Dai, senza stare a girarci troppo attorno: "Insolubilia" è il disco prog dell'anno. Per chi? Ma per me che vi scrivo, s'intende. Segni distintivi? È italiano, unisce pressoché ogni sottogenere del progressive rock, è frutto della creatività di un singolo ma ci suona dentro mezzo gotha delle scene progressive di oggi e di ieri. È sorprendente, è funambolico, è ammaliante. A modo suo, è romantico. Però è scherzoso. Ma evocativo, anzi, misterioso. Ha i tempi ingarbugliati per chi ama i tempi ingarbugliati (il recensore alza la mano), ha le belle melodie per chi non sa farne a meno (su anche l'altra), combina un organico cameristico da patiti di avant-prog (le mani sono finite) a un armamentario di tastiere che farebbe morire d'invidia anche i più superbi keyboard hero dell'era settantiana.
Alt, alt: ve la sto vendendo come troppo miracolosa. E anche come troppo noiosa, in fin dei conti. "Insolubilia" non è semplicemente un fritto misto di cliché progressivi. E non è un album per tutti gli amanti del genere (però per tanti, quello sì). È la creatura di Paolo Botta, tastierista di Yūgen e Not A Good Sign, e il suo secondo album solistico dopo "1000 Autunni", uscito giusto dieci anni fa. Come desumibile dalle coordinate, è un disco intricato e articolato su più livelli, "rock" solo in un senso genealogico e per molti versi più affine ad altri stili musicali - su tutti minimalismo e modern classical. Non contiene canzoni (tranne volendo "Insolubilia IV"). Non ha un arco narrativo memorabile che dia significato a ogni cambio di atmosfera. Vi ho un po' terrorizzati, sì? Era lo scopo.
Provvedo subito a controbilanciare: "Insolubilia" è uno dei dischi progressive più immediati che possano capitare a tiro. Ma come, vi chiederete, mica era complicato, stratificato, sfidante? Certo, ma è lì il bello. Gli undici brani del disco sono labirintici e lineari, impossibili da ricordare nei loro dettagli ma efficacissimi nel veicolare sensazioni immersive e cangianti. Si può provare a immaginare degli Änglagård all'ennesima potenza, con quei loro flussi rocamboleschi di temi dei quali molto più che le singole note arrivano le atmosfere evocate, quasi fossero storie, paesaggi, viaggi. Oppure provare ad ascoltare da Bandcamp un pezzo (il disco non è su altre piattaforme streaming, per scelta dell'artista) e lasciarsi prima avvolgere e poi trasportare per rapide e risacche da strumenti acustici, voci femminili, synth, organo, pianoforti elettrici... E chi più ne ha più ne metta.
Ok, è il momento di citare l'organico del disco. È di per sé impressionante, e rende conto di quanto impressionante risulti la musica. Compaiono nell'album, accanto a Paolo Botta, al produttore Marcello Marinone e ai compagni di Yūgen e Not A Good Sign: Fabio Pignatelli (Goblin, basso), Keith Macksoud (Present, basso), Vitaly Appow (Rational Diet, Five Storey Ensemble, fagotto), Luca Calabrese (Isildurs Bane, tromba), Simen Ådnøy Ellingsen (Shamblemaths, sassofono), Pietro Bertoni (FEM Prog Band, trombone ed euphonium), Nicolas Nikolopoulos ed Evangelia Kozoni (Ciccada, flauto e voce rispettivamente), Maria Denami (Loomings, voce), Thea Ellingsen Grant (Juno, voce), Lars Fredrik Frøislie (Wobbler, clavicembalo), Tommaso Leddi (Stormy Six, mandolino), Tiziana Azzone (Il Giardino delle Muse, tiorba), Massimo Giuntoli (harmonium), Pierre Wawrzyniak, Mélanie Gerber, Guillaume Gravelin (Camembert, Oiapok, basso, voce e arpa). Progressive sinfonico anni 70, "spaghetti prog", neoprog, new prog, avant-prog, Canterbury sound, progressive folk, jazz-rock: c'è tutto. Fermi, ora la tastiere: Hammond, Wurlitzer, Rhodes, Mellotron, Farfisa VIP sul fronte elettrico; ARP Odyssey, OSCar, Farfisa Synthorchestra, Roland RS-202, Elka X705, Behringer Model B ("Boog"), E-mu Vintage Keys, Nord Electro 3 sul versante sintetico.
Sopraffatti? Era un possibile rischio. Fortunatamente, c'è la musica a salvarci. C'è il vento nostalgico di "Insolubilia II", che con Mellotron, voce e tiorba catapulta in poche battute in qualche rovina avvolta dal muschio e dalla rugiada. O "La nona onda", che alterna una calma luminosa ad assalti chitarra-synth-sax che paiono gli scatti di un qualche imprevedibile gigante meccanico, appena ridestatosi da ruggine e torpore. Cercate qualcosa di più maestoso? "Insolubilia V" può andare, coi suoi imponenti bastioni di fiati e batteria. Qualcosa di leggero e trasognato? Ecco "Insolubilia IV", schiarita dalla voce di Mélanie Gerber e inizialmente soltanto punteggiata da vibrafono, fagotto, violino e tastiere.
Inutile tentare di elencare ogni anfratto emotivo svelato dai brani del disco. Per loro design, si tratta di costruzioni enigmatiche capaci di combinare gli opposti e mostrare sempre volti diversi. Il titolo del disco (e di ben cinque tracce) si rifà a quello dei rompicapi meccanici di cui Paolo Botta è appassionato, e traduce appieno il gusto che anima l'uscita. Giocoso ma impegnativo, diretto ma impenetrabile, ricchissimo di riferimenti ma originale al punto da rendere difficili i paragoni, "Insolubilia" è il segnale che, nonostante i cinquant'anni e rotti di storia alle spalle, il progressive rock non ha ancora esaurito gli assi da giocare.
15/12/2021