Napalm Death

Scum

1987 (Earache)
grindcore

O della fondazione del grindcore

“To grind” in inglese sta per “frantumare", "polverizzare", "tritare", e a Mick Harris, batterista dei Napalm Death, dovette sembrare il verbo più adatto per descrivere una musica che tendeva al caos vorticoso e alla frantumazione ipercinetica di qualsiasi struttura armonica. “Era l’unica parola che mi venne da usare dopo aver comprato, nel 1984, il primo disco degli Swans. Poi, quando intorno al 1985 quel nuovo movimento sonoro iniziò a consolidarsi, pensai che “grind” potesse andare più che bene per descrivere una musica che aveva nella velocità una delle sue caratteristiche più importanti”.

Le prime avvisaglie del grindcore possono essere rintracciate già all’inizio degli anni Ottanta, quando numerose band erano ormai indirizzate verso una radicalizzazione del punk e dell’hardcore, spesso e volentieri così estremista da sfociare nel cosiddetto chaos-core, in cui il rumore e l’improvvisazione regnavano sovrane. Qualche nome? I finlandesi Sekunda, gli sloveni Odpadki Civilizacije, i “nostri” Wretched, i brasiliani Brigada Do Odio, gli olandesi Lärm. In ogni caso, a preoccupare quelle band c'era soprattutto la velocità d’esecuzione. Un po’ dappertutto, si diffusero quindi formazioni impegnate a premere a più non posso sull’acceleratore.
In questo calderone, un posto di rilievo va assegnato agli svedesi Asocial che nel 1982, con il demo “How Could Hardcore Be Any Worse”, proposero quello che, molto probabilmente, è il primo barlume di proto-grind. In scarsi dieci minuti, infatti, questo demo presentava vere e proprie muraglie sonore lanciate a velocità folle e sostenute da un batterista (Johan) assolutamente furibondo, intento a pestare come un ossesso sulle pelli in quello che, a tutti gli effetti, può essere letto come una prima codificazione del blast-beat (una esplosione percussiva ipercinetica che sarebbe stata usata, prima dei Napalm Death, anche da D.R.I. ("No Sense"), S.O.D. ("Milk"), Sepultura ("Antichrist") e Repulsion). Da rilevare anche il cantato “impastato” e viscerale e le chitarre-rasoio che creano un flusso elettrico intimidatorio.
Intervistato da Daniel Ekeroth, così il chitarrista Mats Svensson ricordava quei tempi: "Originariamente, le canzoni erano state scritte per un normale 'two-beat', ma poi qualcuno ha pensato che sarebbero state più violente se avessi colpito il rullante ad ogni battuta. A quei tempi non si era mai sentita una roba così, ma eravamo giovani e incazzati, e l’abbiamo fatto. (…) Di certo non conoscevamo nessuno che suonasse veloce quanto noi in quel periodo. Solo in seguito, gruppi come D.R.I., Siege e Napalm Death si sono fatti prendere dalla malattia della velocità. Infatti, ci è giunta voce che i Napalm Death ascoltarono il nostro demo, decidendo quindi di cambiare stile. Non so se sia vero, ma se lo è, è un grande onore!”. Difficile dire se la band inglese si sia davvero ispirata a questi quattro scapestrati ragazzi provenienti da Hedemora, un piccolissimo centro della Svezia centrale. Fatto sta che nel 1982 era davvero difficile imbattersi in qualcosa di più veloce, caotico e violento di quel selvaggio demo.

