L’evoluzione artistica di Jack Cooper ha sempre più attinenze con il percorso creativo di Mark Hollis. L’ex-Ultimate Painting e Mazes con il nuovo progetto Modern Nature ha aperto un capitolo nuovo: languori psichedelici e morbidezze jangle-pop si sono arresi a un brusio post-rock intriso di jazz e kraut-rock, ribaltando la prospettiva di una musicalità che sgorga come da una fonte naturale e incontaminata.
“Annual” è un breve compendio dell’ottimo esordio “How To Live”: un progetto concettualmente solido, una riflessione emotivamente ricca e delicata sul succedersi delle stagioni e sul rapporto sempre più stretto tra uomo e natura.
Gli elementi in gioco sono gli stessi del primo album: jazz-rock, kraut-rock, folk, psichedelia, minimalismo industrial e post-rock; è l’atmosfera a essere più autunnale, colpa o merito anche di una frenesia strumentale più misurata, a volte eterea.
A pagarne di più le conseguenze è l’energia cadenzata, frutto dell’apporto creativo di Will Young, momentaneamente impegnato con i Beak> e dunque assente. Un vuoto che il sassofono di Jack Tobias adorna di intuizioni figlie legittime di Miles Davis, mentre il contrabbasso di Arnulf Linder insegue i fantasmi della contaminazione folk-jazz anni 70.
Sarebbe interessante sapere se gli uccellini di copertina sono imparentati con quelli di “Spirit Of Eden”, certo è che lo spirito dei Talk Talk aleggia su “Annual”, a volte impedendone una valutazione più equa.
Tuttavia questi poco più di venti minuti di musica sono un concentrato di sfuggente bellezza, attimi che vanno catturati mentre le chitarre luccicanti intonano la melodia incompleta di “Dawn” o nel momento magico d’interazione tra contrabbasso, piano e voce che genera un dialogo tra paesaggi bucolici e urbani incantevoli in “Halo”.
E’ altresì naturale che il fascino pastorale di “Annual” incroci la poesia e il canto di Kayla Cohen, ovvero Itasca, nella pulsante “Harvest”, un brano che insieme al minimal soul-jazz di “Mayday” offre gli spunti più immediatamente assimilabili dell’opera.
Inutile dire che anche i fan di Nick Drake troveranno pane per i loro denti, non solo per il cantato di Jack Cooper, sempre più simile a un sussurro (“Flourish”), ma soprattutto per l’abilità della band di trasformare il silenzio e la meditazione in una forma d’arte dai tratti poeticamente evanescenti (“Ritual”, “Wynter”) che solo il cinismo della civiltà industriale può etichettare semplicemente come musica.
15/06/2020