Con una voce arrochita, impreziosita dal vissuto e dalle traversie di un triennio che l'ha vista dapprima perdere la sua casa (nonché anni di appunti e registrazioni) a causa di un incendio, e poi divorziare dall'ex-marito Liam Hemsworth, Miley Cyrus è ormai interprete solida, tanto grintosa nei momenti più trascinanti ed energici quanto passionale e sentita quando i toni rallentano e le ballad reclamano il proprio spazio. Sotto questo aspetto, si tratta della raccolta più soddisfacente della popstar, una successione di brani che sa piegare alla sua espressività verace, increspata, qualunque sia lo stile esplorato, o l'ospite che la accompagna. E di ospiti il disco ne ha di peso: se è vero che la collaborazione con Dua Lipa, autentica mattatrice del 2020, delude le aspettative, per una "Prisoner" che poggia troppo sul tributo a Olivia Newton-John e non fa valere al meglio la sua sinergia, sulla carta inarrestabile, decisamente meglio fa "Night Crawling", che rispolvera il timbro dannato del già nominato Billy Idol per un godurioso (quanto zarro) notturno rock dal tocco synthwave.
Se "Bad Karma" avvince per l'attitudine e la cazzimma (per quanto il contributo di Joan Jett avrebbe potuto essere gestito con maggiore incisività), il mashup con "Edge Of Midnight" del singolo di lancio "Midnight Sky" presenta una Stevie Nicks ancora in ottima forma, capace di tenere testa alla ben più giovane partner.
Ed è proprio "Midnight Sky", strategicamente posta a metà scaletta, a costituire il punto di snodo del disco. Per quanto la sua vibrante disposizione melodica la renda quasi un outlier in un album che non disdegna affatto midtempo e ballate, è anche il suo punto di forza, la dimostrazione di una scrittura matura, vivida, che il vasto impianto produttivo sa come elettrizzare, con le sue vigorose maglie sintetiche. Un vero peccato che questa vena non sia stata scavata più approfonditamente; anche a non mancare di brani validi (una "WTF Do I Know" screziata di giovanili scatti punk, una "Never Be Me" che affoga il tono autobiografico in una scrittura trés Roxette) spiace dover imbattersi in scarti di lavorazione del precedente album (una "High" del tutto irrilevante col suo placido andamento country) e spenti scimmiottamenti dei Goo Goo Dolls ("Angels Like You", già candidata a prossimo singolo), che poco contribuiscono all'energia del disco. Meglio, insomma, l'andamento più groovy e percussivo della title track, quantomeno la grana ruvida di Cyrus qui trova una struttura che sa procedere di pari passo.
Se è vero che "Plastic Hearts" convince più del precedente, garantendo un coinvolgimento che non si avvertiva dai tempi di "Bangerz", ha troppi buchi perché non si mettano da soli in evidenza, finendo col compromettere parzialmente quanto di buono c'è. Mesi addietro Miley Cyrus aveva menzionato un disco di cover dei Metallica: che questo sia soltanto un assaggio verso un ulteriore indurimento della proposta?
(02/12/2020)