Tralasciando tutta una serie di band più o meno vicine agli estremismi dell’hardcore, del thrashcore e dello speed-metal (i Discharge di “Why” e “Hear Nothing See Nothing Say Nothing”, i Deep Wound dell’omonimo Ep targato 1983, i Septic Death di “Need So Much Attention”, i misconosciuti Cyanamid di “I Love NJ”, gli Youth Korps di “’82”, gli Stark Raving Mad di “Mx” etc.), un altro mattone essenziale per gli sviluppi del grindcore fu piazzato da “Drop Dead”, cassetta autoprodotta dagli americani Siege, provenienti da Weymouth nel Massachusetts e composti dal cantante e sassofonista Kevin Mahoney, dal bassista Henry McNamee, dal chitarrista Kurt Habelt e dal batterista Rob Williams. In questa manciata di brani, registrati in quel di Boston nel febbraio del 1984 e prodotti da Lou Giordano (che lavorerà anche con Hüsker Du e Goo Goo Dolls) sembra esserci già tutto per poter pronunciare senza esitazioni la parola “grindcore”: accelerazioni burrascose, la voce che si scava dentro, alla ricerca di un grido primordiale, le chitarre ultra distorte e taglienti come una lama arrugginita, la batteria in preda a squassanti raptus di follia, la produzione sporca e malsana il giusto. Sullo sfondo, naturalmente, si sentono ancora gli echi della stagione hardcore, ma è soprattutto l’hardcore evoluto e paranoico dei Flipper, il cui fantasma aleggia sinistro lungo tutti i 7' 23" di “Grim Reaper”, dove a passo solenne, lasciano vagare fiati in caduta libera, distorsioni noise, growl mefistofelico, stacchi e ripartenze rapidissime e slabbrature di basso. A conti fatti, bisognava eliminare gli ultimi residui “intellettuali” per poter finalmente entrare nei confini di una nuova stagione sonora. Residui che, poco alla volta, i Napalm Death contribuirono a erodere, trasformando quello che era ancora un mix più o meno omogeneo di tante influenze in un sound che avrebbe rappresentato una delle più grandi rivoluzioni musicali degli anni Ottanta.

Ancora più veloce!

Nati in quel di Meriden nei pressi di Birmingham grazie alla passione di due adolescenti del posto (Nic Bullen e Miles Ratledge), i Napalm Death (il moniker fu scelto per la venerazione che i due avevano per “Apocalypse Now!”, il capolavoro di Francis Ford Coppola) furono inizialmente attratti dal movimento anarcho-punk che aveva nei Crass gli indiscussi portabandiera. Intorno al 1983, l’arrivo di Justin Broadrick diede uno scossone niente male alla band, portando in dote ascolti di Killing Joke, Swans, Throbbing Gristle e di alcuni dei nomi più caldi della allora nascente scena power-electronics. Di demo in demo, la band iniziò a forgiare un’intrigante miscela sonora, capace di fare acrobazie tra punk ipercinetico, thrash-death e oscurità metalliche di ascendenza post-punk. Ne è testimonianza “Hatred Surge”, cassetta autoprodotta del 1985 che di certo non lasciava ancora presagire la svolta radicale degli anni successivi. Broadrick non era molto soddisfatto del batterista Miles Ratledge, soprattutto perché non riusciva a suonare a velocità folli e la cosa destava preoccupazioni perché, nel frattempo, anche Bullen era entrato in fissa con alcune formazioni che facevano della velocità d’esecuzione un minaccioso vessillo (“a quell’epoca – ricorderà in seguito – ascoltavamo anche molto hardcore giapponese, roba tipo Gay Akura, S.O.B., Systematic Death, Geza”). Fu così che entrò in scena Mick Harris. “Un giorno, dopo un nostro concerto - ricorda Broadrick - venne da me un tizio piccolo, pieno di tatuaggi e con un taglio di capelli psychobilly. Sembrava piuttosto aggressivo e mi dice: 'Sono un batterista e suono in una band di psychobilly che ci va giù molto veloce!'. Così, dopo averne parlato con Nic, decidiamo di farlo provare con noi e, diamine, era davvero molto veloce!”.
“Quando entrai nella band – ricorda Harris – l’idea di Nic e Justin era quella di orientarsi verso soluzioni più thrash-metal [spinti anche dall'ascolto del demo "Slaughter Of The Innocent” dei Repulsion, ndr], cosa che il loro precedente batterista non vedeva di buon occhio. Invece, a me andavano molto a genio quelle soluzioni estremiste, perché apprezzavo molto band che suonavano veloci, roba tipo i Siege, i Deep Wound, ma anche i Chaos Uk etc.”. Così, quando Nic e Justin andarono a casa di Mick per comunicargli la sua entrata in formazione, Justin, per fargli capire senza molti giri di parole cosa volevano da lui, gli chiese a bruciapelo, mentre ascoltavano alcuni brani dei Siege: "Quanto veloce puoi suonare brani di questo tipo?". "Ancora più veloce!", fu la risposta immediata di Mick. E fu così che il demo successivo, “From Enslavement To Obliteration”, finì per essere di gran lunga più interessante, soprattutto perché è in queste tracce (alcune delle quali ri-registrate in seguito per far capolino nei primi due album ufficiali) che per la prima volta iniziano a sentirsi i prodromi di quello che, di lì a poco, tutti chiameranno con il nome di grindcore.

