Che qualcosa lievitasse in casa Monkeytown, lo si percepiva già da un po'. "Who Else?" del 2019 tentava di rintracciare le coordinate del collettivo Pfadfinderei, proprio dove il fenomeno Modeselektor ebbe inizio, nelle dancehall alternative della capitale germanica. Forse i tempi non erano propizi, vuoi perché la loro è una storia che comincia ad avere quasi trent'anni, vuoi perché oggi forse il mercato della musica elettronica ha trovato i suoi nuovi "gingilli". In più, il loro collega Sascha Ring sembrava più orientato al mondo del soundtracking e l'abbiamo visto sperimentare anche al di fuori del moniker Moderat con esiti riconosciuti sia nel panorama della dancefloor che della musica dal vivo.
Pfadfinderei per Berlino fu agli inizi del 2000 un fenomeno di una forza culturale e sociale non indifferente, forse da noi recepito in modo più danzereccio e superficiale, che però ha qualche antecedente storico nel mondo dell'arte tedesca. Pfadfinderei ha acquisito forza attingendo dallo spirito dell'avanguardia tedesca prenazista, e ne ha espresso nella grafica e nella musica la stessa carica espressionista nell'era digitale, con un'introspezione psicologica meticolosa, che, legata ai Moderat, ha creato nell'ambito della musica popolare contemporanea, decenni dopo i vinili consumati di Kraftwerk, Tangerine Dream e Neu!, un percorso unico, dai tratti marcatamente distinguibili, sebbene abbia ormai trovato le sue derive commerciali, e abbia magari perso la carica eclettica del primo album del trio berlinese (pubblicato per altro non da Monkeytown, ma da Ellen Allien per BPitch Control). Proprio come Kirchner e Bleyl uscirono dalla Technische Hoschule di Dresda per pubblicare "Die Brücke" nel 1905, in linea rivoluzionaria con il loro folkgeist, Pfadfinderei ha voluto dare un nuovo volto alle arti audio-visive espresse sotto la monolitica Brandeburgo, imparando le lezione degli "entarteten", i "degenerati", così chiamavano i nazisti gli artisti dell'avanguardia nata all'ombra delle guglie della capitale sassone.
Così rieccoli di nuovo, Gernot Bronsert e Sebastian Szary, le due irriverenti facce di bronzo della scena Idm berlinese, sembrano quasi Beavis & Butthead a servire cheeseburger nel più losco fast food di paesello, pronti ad alzare il dito medio al primo che entra. Uscito ad aprile per la loro etichetta, "Extended" si presenta come una raccolta frammentata di schegge sonore, che fa presagire un loro imminente ritorno su più grande scala. Un mixtape variegato e pure un po' disordinato, su cui però si può fantasticare un'ipotetica mano di Ring a plasmarne le forme e a prestarne la voce.
Per chi è abituato alla loro musica, potrebbe suonare un po' come piatto riscaldato: "Let Your Love Grow", dal loro secondo disco "Happy Birthday", con il suo synth che si distendeva abrasivo sulla ritmica jungle, accompagnato dalla filastrocca rasta del loro collega Paul St. Hilaire, incideva sulla pelle d'oca dell'ascoltatore come le xilografie di un certo espressionista ossessionato dalle statuine africane.
Eppure c'è del materiale. Già dalla prima traccia, "Minibus", si deduce che il disco altro non è se non un rodaggio per tempi a venire. Una rombata di motore, una controllatina al serbatoio dell'olio, funziona la frizione, il cambio. Proprio a novembre i due stanno contemporaneamente rilasciando le stesse tracce su Ep remixate, se non con una nuova veste, in modo graduale. Hanno collaborato anche per l'utilizzo delle sonorità del disco su diverse coreografie; nella loro officina si collauda qualcosa.
"Sekt Um 12", si inserisce in un territorio Uk garage, avvicinandosi a sonorità alla Kode9, chiudendo con una piacevole coda stile Moderat. La più melodica "Tacken" non inventa nulla, ma tiene il ritmo sempre sulla dubstep. "Hood", con la collaborazione di Jackson and His Computer Band, si muove invece su blocchi industrial e tonnellate di bassi. Segue "Rainy", una bella introspezione synthwave, e qui il mix acquisisce la sua fluidità, continuando con "Hyendo Dancehall", un'electrocumbia decisamente acida, che si deflagra in "Butlin's Minehead Interlude", per riaffacciarsi con la caleidoscopica "Bangface", non lontana da alcune sonorità di "Geogaddi" dei Boards of Canada. Riprende poi slancio con il loro solito basso selecta. "Puls" spinge ancora più l'acceleratore dopo la frenata di "1000 Kicks", ritornando alla garage con "Soda". Da qui in poi si vira sulla techno, con qualche sfumatura più o meno trance ("Kupfer"), "U8" sembra presa da un disco dei Deepchord, per poi risalire sulla crosta terrestre con passo alla Photek ("OHM").
Eppur si muove... "Movement", con la voce profonda di Paul St. Hilaire, apre l'ultima parte del mix, dando tepore al basso pulsante in modo efficace. Si apre una melodia calda e umida, che quieta la nostra tachicardia, e ci fa respirare una sensazione di heimat. Ed è qui che si capisce davvero che la loro creatività sta di nuovo fermentando: la successiva "Keller" la spinge a venire in superficie, quindi "Mean" precipita dai segmenti della precedente ai flussi impazziti delle tracce finali (e qui citerei una notevole "Ctulhu Drums", che farebbe venire giù la pista). L'estensione a concludere di "Lockdown" sembra essere un sottofondo sonoro per le nostre riflessioni dopo la pandemia e le relative conseguenze. Chiude definitivamente le danze "Devotion Is Such A Strong Word", a suggello di un mix che, sì, non ha in sé grosse novità, ma riserva nella sua frammentarietà il potenziale ritorno in auge con Apparat, che proprio quest'anno ha fatto tappa con qualche data dal vivo anche in Italia.
Inoltre, proprio su https://moderat.fm/, compare da circa un mese questo scroll di numeri e lettere, che termina con la sigla MORE D4TA. Aprendo il link abbiamo i vari live che i Moderat avrebbero in serbo per il pubblico in Europa a partire da Giugno, con una data a Roma il 10 giugno. Che i tre stiano lavorando su un'ipotetica "quarta via"? Un loro ritorno su Lp nel 2022, o nel 2023, non ci dispiacerebbe.
17/11/2021