Bob Seger & The Silver Bullet Band
Nine Tonight
(Capitol, 1981)
Seger due Springsteen zero. E la radio ribadisce il risultato in continuazione. Mentre il mondo aspetta da anni questo benedetto album dal vivo del Boss, il suo amico del Midwest gli ruba per la seconda volta la scena e da alle stampe uno di quelli che solitamente si definiscono “più bel live della storia del rock”.
Già nel 1976 Seger era in grado di offrire quel “Live Bullet” che aveva incuriosito (oltre che la mamma, i vicini di casa e gli ultrà di Detroit) addetti ai lavori e il grande pubblico discografico. Ma “Live Bullet”, con la sua stupefacente carica nervosa, aveva un compito relativamente facile: quello di vitalizzare un repertorio ingegnoso ma male esemplificato, perché tutti gli album antecedenti (escluso “Beautiful Loser”) soffrivano di un suono insufficientemente prodotto e malamente missato. Alzate le quotazioni del vecchio materiale - bellamente riveduto e stravolto - il vecchio Bob dimostrava agevolmente quanto fosse adatto alle platee il suo solido rock’n’roll.
Per “Nine Tonight” il discorso è leggermente diverso. Seger è reduce dai fasti di “Against The Wind”, che, primo della lunga serie dei suoi album, aveva affittato per lungo tempo il vano n. 1 delle classifiche. In qualche modo, il nostro ha delle responsabilità. Prima di tutto, deve rispondere alle accuse di blandizie e di mollacciume che erano state mosse a quella album, in secondo luogo, deve rendersi capace di non alterare troppo la struttura di quelle canzoni che erano già così perfette nelle versioni di studio. Così, contrariamente a quanto teorizzato da Springsteen che dal vivo riesce a far sembrare cento volte più belle cose già bellissime (“Spirit In The Night”, “Hungry Heart”, “Prove It All Night”, “Because The Night”), Seger si “limita” a riproporre la meraviglia delle sue più amabili ballate, come “Fire Lake”, “Againts The Wind”, “We've Got Tonight” e infine quella “Night Moves” che è entrata definitivamente nel patrimonio della canzone d'autore americana, tanto che la breve frase del titolo è ormai divenuta un espressione idiomatica di uso corrente, con la quale i giovani statunitensi indicano il passaggio dallo stato di innocenza preadolescenziale a quello della scoperta dei misteri della vita.
Per di più Seger si rende conto di avere a sua disposizione una Silver Bullet Band potente e compatta quasi quanto la E Street Band, per cui quando viene il momento di darci sotto assistiamo a una pirotecnia da fare impallidire San Silvestro dei tempi belli. “Let It Rock”, per esempio, surclassa la versione che concludeva “Live Bullet”, “Hollywood Nights” e “Feel Like A Number” viaggiano imprendibili come le Renault turbo. “Rock And Roll Never Forgets” e “Betty Lou's Getting Out Tonight” faranno rodere il fegato a Ted Nugent, l’irresistibile comico di Detroit.
Anche questa volta il live è registrato di fronte a un pubblico partigiano (quello della Cobo Hall della città dei motori, dove ad aprire gli show si era prestato il grande Mitch Ryder, e quello del Boston Garden), ma stavolta non si sospettano più le clacques prezzolate, ché se si esclude una piccola crisi nel periodo in inglese (quando Seger voleva cancellare i concerti per lo sconforto in seguito all'assassinio di Lennon) la tournée 1980 è stata un trionfo ovunque.
I sedici brani documentano il catalogo più recente (“Night Moves”, “Stranger In Town”, “Against The Wind”), trovando anche una degna collocazione per quella “Nine Tonight” che era stata estromessa dall’ultimo album e poi offerta in prestito alla colonna sonora di “Urban Cowboy”. C'è anche una reliquia del culto Stax, quella “Trying To Live My Life Without You” che Seger riarrangia come una “The Long Run” d’occasione.
Adesso che Bob viaggia in media scudetto sarà bene che Bruce si spicci a mantenere le sue eterne promesse.
(da Rockstar, 1981)