Beck

Odelay

1996 (Geffen)
alt-rock, hip-hop, country-folk

Il salto del Komondor

 

Scattata negli anni 70 dal fotografo canino Joan Ludwig, la foto di copertina di "Odelay" ritrae un Komondor che salta un ostacolo. Nell'atto del salto, l'esemplare della rara razza canina ungherese dispiega come un arazzo il suo pelo bianco e boccoloso. È un cane strambo, singolare, non si trattasse di un animale azzarderemmo eccentrico, dal quale è impossibile distogliere lo sguardo. Nondimeno: nonostante la silhouette non esattamente slanciata, durante il salto il Komondor svela una grazia e un'agilità inusitate, che verrebbe difficile attribuirgli guardandolo immobile.
Mai copertina fu più azzeccata. Lanciato nell'empireo pop degli anni 90 americani da "Mellow Gold" (Geffen, 1994), ma soprattutto dal quel singolone immortale che è "Loser", uno dei sempiterni inni dell'indolente X Generation, Beck Hansen era per la scena un vero e proprio oggetto misterioso. Sembrava capitato nei piani alti della classifica di Billboard per caso, con il suo sguardo smarrito e il parrucco da dandy sfatto, eppure tutti gli occhi erano puntati su di lui, il mondo non aspettava altro che la sua prossima mossa.
Nel 1996, con "Odelay", il ventiseienne Beck avrebbe eseguito quindi il suo personale salto del Komondor, catalizzando una volta per tutte l'attenzione del mondo musicale, alternativo e non. Con un disco che, a proposito di salti, non conosce steccato di genere che non possa valicare, facendo impallidire da questo punto di vista anche il già variopinto predecessore del '94.

 

L'interesse tra il musicista losangelino e il panorama musicale dei primi anni 90 è però assolutamente reciproco. Se, come anticipavamo, "Mellow Gold" aveva fatto scoprire finanche al pubblico generalista il genietto della baia, questi era attentissimo, in maniera quasi ossessiva, a tutto quanto gli accadeva intorno, dalle cime delle classifiche alle sgangherate bettole per band slacker rock per pochi appassionati.
Come aveva già dimostrato con il caleidoscopico esordio per Geffen e in minor misura con i lavori lo-fi che lo avevano preceduto, nonché con lo sghembo disco folk "One Foot In The Grave" (Rebel Beat factory, 1994), Beck si rifiuta di starsene confinato in un genere, le sue composizioni sembrano anzi frutto di una visione olistica nella quale ogni sorta di musica può convivere con tutte le altre, le può abbracciare, vi si può intrecciare in un ricamo esotico, vi può ballare insieme, vi si può finanche scontrare. Di questo particolare punto di vista "Odelay" è l'irripetibile summa: uno specchio deformante dai colori ipersaturi in cui country, folk, bossa nova, hip-hop, rock alternativo, dance e vattelappesca possono vedersi riflessi in un unico, sgargiante corpo nuovo di zecca.
Beck è un alchimista spericolato intenzionato non soltanto ad abbattere le barriere tra un genere e altro, ma anche a piegare il concetto di spazio-tempo, utilizzando le più avanguardistiche tecniche in fatto di sample e mash-up per cucire insieme trame sonore di epoche differenti.

 

"Odelay" è dunque il disco di un cantautore e di un abile chitarrista, che giura di non aver loopato alcun riff ma di averli suonati tutti proprio così, ma è pensato e realizzato come l'opera di un disc-jockey o di un mosaicista, da ammirare nella sua sfolgorante interezza o da apprezzare tassello per tassello. Un viaggio senza confini, un flusso ammaliante ed elettrico, ma anche una collezione di canzoni dotate di vita propria e godibili in piena indipendenza, frutto di una sintesi perfetta tra estetismi funky, understatement di provincia, seriosità apparentemente annoiata e leggerezza che non sconfina mai nella parodia. Un ecosistema complesso ma futuribile, almeno nel 1996, quando il rock parla definitivamente la lingua crossover per cercare nuove coordinate - siamo nel periodo che segue la sbornia grunge e tratteggia la futura contaminazione elettronica/big beat.

