Con uno stile poco incline alle semplificazioni chitarristiche di molte band britpop, i Field Music hanno rovistato intelligentemente nel patrimonio ritmico dei Talking Heads, nell’estetica perfetta e mai eccessiva degli Steely Dan e nel magico mondo sonoro di Todd Rundgren, evolvendo tutte le migliori intuizioni di quella musica pop confinante con la sperimentazione e l’azzardo.
“Open Here” giunge due anni dopo il monumentale “Commontime”, ed è in parte attraversato da un’urgenza e una verve che tradiscono ambizione e una costante attenzione al sociale, un elemento quest’ultimo che ha sempre contraddistinto la produzione della band. Mentre i testi affondano ancora di più in problematiche moderne, la musica vira verso geometrie ritmiche più vivaci.
Tutte le tracce sono un complesso groviglio di spunti e riferimenti stilistici, che nell’economia di “Open Here” appaiono funzionali solo alla volontà dei Field Music di voler rendere il tutto quanto più familiare possibile, ed è quindi naturale che durante l’ascolto ci si soffermi sulle contiguità di “Front Of House” con le sonorità di Peter Gabriel era “IV”, o sulle marcate assonanze della title track con la beatlesiana “Eleanor Rigby”.
Il funk è l’elemento ricorrente, con sfumature tonali che rimandano a Talking Heads (“No King No Princess”) o Xtc (“Checking On A Message”). Eleganza e prosperità lirica vanno spesso di pari passo emulando sia il David Bowie di “Station To Station” che i Gentle Giant di “The Power And The Glory” (“Time In Joy”).
Di fronte a tanta imprudenza si rischia di restare un attimo basiti, soprattutto perché - nonostante l’enorme bagaglio di citazioni - si resta favorevolmente sorpresi e affascinati dalla personalità prorompente dei fratelli Brewis, artefici di un suono e di uno stile di scrittura peculiari.
I ritmi frastagliati che mettono insieme post-punk e funk, le continue variazioni armoniche in bilico tra folk e progressive-rock, le colte incursioni nel jazz e il tono possente della batteria e delle tastiere sono gestiti come elementi molecolari di nuove affascinanti creazioni alchemiche. È infatti ingannevole il riff semplificato di “Share A Pillow”, un brano pop reso interessante da intrecci vocali alla 10cc, una schitarrata alla Prince e un finale roboante; anche il funky-disco di “Goodbye To The Country” nasconde più di una sorpresa nella sua apparente svogliatezza.
La recrudescenza di forme di odio e razzismo (“Count It Up”), la depressione (“Daylight Saving”), l’identità sessuale e di genere (“No King No Princess”), la genitorialità e la cura dei propri figli (“Share A Pillow”) sono solo alcuni dei temi affrontati dai fratelli Brewis, in quello che alla fine risulta uno degli album pop più originali e creativi degli ultimi tempi.
La scelta di cantare di argomenti spinosi su tempi ritmi tipici di un brano di Hall & Oates, Prince e Sparks, con elaborazioni armoniche invece più tipiche del fronte prog e Canterbury (Genesis, Hatfield and The North, Gentle Giant), è un azzardo che merita il plauso anche dei non-fan del genere.
E se qualcuno troverà eccessivo il tono eccentrico di gran parte dell’album, farà bene a indugiare nell’ascolto, in attesa di scoprire l’elegante mix di folk-pop e ritmi tribali dell’introspettiva e psichedelica “Cameraman”, o di assaporare le sublimi variazioni sul tema baroque-pop di “Daylight Saving” che sposano l’arguzia degli Sparks con la soavità regale dei Left Banke.
Che “Open Here” sia un album ricco di inquietudine è evidente, non solo perché le incisioni sono state effettuate prima di abbandonare, dopo ben diciassette anni (per sfratto), il proprio studio di registrazione, ma soprattutto per la rinuncia alle più dettagliate e rifinite architetture orchestrali, le quali fanno infine capolino solo nel finale crepuscolare e malinconico di “Find A Way To Keep Me”.
È ormai assodato che dopo la fustigazione del punk-rock, il rock progressivo si è evoluto accogliendo un linguaggio più asciutto, lineare e armonicamente spigoloso, basti pensare ai King Crimson di "Discipline". Il risultato è una musica intelligente e intellegibile che tra chitarre asciutte e ritmi irregolari ha rinnovato le coordinate dell’art-rock. In questo nuovo archetipo stilistico i Field Music non hanno molti rivali all’altezza della loro intelligente inventiva.
(11/04/2018)