Del trittico di album pubblicati nel mese di ottobre del 2022 dalla band australiana, “Changes” è il parto più complesso, un disco che i musicisti hanno accantonato nel 2017 (era in origine parte di un set di 5 album), sostituendolo all’ultimo minuto con una raccolta di scarti dei quattro progetti coevi: “Gumboot Soup”.
Sviluppato su una rigida progressione musicale (solo due accordi e scale D e F), “Changes” tiene fede al proprio titolo, giocando più sulle variazioni ambientali che sulle differenze strutturali, ed è senza dubbio il più schivo e volutamente uniforme del lotto.
Ad aprire l’album sono i ben tredici minuti di “Change”, un elegante mix di soul-jazz e r&b, sulle orme di Quincy Jones e Herbie Hancock, con accenni hip-hop e un lieve humus kosmische che attira all’interno della parte finale del brano delle piacevoli assonanze prog.
Elemento costante di “Changes” è la black music, quella più mainstream e pop che rivive nella divertente citazione di Michael Jackson in “Hate Dancin’” o quella più ricca di sensualità e fascino noir dell’elegante ballata soul “Exploding Suns”. Una scelta che rischia di mettere a dura prova i fan più psych-rock oriented del gruppo, ma i King Gizzard & The Lizard Wizard sanno sempre come trasformare un album ordinario in qualcosa d’imprevedibile.
Su tutto spicca il delizioso groove madido di funk di “Astroturf”, ingentilito da accenni di bossa nova e da un eccellente assolo di flauto. Non è da meno l’incalzante “Gondii”, un synth-pop in bilico tra Kraftwerk e The Fixx.
Fedele al minimalismo armonico del progetto, la più soft “No Body” si difende egregiamente citando Pink Floyd e George Harrison, mentre il divertente patchwork di “Short Change” mette la parola fine all’ennesimo puzzle ben riuscito della band australiana.
18/12/2022