Cantata da Cher con l'arrangiamento di Bono negli States mentre in Uk si avvalse della voce di Cilla Black, per poi entrare definitivamente nella leggenda grazie alla interpretazione vocale di Dionne Warwick nel suo album "Here Where There Is Love". Diventa qui un pezzo solo strumentale molto più possente con un lavoro di produzione decisamente più marcato rispetto a "Here Where There Is Love", tra bellissimi ritmi "saltellanti" di samba bossa e un lussuoso tappeto orchestrale di archi incastrati tra il pianismo liquido di Burt e la dominante tromba che dispiega la meravigliosa melanconica melodia. Anche senza il supporto del testo di David, la finezza psicologica dello strumentale ben descrive il carattere ambiguo del personaggio del film "Alfie", un Michael Caine combattuto tra brame libertine-libertarie e voglia di normalità.
Bond Street, conosciuta come "Home James, Don't Spare The Horses", per la colonna sonora "Casino Royale" e b-side del singolo "Alfie".
Hammond beat in bella evidenza, suonato dal mitico Paul Griffin (sessionman tra gli altri per "Highway 61 Revisited" e "Blonde On Blonde" di Bob Dylan, "The Royal Scam", "Aja" e "Gaucho" degli Steely Dan), sostenuto da ritmi samba e con la puntuale orchestra a sostegno, è un gioiello in grado di far sculettare ancora oggi intere generazioni in frenesie da snob shopping londinese.
Are You There (With Another Girl) cantata già da Dionne Warwick nel suo album "Here I Am" e uscita come singolo nel dicembre del 1965.
Il brano nella versione da singolo avrà un notevole impatto: il crescendo orchestrale ripreso per ben due volte aprirà la strada alla "A Day In The Life" dei Beatles. Anche qui il pezzo viene proprio stravolto e rallentato nei tempi. L'hammond, che sostituisce il piano, la tromba e l'orchestra si fondono come al solito in modo magistrale. Inutile dire che l'arrangiamento è sempre perfetto, pulito, armonioso, è l'out di prima che si fa sfera celeste.
What The World Needs Now Is Love è, nella sua semplicità melodica e nel suo messaggio diretto, senza fronzoli e falsi pudori, di una bellezza devastante. Un inno speranzoso per anime rimaste innocenti. Prima dei Beatles di "All You Need Is Love", la coppia Burt-David scrive "What The World Needs Now Is Love" nel 1965.
Mi immagino Burt al pianoforte, sostenuto dalla sezione ritmica di bassi e trombone, presentare la melodia. Gli accordi sono decisi, forse anche troppo, per una infastidita tromba con sordina che fa il suo ingresso esplicando sussurrante il tema melodico. Viene in sostegno un sax che dialoga con la tromba e suoni di celeste preannunciano l'orchestra, ora impegnata a costruire sognanti atmosfere sospese. Con in sottofondo meravigliosi echi poliritmici di rullanti e morbide spazzole che accarezzano il budello dei tamburi, ecco Dionne invocare il Signore a donare il dono, quello più prezioso, dell'Amore Perso ("Lord, we don't need another mountain/ There are mountains and hillsides enough to climb/ There are oceans and rivers enough to cross/ Enough to last till the end of time"). Il pathos emotivo si innalza, il ritmo diventa jazzato con l'orchestra ben spiegata per l'ultima quasi disperata invocazione corale finale "What the world needs now is love, sweet love/ no, not just for some/ oh, but just for every, every, everyone".
The Look Of Love è altra gemma cristallina, una di quelle canzoni che valgono una carriera. Una intro già leggenda delle leggende, lounge ante-litteram.
Se l'umanità ha ritrovato l'Amore, ecco allora qual è il suo look: ammaliante, fugace come lo sguardo di Ursula Andress ("...the melody came from just watching Ursula"). Burt la spoglia del testo, come sua intenzione iniziale, lascia che la musica parli da sola tra meravigliosi echi di chitarra bossanova con tromba, hammond, orchestra a scambiarsi il tema melodico. In poco più di due minuti, ci ritroviamo svelato uno dei soggetti più indicibili dei quali è vano affanno parlare perché "the look of love is saying so much more than just words could ever say".
A House Is Not A Home è uno dei pezzi capolavori di Bacharach, tanto che si avvale della sua emotiva interpretazione vocale, la prima in assoluto! Incisa già nel 1964 da Dionne Warwick, sembra avere ispirato "A House Is Not A Motel" dei Love, nell'album "Forever Changes". Di certo i Love di Arthur Lee avevano già coverizzato un pezzo di Bacharach ("My Little Red Book") e il loro pop orchestrale con grande dispiego di fiati e archi dai sapori jazz latini e classici, a Burt e al sound A&M deve non poco.
