Quella che si è da poco conclusa è stata, per Charlotte Gainsbourg, un'annata intensa. Oltre ad aver aggiunto importanti tasselli alla propria carriera d'attrice - l'abbiamo vista in "Antichrist" di Lars Von Trier, insieme a William Defoe (in un'interpretazione che le ha fatto meritare un premio al festival di Cannes) e in "Persécution" di Patrice Chéreau, proiettato durante la 66esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - la figlia della celebre coppia dell'allora scandalosa "Je t'aime... moi non plus" ha ultimato le registrazioni di un nuovo capitolo discografico, il terzo in oltre vent'anni (il suo controverso debutto, "Charlotte For Ever/Lemon Incest", è del 1986). Il precedente "5:55", prodotto da Nigel Godrich con importanti contributi di autori come Jarvis Cocker e Neil Hannon, ma soprattutto dei francesi Air, è stato ben accolto - arrivò al primo posto in Francia. Un'elegante raccolta di canzoni composte per lo più in inglese, ma che richiamava molto le atmosfere dei dischi di Dunckel e Godin e, in alcuni episodi, non l'ha vista totalmente emancipata dall'ingombrante eredità paterna.
"Squadra che vince non si cambia"? Non per Charlotte, che questa volta si affida a Beck, uno degli autori e produttori più originali emersi negli ultimi due decenni, che compone gran parte delle canzoni e suona molti strumenti, dalla chitarra acustica al basso, dal pianoforte alle tastiere e alle percussioni. "IRM" ("Imagerie à Resonnance Magnétique", il titolo fa riferimento a un drammatico incidente di sci nautico di cui l'artista è stata vittima nel 2007) è un disco di chiaroscuri, un susseguirsi di umori. La voce di Charlotte è robotica nella percussiva title track, più sussurrata in molte altre canzoni, particolarmente sensuale quando si sposa ad atmosfere noir e si avvolge in sinuosi arrangiamenti orchestrali. Beck è riuscito con successo a entrare nel mondo della Gainsbourg, resistendo allo stesso tempo alla facile tentazione di citare troppo il repertorio del padre Serge (del quale è pur un dichiarato estimatore), e a guidarla nell'intero percorso senza però mai imporle il proprio gusto - anche se è stato proprio lui a proporle l'unica cover qui presente, una rilettura piuttosto fedele di un oscuro brano di Jean-Pierre Ferland datato 1970 (si tratta di "Le chat du café des artistes").
Resistono alcune atmosfere alla Air, nella delicata "In The End" e nella conclusiva "La Collectionneuse", che contiene suggestivi estratti da "Alcools" e "Le Guetteur Mélancolique" di Guillaume Apollinaire. Oltre al singolo "Heaven Can Wait" cantato con Beck, la composizione più pop del lotto corredata da un video di Keith Schofield, c'è "Time Of The Assassins" - che avrà fortuna nei network radiofonici di un certo gusto. Convince la folkeggiante cantilena di "Me And Jane Doe", che si arricchisce un po' alla volta di percussioni, cori e una marimba suonata dallo stesso Beck Hansen. Spicca anche l'onirica "Vanities" - con gli archi arrangiati da David Campbell e l'arpa di Monique McGuffin - che richiama le atmosfere di Julee Cruise e Angelo Badalamenti. Charlotte si concede ad un rock robusto e graffiante in "Trick Pony", non distante dall'ultima Marianne Faithfull, mentre le algide distorsioni di "Greenwich Mean Time" (di cui è co-autrice) riportano alla mente le produzioni di Mitchell Froom per Suzanne Vega. Trova posto anche un omaggio (volontario?) ai T. Rex di Marc Bolan in "Dandelion".
Una collezione così eclettica di canzoni potrebbe spiazzare ai primi ascolti, e "IRM" rientra sicuramente nella categoria dei growers. Beck è in particolare stato di grazia, e Charlotte dimostra ancora una volta di sapersi circondare di collaboratori in grado di saper cucirle addosso un repertorio credibile e intrigante, che fa perdonare una voce espressiva ma poco potente e dall'estensione piuttosto limitata. Un'altra sorpresa - in tempi di loudness wars - è il mastering di Bob Ludwig (gli audiofili più esigenti possono optare per l'edizione in vinile...) capace di rendere il suono piacevolmente dinamico.
18/02/2010