I've got two turntables and a microphone

 

"Ho due giradischi e un microfono", sembra farla facile Beck, quando in "Where It's At", primo formidabile singolo estratto da "Odelay", campionava questo mantra da "Needle To The Groove" dei Mantronix. In realtà, già qui, la situazione non è così semplice: ci sono anche un giro di tastiere dall'inimitabile sapore sixties destinato a diventare leggenda, numerosi altri campionamenti tra cui quelli di una guida introduttiva al sesso per adolescenti intitolata per l'appunto "Sex for Teens: (Where It's At)", interventi elettronici a gamba tesa, sulle linee vocali quanto su quelle strumentali e un finale di pura psichedelia West Coast. Completa l'opera, in un'epoca in cui supporto visivo era fondamentale, un video altrettanto icastico, in cui Hansen si cimenta in disparate attività, dalla pulizia stradale in tenuta da servizi sociali a un'imitazione di Captain Beefheart.
Insomma, non proprio roba che sia possibile realizzare con due giradischi e un microfono. In più Beck ci mise senz'altro una buona dose di genio e sfrontatezza e ovviamente una cast di produttori e turnisti stellare. Ai fidi produttori Tom Rothrock e Rob Schnapf, qui al lavoro soltanto sul folk scarno e polveroso di "Ramshackle", si aggiunsero infatti personaggi del calibro di Bob Ludwig al mastering e Jon Spencer, ma soprattutto i Dust Brothers, già curatori di un capolavoro quale "Paul's Boutique" dei Beastie Boys, chiamati a operare su tutte le tracce più rappresentative dell'operazione per dare al disco l'impronta hip-hop tanto desiderata da Beck.
Cantando ogni traccia e suonando chitarra acustica, chitarra elettrica, slide guitar, Moog, basso, batteria, organo, Clavinet, xilofono, pianoforte e chi più ne ha più ne metta, Hansen visse le lunghe sessioni di registrazione fungendo quasi da one man band, tuttavia non rinnegò l'aiuto di amici del calibro del percussionista Joey Waronker (Rem, Atoms For Peace) e del contrabbassista Charlie Haden (Ornette Coleman Quartet).

 

Alla sua uscita nel giugno del 1996 "Odelay" fu un successo commerciale, quantomeno se relazionato alla sua natura di album underground, raggiungendo il sedicesimo posto della classifica di Billboard. Nel 2008 le copie vendute dal disco risultano intorno ai due milioni e trecentomila, numeri non proprio da disco alternativo. Eppure si tratta di tutt'altro che un lavoro di facile assorbimento. Stratificato come una cipolla bella grossa e imbottito di citazioni, "Odelay" è però anche un disco dannatamente catchy, a tratti addirittura ammiccante. Tutti i suoi livelli, gli incastri, i voli e le immersioni stanno così bene insieme da produrre brani di un'immediatezza fulminante. Ne sono un esempio fulgido, anzitutto, i singoli. Certamente la succitata "Where It's At", ancor più l'opener "Devils Haircut", con il suo ciondolante riffing slacker punteggiato di reggae e il ritornello che replica la collosità di "Loser", e ovviamente "The New Pollution", un tripudio di chitarre svogliate, tastiere psichedeliche, ritmi funk e scorribande di sassofono da tramonto brasiliano. Anche per il successo di questi ultimi due brani furono decisivi altrettanti video, pluripremiati agli Mtv Awards e imbottiti di citazioni che vanno da "Midnight Cowboy" ai Kraftwerk, da Serge Gainsbourg a "Les Quatre Cents Coups".
Sono altrettanto immediate, sebbene meno sferzanti, le due ballate indie-folk del disco. La succitata "Ramshackle", densa di malinconia e capace di infondere una sensazione di svogliatezza grazie alla batteria scarna e pigra e alla chitarra suonata con uno strumming zavorrato, e poi la dolcissima "Jack-Ass", condita da lieti scampanellii e tastiere giulive. Entrambi i brani anticipano l'enorme potenziale da songwriter che Beck coronerà nei decenni successivi con dischi come "Sea Change" e "Morning Phase".

