I Field Music già da tempo hanno dimostrato di aver poco rispetto per questo diktat, anzi in “Commontime” non solo sono felici, ma addirittura frivoli e irriverenti, le loro ambizioni stilistiche non sono infarcite di pretestuose logiche concettuali (quelle che, ad esempio, sembrano funzionare per St Vincent), ma sono più attigue ai giocosi intrighi di ritmo ed elettronica di Metronomy, Xtc o Maximo Park.
Svincolati da escatologie e fasulle filosofie sonore, i fratelli Brewis mettono in campo il loro album più coeso e maturo, concretizzando l’ossimoro prog-rock che finora aveva messo in crisi carriere pluridecorate come quella dei Genesis e degli Yes. I Field Music rivalutano altresì l’enigmaticità ritmica dei Gentle Giant e la furia pop-funk dei Gang Of Four, dando forma a una musica dai complessi stati emotivi, la cui prevedibilità armonica risulta comunque singolare e godibile a ogni riascolto.
“Commontime” è la celebrazione della creatività dei tempi in 4/4, quella che mette in comunicazione il pop dei Fine Young Cannibals e di Hall & Oates con le ossessioni melodiche di Peter Gabriel o degli Xtc, la stessa già abilmente esplorata nel progetto collaterale di David Brewis, ovvero gli School Of Language.
Le sfumature chamber-pop, che hanno in precedenza caratterizzato album come “Measure“ e “Plumb”, sono in parte sacrificate a favore di una verve alla Ray Davies-Andy Partridge, che dà vita a una serie di piccole schegge future-pop mai imbrigliate da tecnicismi e sempre ricche di genio e comunicatività, una sinergia che raramente si realizza nel pop-rock contemporaneo.
Le armi vengono istantaneamente affilate con il primo singolo “The Noisy Days Are Over”: un pop-funk dall’incedere alla Talking Heads era-“Remain In Light”, costruito su un possente groove infarcito con superbe incursioni di fiati e pianoforte.
Tutto l’album è un susseguirsi di potenziali hit-single, come il nervoso funky-rock-wave alla Devo di “I’m Glad” o il raffinato soul-jazzy di “They Want You To Remember” che mette in fila Steely Dan, Todd Rundgren e Hall & Oates. Il pop beat di “Disappointed” ha la stessa sfrontatezza dei Metronomy, “Don’t You Want To Know What’s Wrong?” graffia con la stessa ironia dei 10cc, mentre “Stay Awake” sprizza soul e timbriche alla Todd Rundgren.
Più riflessiva e liricamente ardita, la seconda parte di “Commontime” mette in evidenza le radici canterburiane e l’anima prog dei Field Music, dietro l’apparente semplicità di complesse creazioni pop come “How Should I Know If You’ve Changed?”, “Indeed It Is” o “That’s Close Enough For Now” si cela infatti una cura quasi artigianale dei dettagli.
Mentre la ballata “The Morning Is Waiting” celebra i fasti orchestrali di “Abbey Road”, la splendida “Trouble At The Lights” coniuga estro e saggezza con una serie di affascinanti digressioni armoniche e ritmiche.
La continua serie di citazioni e paragoni illustri potrà a questo punto sembrare fuorviante, senza alcun dubbio offrirà ai detrattori della band argomentazioni sufficienti per archiviare l’ultimo album dei Field Music come l’ennesimo tentativo di resuscitare fasti ormai irripetibili.
Al contrario “Commontime” è il progetto più completo finora realizzato dai fratelli Brewis, genialità e incosciente sregolatezza procedono di pari passo, sconfiggendo la banalità e la prevedibilità di cui spesso resta vittima la musica pop-rock odierna.
(06/04/2016)