Arriva periodicamente un tempo nella parabola del talento adamantino di Chan Marshall in cui la cantautrice di Atlanta deve ritornare a se stessa. Accade di solito dopo aver realizzato album densi, anche emotivamente: è stato così dopo "Moon Pix" (Matador, 1998) quando pubblicò la prima splendida raccolta "The Covers Record" (Matador, 2000), o quando uscì "Jukebox" (Matador, 2008) dopo "You Are Free" (Matador, 2003) e "The Greatest" (Matador, 2006), gli album che l'avevano trasformata in icona del songwriting indie.
Il modo in cui si ritrova e ritrova la strada del suo tormentato percorso tra arte e vita è reinterpretando le canzoni da lei più amate, che spuntano qua e là nei suoi album originali, come una crooner da club - quei locali dove l'ha immortalata il filmmaker Jem Cohen nell'intenso ritratto "From Fur City" (2002) - o un'interprete accesa di passione come Nina Simone, di cui in passato aveva magistralmente reinterpretato "Wild Is The Wind". Così Chan veste i panni di Cat Power e diventa tutte le vite e tutte le voci delle canzoni che sente sue, per quel potere unico delle canzoni di diventare patrimonio di tutti.
Ma quando realizza un album di cover, in realtà, Cat Power pubblica una parte del memoir di Chan Marshall. È così che si compone l'album: brani che fanno parte della sua vita e che sono legati a momenti passati che la cantautrice sceglie per raccontarsi. Una cartografia della memoria in cui è scardinato il piano cronologico a favore di un sincretismo emozionale dove l'unico medium per accedere al processo mnemonico, personale e collettivo, è la voce, che estrinseca parole e melodie senza tempo.
Pronta a registrare canzoni nuove con la band, Cat Power scombina tutto e autoproduce "Covers" a Los Angeles con Rob Schnapf (Elliott Smith, Steve Gunn, Kurt Vile, M Ward), realizzando dodici reinterpretazioni originali di brani introiettati e fatti propri che compongono un repertorio a gradi diversi di passato, brani rinnovati dal suo arrangiamento attraverso una strumentazione rock e folk classica.
Incontriamo il presente con Frank Ocean ("Bad Religion") e Lana Del Rey ("White Mustang") - con cui aveva duettato nel precedente "Wanderer" (Domino, 2018) - ma anche i Dead Man's Bones di Ryan Gosling ("Pa Pa Power"). Cat reinterpreta anche se stessa: dal brano "Hate" in "The Greatest", di cui non aveva mai accettato la visione così cupa, trae "Unhate" ritornando in quiete: "We all have shit, trauma, something. There are times when you feel like that. But I needed to make it right".
Ritroviamo anche la tradizione legata a doppio filo con gli affetti: la splendida elegia per voci e organo di "A Pair Of Brown Eyes" dei Pogues, in ricordo di una perdita dolorosa, e la forza rock che innerva in maniera inedita "Against The Wind" di Bob Seger per guarire la ferita di un'altra morte.
"Endless Love" di Iggy Pop, ascoltata nel film "Dogs In Space" (1986) con Michael Hutchence degli INXS, apre idealmente la seconda, vibrante parte del disco. L'asticella emozionale si alza sempre più, conducendoci dentro l'anima inquieta di Chan: tra lo scarno folk-rock di "These Days" di Nico (e Jackson Browne), anche questa vocalmente ripensata, e il country di "It Wasn't God Who Made Honky Tonk Angels" di Kitty Wells - canzone scoperta da adolescente in alcune cassette trovate - per salire lungo i bordi del baratro con "I Had A Dream Joe" di Nick Cave & The Bad Seeds.
Chiude una doppietta da pelle d'oca: "Here Comes A Regular" dei Replacements, a ricordare quell'ultimo dollaro in tasca a New York infilato dentro il jukebox, e "I'll Be Seeing You" di Billie Holiday, in memoria della nonna. Brani riproposti nella loro essenza.
Cat Power compone il songbook degli ultimi trovando l'equilibrio ideale tra "The Covers Record" e "Jukebox". Ma soprattutto riesce a essere tutte le voci che evoca, insieme ai suoi fantasmi, e sempre immancabilmente se stessa, col suo stile, il suo eterno sgomento e la consapevolezza di essere sopravvissuta ai traumi, alle dipendenze, al dolore e al destino senza essersi persa come altri fragili con quel maledetto dono di verità e assolutezza. Oggi non abbiamo più Elliott Smith, Mark Linkous, Jeff Buckley e Vic Chesnutt, ma ci teniamo stretta una delle ultime cantautrici che riesce a farci sentire emozionati e vulnerabili.
14/01/2022