Il passo successivo fu quello decisivo. Siamo nel 1986 e il trio è impegnato nella registrazione di una dozzina di brani da destinare a uno split-album condiviso con gli Atavistic, una formazione di crossover thrash. Ma nonostante gli accordi presi con la Manic Ears Records di Bristol, alla fine entrambe le formazioni restarono con un pugno di mosche. Così, mentre Broadrick e Bullen uscirono di scena (entrambi già stanchi della direzione musicale intrapresa), il solo Harris si ritrovò unico padrone della ragione sociale e, deciso a continuare, iniziò a cercare nuovi sodali. Il primo a essere contattato fu il multistrumentista Shane Embury, ma il sodalizio durò pochissimo, perché quest’ultimo, non ancora convinto delle sue potenzialità alla sei corde, preferì unirsi in pianta stabile agli Unseen Terror in qualità di batterista. Fu, quindi, la volta di Frank Healy ma le cose andarono ancora peggio, vista la sua inesperienza. Alla fine, Harris incontrò il chitarrista Bill Steer, già attivo negli allora ancora sconosciuti Carcass, e il bassista Jim Whitely. E scattò la giusta magia.
Mancava, comunque, ancora un cantante ma non ci volle molto a risolvere il problema grazie all’arrivo di Lee Dorrian, che in seguito avrebbe formato una leggenda del doom-metal, i Cathedral. Dorrian conosceva benissimo i Napalm Death, perché li aveva visti dal vivo almeno una cinquantina di volte! A causa della dislocazione geografica dei quattro membri (Harris e Whitely vivevano a Birmingham, Steer in quel di Liverpool e Dorrian a Coventry), questo nuovo quartetto riuscì a provare soltanto una volta prima di entrare in studio per registrare i nuovi brani che Harris aveva appena abbozzato su una chitarra a due corde... Nonostante tutti i problemi, in una sola notte tutti i brani vennero registrati nei Rich Bitch studio di Birmingham. Era il maggio del 1987.       
Grazie all’interessamento della lungimirante Earache di Digby "Dig" Pearson (che proprio con questo disco iniziò la sua lunga produzione di lavori orbitanti intorno all’universo estremo del metal – in precedenza, la label vantava solo due titoli di ambito thrashcore/crust-punk: “The Return of... Martha Splatterhead” degli americani The Accüsed e lo split album condiviso dagli inglesi Heresy e Concrete Sox), "Scum" (28 tracce; 33:04) vide la luce nel giugno successivo, sintetizzando in trentatré minuti e rotti un intero universo estremista.

You suffer… but why?