Anche qui il pezzo viene completamente riarrangiato, presentando tutt'altra anima e anche lunghezza. Il pianoforte di Bacharach e la sua interpretazione vocale quasi da crooner, che per una buona metà del pezzo domina la scena prima del finale orchestrato, fanno decollare il pezzo su vette di alto struggimento. Se l'Amore intravisto in "The Look Of Love" è potenzialmente fugace e doloroso, qui invece è intimo, malinconico, "pure soul music". E' la storia eterna di amori fugaci e inappaganti da bordello, con Hal David che si supera scrivendo uno dei testi più belli di sempre: "Darling, have a heart/ Don't let one mistake keep us apart/ I'm not meant to live alone/ Turn this house into a home/ When I climb the stair and turn the key/ Oh, please be there still in love with me".
Jazzisti del calibro di Bill Evans e Sonny Rollins hanno inciso questo pezzo, diventato ormai uno standard del jazz. Per chi ancora crede che la musica di Bacharach sia "pure cheesy music" è ora di ricredersi e aprire le orecchie.
I Say A Little Prayer è un altro classico immortale del duo Bacharach-David. Scontento dell'arrangiamento frettoloso per l'album di Dionne "The Windows Of The World", il perfezionista Burt ha ben preciso in testa il sound che vuole per le sue incisioni ed è probabile che per questa canzone mai l'abbia trovato!
Il pezzo cantato dalla Warwick è una "Every Breath You Take" rivoltata in positivo: è un amore totale e totalizzante quello a cui aspira la lirica di David ("My darling, believe me for me there is no one but you...").
The Windows Of The World, dominata dai fiati tromba e sax, è forse il pezzo più debole dell'album. Incisa solo strumentale, senza il testo da vento di protesta dei tempi, perde un po' in efficacia e mordente. Con una intro di piano che ricorda un carillon e l'immancabile tromba, l'ascolto forse soddisfa di più nella versione bucolica alla Judy Collins e tutta giocata su nuances atmosferiche, con una bellissima chitarra acustica in sottofondo, data da Dionne Warwick per l'omonimo album del 1967.
Lisa è un altra gemma lirica e anche l'unico pezzo nuovo inserito nell'album. In pochi versi si dispiega la malinconica storia di questa moderna eroina. Nome reale (Lisa potrebbe essere Holly Golightly aka Audrey Hepburn nel film "Colazione da Tiffany") o nome fittizio, Lisa è una delicata storia di un amore irraggiungibile, arrangiata a ritmo di valzer moderno.
Lisa, donna irraggiungibile, così bella e famosa da intimidire i suoi amanti, vive una non-vita, persa in questa sua bellezza che la distacca da tutto e da tutti. Vive il successo di essere "an inaccessible star in the sky". Si domanda retoricamente chi scrive di lei: "How can anyone so beautiful be mine, love?".
Lisa cerca il successo consolatorio del pubblico come surrogato per l'amore mai avuto. E se la sua vita pubblica sembra donarle quell'attenzione così ricercata, la sua vita privata si rivela vuota e colma di solitudine. Il verso tra le due strofe e poi ripreso nel finale ("How can anyone so beautiful be mine love, so unloved?") è l'ambiguità fatta arte: Lisa che non riesce ad amare e non è amata diventa una figura simbolo dell'umanità tutta che anela all'amore.
Message To Michael conclude magistralmente l'album. Con un arrangiamento più solido country-bluesy, il tocco che non ti aspetti, lo strumentale raggiunge alte vette quando all'improvviso fa la sua comparsa un sax (il nostro protagonista bluebird) a dispiegare la melodia, ben sostenuto dall'orchestra. Anche in questo caso abbiamo una storia d'amore agro-dolce, con l'innamorata che chiede al suo bluebird ("Kentucky Bluebird", il titolo originario della canzone nella versione di Marlene Dietrich) di spedire il suo messaggio a Michael affinché ritorni da lei e abbandoni la sua carriera di cantante fallito in quel di New Orleans "and even though his dreams of fame fell through to me he will always be a star". Lo struggimento della perdita è così forte che all'innamorata sfuggono parole strappalacrime: "When you find him please let him know rich or poor, I will always love him so".