Oralè, Oh Delay, Odelay

 

Non è chiaro cosa "Odelay" significhi. Secondo una prima tesi, si tratta di un'americanizzazione dallo slang messicano oralè - del resto Beck adora utilizzare lo spagnolo nei suoi testi - che è da tradursi più o meno come "che succede?". Caro amico di Beck Hansen, Stephen Malkmus dei Pavement giura invece che si tratti semplicemente di una crasi dell'espressione "oh delay", chiaro riferimento all'enorme ritardo subito dalla produzione del disco.
Lungo tredici tracce per cinquantaquattro minuti di durata, "Odelay" fu registrato a cavallo di ben tre anni, dal 1994 al 1996. I Dust Brothers ricordano in alcune interviste che per chiudere la produzione di alcuni brani ci vollero mesi. Ne è un esempio una delle canzoni più intricate del lotto: una "Hotwax" che impiegò ben sei mesi ad assumere le sue spoglie definitive e immortali. In principio, fu il torrido giro di chitarra di Hansen, poi i produttori iniziarono con una pioggia di campionamenti e una tempesta di scratch e manipolazioni elettroniche, destinata a infuriare a lungo, fino al raggiungimento del risultato perfetto. Mai pago dell'esito, Beck si presentava ogni giorno in sala di registrazione con una nuova diavoleria, una trombetta da party, un vecchio mangianastri scassato e via discorrendo. Il capolavoro che ne venne fuori è per l'appunto cera bollente, un fluido magmatico di citazioni e ritmi che pesca finanche da "Jingle Bells" e svela una nuova sfumatura ad ogni ascolto.
Un altro esempio di maniacalità produttiva senza confini è "Derelict", dove le percussioni poliritmiche creano un effetto di sfasamento che rafforza i concetti espressi dal testo e dal titolo e diventano addirittura psichedeliche durante l'intervento lisergico dei sitar indici. Gli assoli in tapping à-la Van Halen che fendono l'andamento oscillante della tranquilla "Lord Only Knows" ribadiscono invece l'infinitezza delle soluzioni chiamate in ballo.

 

Se l'hip-hop è la sostanza scelta da Beck come collante del suo mosaico sovraccarico di energie e influenze e il folk e il country vengono usati per dare vita ai momenti più introspettivi, non mancano però alcuni arrembaggi di chiara estrazione alternative-rock. È dunque rock il tiro di "Novacane", addirittura punk la spinta del basso di "Minus" e il morso delle sue chitarre distorte.
Portando alle estreme conseguenze tecniche e concettuali la rivoluzione cominciata con "Mellow Gold", Beck realizzò con "Odelay" il suo capolavoro definitivo e irripetibile, un disco che è insieme la fotografia del suo presente, ma allo stesso tempo la preconizzazione di una musica senza barriere, ancora impensabile per la sua epoca. Il quinto disco di Beck è così chiaramente un punto di arrivo che anche il suo stesso autore non avrebbe più insistito in quella direzione, o perlomeno non con quell'intensità, concentrandosi invece ad ogni uscita su territori musicali diversi, certamente variegati, ma mai più così mescolati e fusi a freddo in un solo calderone.

 

Si ringrazia Paolo Ciro per la preziosa opera di collaborazione e revisione

05/02/2023

Tracklist

  1. Devils Haircut
  2. Hotwax
  3. Lord Only Knows
  4. The New Pollution
  5. Derelict
  6. Novacane
  7. Jack-Ass
  8. Where It's At
  9. Minus
  10. Sissyneck
  11. Readymade
  12. High 5 (Rock the Catskills)
  13. Ramshackle


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