Pinkcourtesyphone è il micromondo dove l'arte di Richard Chartier abbandona la costante ricerca sperimentale per abbracciare l'espressionismo. Un luogo dove il minimalismo assoluto, frutto di una sintesi sottrattiva portata a conseguenze sempre più estreme, cerca di fuoriuscire dal suo guscio, di contaminarsi, di trovare un contatto con forme espressive alternative e/o complementari. Sarà forse per questo che a risultarne sono i lavori più accessibili, emotivi, squisitamente ambientali e meno concettuali del suo percorso, all'interno dei quali una componente fissa è l'ingente numero di collaboratori chiamati a condividere l'esperienza creativa - fra i quali, stavolta, figurano almeno un paio di autentici monumenti viventi.
“Description Of Problem”, il parto numero quattro del progetto e il secondo a condire il catalogo della divisone Segments di Line, raccoglie sei digressioni di durata mista che si concentrano sull'aspetto percettivo dell'arte di Chartier. La declinazione scelta qui è quella di un minimalismo ambientale che pesca in maniera cospicua dal Thomas Köner più organico, aprendo le proprie porte all'armonia, ma che rinuncia per scelta alla purezza contemplativa. Il fine ultimo e unico è infatti l'accrescimento della forza espressiva, raggiunto attraverso l'apertura a una moltitudine di linguaggi, alcuni dei quali estranei all'usuale tavolozza dell'americano.
Primo di questi è indubbiamente il rumore brado, eretto a sostanza e “liberato” dal ruolo di corredo formale: prova lampante è in tal senso “Our Story”, viaggio in fuga dalla pece nera condiviso con l'amica AGF dove le vibrazioni arrivano a toccare con mano i muri dell'ultimo Ben Frost. Decisamente più oppressiva è invece la desolazione inscenata nella solitaria “Prefunctory Attachments”, unico vero episodio improntato su una sound art estetica. A rubare a quest'ultima lo scettro di climax claustrofobico è l'apocalisse cibernetica di “Iamaphotograph (Darkroomversion)”, recitata da nientemeno che Kid Congo Powers nel ruolo di “dittatore robotico”.
L'apertura delle danze, invece, sembra riassumere questi elementi con il tradizionalismo ambientale che caratterizza il resto del disco: a fornire i suoi “haunting voicemails” è stavolta William Basinski, che decora un possibile outtake dal bellissimo “Aurora Liminalis” di due anni fa. Su un tenore simile si assestano anche la splendida estasi conclusiva di “Wish You Goodbye” - con Evelina Domnitch a sussurrare sulle armoniche - e, soprattutto, i diciotto minuti di immersione negli abissi di “Boundlessly”. Proprio qui, fra field recordings appena percettibili, scheletri dub, flussi silenziosi e il recital della regina dell'industrial Cosey Fan Tutti, sta il cuore pulsante di questa riuscitissima evasione poliglotta.
09/02/2015