Come immaginato, anche la pubblicazione di un disco live rappresenta un capitolo particolare nella discografia della band di Melbourne. “Chunky Shrapnel” è infatti un progetto che va assimilato su due fronti: quello puramente sonoro e quello visivo, essendo colonna sonora del film documentario diretto da John Angus Stewart (già responsabile di molti video della band), che mette insieme varie esibizioni catturate durante il tour europeo del 2019.
La fruizione del solo manufatto discografico parte dunque svantaggiata nella valutazione critica, che non può prescindere dalla difficoltà che molti avranno nel potere assistere al film, ma nonostante tutto la potenza della band riesce a dar luce anche a questi quasi 100 minuti di esplosione psych-rock dai toni corrosivi, divertenti e selvaggi.
Raccontare l’album live della band, che più di altre ha fatto della sua vita on the road il vero punto d’attrazione e apprezzamento, è affare complesso, “Chunky Shrapnel” è destinato all’osanna dei fan e ai commenti superficiali di chi era in attesa di un capolavoro epocale; ipotesi, quest’ultima, impossibile, essendo la musica dei King Gizzard & The Lizard Wizard per sua natura incline alla provocazione e a un situazionismo creativo che poco si addice alla logica degli enciclopedisti del rock.
Nei primi mesi del 2020 la band ha pubblicato, solo in digitale, ben tre album-concerto allo scopo di raccogliere fondi per arginare i danni degli incendi boschivi in Australia. “Chunky Shrapnel” in questa sequenza di resoconti dal fronte del palco ha una sua logica strutturale meglio definita, concentrando l’attenzione sulla maturità raggiunta dalla band.
Sono tante le occasioni per apprezzare le qualità delle versioni live, a partire da una bella rilettura di “The River” che rafforza il paragone con la live band per eccellenza, ovvero i Grateful Dead, grazie a un corpo centrale chitarristico eccellente.
Episodi come “Let Me Mend The Past” e “Wah Wah” restano abilmente sulle righe, ma la versione di “Road Train” (tratta dal notevole “Nonagon Infinity”) è una scarica d’energia pura che riesce a smuovere anche le pietre, peraltro perfettamente in contrasto con la splendida divagazione elettronica di “Anamnesis”, uno dei tre inediti strumentali che serve da raccordo per la sequenza del disco/film.
Ci sono anche due estratti dal concerto di Milano, ma sono senza dubbio i più poveri dal punto di vista della registrazione e della performance, meritano invece una menzione particolare la versione di “Parking” registrata a Bruxelles, graziata da un assolo di batteria straordinario, e quella di “Murder Of The Universe” estratta dal concerto di Utrecht, corposa e solida al punto da risultare perfino più accattivante dell’originale.
Scelta comunque non facile, quella dei brani atti a rappresentare la resa sul palco dei King Gizzard & The Lizard Wizard. Qualcuno lamenterà la mancanza di episodi da “Fishing For Fishies”, “Gumboot Soup” e “I'm In Your Mind Fuzz”, anche in virtù dei quasi venti minuti dedicati a “A Brief History Of Planet Earth”, assemblata su ben quattro performance diverse (Londra, Berlino, Utrecht e Barcellona), partendo dalle note iniziali di “Rattlesnake” per poi snodarsi in una lunga jam session, ma è proprio in questa selvaggia e atipica forma narrativa che è racchiusa l’essenza di una delle poche band destinate ad entrare nella storia del rock contemporaneo.
19/06/2020