Nonostante la diversità di line-up, con il solo Harris a fare da collante, "Scum" suona piuttosto compatto a livello di sound. Sul lato A, contrassegnato da un lavoro di chitarra più punk-oriented, a cominciare dall’invettiva anti-capitalistica di “Multinational Corporations” (non si dimentichi che nella sinistra copertina disegnata da Jeff Walker dei Carcass compaiono i marchi di alcune delle multinazionali più importanti dell’epoca: Union Carbide, General Motors, Ford, Coca Cola, British Petroleum etc.), si assiste a una radicale brutalizzazione del crust-punk, del d-beat e dell’hardcore, passando attraverso violenti blast-beat, disumane accelerazioni che sembrano spalmare il suono lungo le pareti di un vortice iconoclasta, grugniti primordiali che polverizzano le liriche trasformandole in un assedio di nichilistica ferocia e qualche acida esalazione doom. Mentre numeri come la leggendaria “Siege Of Power” (che con i suoi scarsi quattro minuti di durata è il brano più lungo del disco) materializzano marce ascendenze death-metal, l’esaltazione e il delirio sono spinti fino al parossismo in brani quali “Polluted Minds”, “Sacrificed”, “Born On Your Knees”, “Human Garbage”, fino alla condensazione definitiva di “You Suffer”, brano entrato nel Guinness dei primati per essere la “canzone più breve mai registrata”, con 1 secondo e 316 millesimi di durata (a detta di Nic Bullen, l’ispirazione per questo brano arrivò dall’ascolto di “E” dei thrasher tedeschi Wehrmacht, un brano che di secondi ne faceva segnare due). Insomma, “You Suffer” (il cui testo recita You suffer… but why?) potrebbe essere la perfetta colonna sonora per il grande collasso termonucleare prossimo venturo.
“Quando ascoltai per la prima volta ‘You Suffer’ – disse una volta Beau Beasley degli Insect Warfare – fu come percepire il suono di due enormi pezzi di metallo arrugginiti che entrano in collisione tra loro. Veloce, brutale e destabilizzante. Come una macchina che si schianta […] Mi piace l’aspetto primitivo di canzoni come questa. Tutto quello che si ha da dire può essere detto in maniera molto semplice. Si pensi alla potenza della parola “NO”. Quando la senti, comprendi subito il suo intento. Bene: immagina quella potenza con un suono di un blast beat dietro…”. “You Suffer” non è soltanto il gesto più estremista dei Napalm Death, ma è anche la perfetta esemplificazione del Sacro Graal dell’universo grindcore: un brano così conciso e veloce da rasentare l’istantaneità assoluta. L’esigenza, che era stata dei punk, di dire tutto quello che si aveva da dire nel minor tempo possibile giungeva, insomma, al suo momento culminante.  
Per la cronaca, proprio questo brano fu posto in apertura di “Earache: World's Shortest Album”, un vinile 5” in edizione limitata che l’etichetta inglese rilascerà nel 2012, raccogliendo alcune delle tracce grind più brevi di sempre (oltre ai Napalm Death e ai Brutal Truth, si possono ascoltare “schizzi” di Wormrot, Pain Killer, Anal Cunt, Insect Warfare, Lawnmower Deth e Morbid Angel). Durata del disco? 87 secondi…

Con “Life?”, brano che inaugura il lato B, si entra in una dimensione sonora ancora più oscura e caotica. A causa di una produzione più torbida, che immerge i brani in un clima di farneticante veemenza, le diverse influenze vengono diluite in un suono ancora più sporco e depravato. La chitarra di Bill Steer (accordata due tonalità e mezzo sotto), la voce di Lee Dorrian e il basso di Jim Whitely non fanno rimpiangere i loro predecessori, continuando a maciullare riff, pulsazioni ossessive e vocalizzi subumani (spesso contrappuntati da schiamazzi demoniaci) senza un attimo di tregua. La rutilante “Success?”, le psichedeliche e malsane “Deceiver” e "Stigmatized", il caos alienante di “Parasites”, le devastazioni punitive di “Divine Death” e di “Moral Crusade” e il pow-wow fuori controllo di “Dragnet” sono altri momenti da ricordare.
Dopo la sua pubblicazione, il disco – che raggiunse un incredibile settimo posto nella classifica indie inglese - divenne un oggetto misterioso, osteggiato da molti critici e adorato da tanti altri addetti ai lavori, in primis l’illuminato John Peel, che inviterà la band negli studi della Bbc per registrare le “Peel Sessions”. La rivoluzione del grindcore iniziava, quindi, con una benedizione niente male.
Nel 1988 (anno in cui il New Musical Express schiaffò i Napalm Death in copertina, definendoli “la band più veloce del mondo”), arriverà quindi “From Enslavement To Obliteartion”, opera che contribuì a rendere ancora più maestosa e salda la roccaforte eretta da "Scum".

23/11/2014

Tracklist

1. Multinational Corporations
2. Instinct of Survival
3. The Kill
4. Scum
5. Caught in a Dream
6. Polluted Minds
7. Sacrificed
8. Siege of Power
9. Control
10. Born on Your Knees
11. Human Garbage
12. You Suffer
13. Life?
14. Prison Without Walls
15. Point of No Return
16. Negative Approach
17. Success?
18. Deceiver
19. C.S. (Conservative Shithead)
20. Parasites
21. Pseudo Youth
22. Divine Death
23. As the Machine Rolls On
24. Common Enemy
25. Moral Crusade
26. Stigmatized
27. M.A.D.
28. Dragnet