Scorrendo la discografia dei Lay Llamas, dall'esordio omonimo fino alle infiorescenze world del pregevole “Malophoros/ Mondi di pietra” (esperienza a tu per tu con lo sciamano della tammorra Alfio Antico, impressa su 7” da Backwards), è davvero difficile non percepire la sinestetica iridescenza che ne attraversa i vari capitoli. E il presente “Thuban” non è da escludere dal novero, anzi. Nell'ultima fatica, infatti, la luce cavalca ancor più prepotentemente le onde cerebrali dell'ascoltatore, insinuandosi nei padiglioni auricolari per poi esplodere davanti agli occhi e farsi corpo celeste: Thuban, appunto. Ovvero il nome arabo della stella Alpha Draconis, considerata l'astro di riferimento del Polo Nord dal quarto al secondo millennio a.C.
Con il moto proprio del chitarrista Gioele Valenti, che ha preferito convogliare il proprio bagliore sul progetto “JuJu”, Nicola Giunta è de facto timoniere unico della nave spaziale Lay Llamas, lanciata ancora una volta, dopo “Østro”, sulla stessa rotta del razzo psichedelico fabbricato da Chris Reeder. L'impatto genera in prima istanza “Eye-Chest People's Dance Ritual”, una pioggia luminescente di detriti cosmici scandita da una sezione ritmica debordante, in cui basso e batteria compongono un'armonia esotica che si protrae negli orditi di “Holy Worms”, inglobando nelle sue maglie funk una scia di voluttà mista a nuance fourth-world riconducibili ai Gala Drop.
L'andamento motorik di “Silver Sun” squarcia il velo sull'anima “krauta” dei Nostri, impegnati a omaggiare i grandi corrieri (Can e Neu! su tutti) che hanno solcato i cieli variopinti della psichedelia, rifornendosi di tanto in tanto agli scaffali dell'immenso “supermercato galattico”.
I ritmi iniziatici su cui i Lay Llamas sollevano il totem occulto “Cults And Rites From The Black Cliff” inaugurano un fortunato terzetto di ospitate, con l'anfitrione Giunta intento a vezzeggiare - nell'ordine - i Clinic, che inondano le stanze con effluvi art-rock, i Goat, che con le loro passionali sacerdotesse officiano la cerimonia tropical-bucolica “Altair”, e il fondatore del Pop Group, Mark Stewart, che servendosi di un affilato spoken-word avvelena ulteriormente lo spaesante afrobeat di “Fight Fire With Fire”, inquinato all'origine da chitarra distorta e basso intimidatorio.
La lunga coda del Dragone assesta gli ultimi, frastornanti colpi con “Chronicles From The Fourth Planet”, pregna di allucinanti vapori mediorientali, e “Coffins On The Tree, A Black Braid On Our Way To Home”, innervata da un lisergico onirismo i cui esiti perdurano anche nel post-viaggio.
Alla stregua dei famelici collettivi Al Doum & The Faryds e La Piramide di Sangue, degli infaticabili Julie's Haircut, del policromo Golden Cup e del mostro sacro Fabrizio Cecchi, alias Trip Hill, Nicola Giunta è ormai da considerare, a tutti gli effetti, un vero e proprio sacerdote del culto psichedelico peninsulare.
16/06/2018