E così con questo capolavoro Bacharach raggiunge a quasi quarant'anni, dopo un percorso lungo e faticoso, la sua maturità artistica. La sua musica non è più solo produrre hit o qualche film score, ma anela ad altro di più sostanzioso. Avendo trovato una sua identità forte, è diventata come un prezioso vaso di Pandora. Traendo linfa vitale da oscuri giochi emotivi, più sensuale e velatamente erotica, avvolge l'ascoltatore nella sua immediatezza, per lasciargli poi uno strano retrogusto di sentimenti sospesi, che vanno dalla gioia per arrivare allo scoramento assoluto.
Facendo profonda l'ambiguità ed elevando l'ambivalenza su vette vertiginose, creerà tutta una gamma di mood espressivi ai tempi ancora poco esplorati nella pop music. I suoi magistrali accordi, sempre fluttuanti tra tonalità maggiori e minori, sprigionano il fascino discreto della caducità dell'esistenza. Dietro l'apparente giocosità (tonalità maggiori) del suo sound si cela e svela lentamente l'alito morboso (tonalità minori) che tutto deve perire.
Bacharach non svende la sua arte al sogno americano fatto di certezze e conquiste, piuttosto disvela una nuova arcadia musicale, sfumata, illusoria, spirituale. Anela a ricatturare una innocenza perduta, persa in sua identità a-storica priva di un apparente legame con i suoi tempi. Non è il voler raccontare certo melieu sociale, quello della middle class americana in bilico tra ansie e minacce e voglia di sicurezze, che preoccupa l'ebreo tedesco Burt, ma qualcosa di più inquietante e profondo e indefinibile da riportare sul pentagramma. Come cime tempestose e cuori di tenebra in perpetuo conflitto lottano per la loro sopravvivenza, così il turbine di flussi emotivi bacharachiani miscela schegge di vita dove gioia e dolore indissolubilmente si legano. Come la saudade brasiliana, il suo segreto risiede nel capire e accettare l'insoddisfazione perenne insita nel vivere, il "mal du vivre", sublimandolo in arte musicale.
La sua produzione successiva sarà tutta incentrata su queste coordinate, toccando sempre alti vertici produttivi in album come "Make It Easy On Yourself" del 1969 e nell'altro capolavoro, l'omonimo "Burt Bacharach" del 1971.
Derek Taylor l'addetto stampa dei Beatles immortalerà per sempre "Reach Out" con questo poema, come nota introduttiva nel retro-copertina dell'album:
If you love not tall pines which touch the beginnings of the sky
If you have never yearned to leap a mailbox, nor longer
To join the street urchins in a game of tag
If you have not sighed and smiled beyond your mind as
Sleep creeps out of the abstract and carries you into its endless night
If violins and cellos harpsichord and piano trumpets,
Flutes and sounds of rippling scales have never lightened your spirit
If Alfie did not become so much a name, more a lonely island of song in a sea of human sadness.
If cool water too long out of reach has never quenched your thirst
If love comes second or you come first,
If you have never walked without a destination nor flown without a sense of marvel
If you have known neither pain nor sorrow nor wept for the joy of release.
If a baby is not a person until it knows your name
If your heart has not leapt nor your senses quivered as the conductor's baton taps the music stand
If you have not stared at a pretty girl in a vacuum in time across a crowded room and prayed she knew
If you believe that the essence of a man and his music can adequately be caught and conveyed within an album liner note...
Then it is likely that the entrapment of music between these covers is not for you and, though it is sad, you should walk on by.
Burt Bacharach, shy, young, handsome, courteous, New Yorker son of a journalist, married to an actress, is more relevantly, a fiery complex ingredient in the exciting cauldron of the musical sixties.
Put down by no one, whether peers or followers, put on by nothing, whether fame or wealth; put off by neither pressure nor competitor, Bacharach is a very special man.
He bestrides, like Gulliver, the warring worlds of the Establishments' "Academy Award system-from whom he has wrought two Oscar nominations for Alfie & What's new pussycat" - and the contemporary Top Forty scene where the buying power lies in the hands of very young.
It is effortless to praise him because he has done so much, so widely and so well.
Marlene Dietrich doted on him as her arranger and conductor, adores him as a man.
From Hollywood to NY, across Europe and the British Isles in military camps and in brutally sophisticated nightclubs, he built upon his formal training as a pianist by adding technique and style and charm.
As songwriter, he decided to create tunes people could hum, and by now, few singers anywhere in the world haven't' sung them. On this album, his first for A&M Records, with whom he has a close and vastly rewarding relationship, he has written, arranged, assembled all eleven songs, conducted the orchestra and produced the entire album, and because he knows there is nothing you can do that can't be done, he has played piano on all of the tracks and sung one of them. This one is called "A house is not a home", and it is something else.
So is Burt Bacharach.
02/05/2010