Vacant Lights

Funeral Noise Exits

2022 (Empty Noise People)
experimental rock, noise-industrial rock

Ci sono dischi nati evidentemente al confine tra la vita e la morte. Dischi che si portano dietro un bel carico di dolore e sofferenza, quando non di purissimo nichilismo. “Funeral Noise Exits” è uno di quei dischi. Lo hanno registrato, lì a Charlotte, nel North Carolina, Jaxon Churchill Sain (voce, synth, sample, tastiere, chitarra preparata, turntables, oggetti trovati, microfono a contatto, spoken word, field recordings, radio, lamiere di scarto) Owen Mauch (chitarra, synth, nastri, basso, percussioni, sample, lamiere di scarto, piano, tape loops, feedback, voce, spoken word, field recordings, oggetti trovati, turntables) e Jasper Cunningham (batteria, percussioni, lamiere di scarto, voce, oggetti trovati, field recordings, spoken word), che nel 2019 decisero di unire le proprie forze e passioni (in primis Swans, This Heat, AMM, Kayo Dot e Coil) sotto il nome di Vacant Lights. Lunghissimo (un’ora e quaranta di musica) ed erratico, “Funeral Noise Exits” richiede attenzione e pazienza, ma riesce a regalare, al netto di passaggi poco ispirati e un uso non sempre giustificato dello spoken word, diversi passaggi memorabili.

 

Il malessere esistenziale e le torride scariche tribal-industrial-noise di “Anteinferno” (già uscito come singolo nel dicembre scorso) mettono subito le cose in chiaro, costruendo la scenografia emozionale dentro cui troverà rifugio tutto il disco. Le parole pronunciate da Sain sono come pugnalate alle spalle e non intendono fare sconti: “La nebbia è fitta, il morale si indurisce/ E senza spargimento di sangue, non c'è perdono/ L'amore è il messaggio/ Il messaggio è la morte/ E come sopra non è mai sotto/ Tutti guardano l'anteinferno”. La danza rituale di “Interlopers” è devastata da un cantato saturo di rabbia, il giusto preludio agli scarsi quindici minuti di “The Ticket That Exploded”, che ci assale con la sua frenesia assatanata, le sue digressioni rumoriste, le sue enigmatiche incursioni in una free-improvisation strisciante, sinistra, sempre sull’orlo del precipizio del silenzio, che avrà sicuramente fatto i compiti sul manuale della AACM, ma che non si accontenta di genuflettersi dinanzi al simulacro del cliché, perché è già tempo di ripartire, ma questa volta a ritmo sostenuto e sempre più veloce, sempre più veloce, perché non c’è tempo, no, non c’è… Dopo la ricognizione aerea di “Red Desert”, non esente da manipolazioni dadaiste e rigurgiti free-jazz che svaniscono dentro vortici dronanti, “Croatoan” esibisce le sue trame spettrali, prima di innescare la miccia di una carneficina grind-noise.

Eppure, con “Soft Corridors” l’atmosfera torna a essere sospesa, minacciosa, così che quasi non ci meravigliamo dinanzi a una “Newmaker” che ci consegna i Vacant Lights nelle vesti di una band che, ai confini del mondo, sbarca il lunario con una ballata da tenere presente nel caso qualcuno decidesse di suicidarsi con stile: “Impara ad amare il silenzio/ Morirai lì dentro/ Morirò qui dentro/ Esci, esci, esci/ Smettila/ Smettila/ Smettila/ Smettila/ Smettila/ Mollare”. Non c’è spazio per la speranza. In “A Glass Afternoon”, anche il garage-rock subisce un trattamento di destabilizzazione a suon di esplosioni e scariche metalliche, mentre “Whipping Post” porta in dote i minuti (oltre undici) più distruttivi del disco, tra feedback, scarabocchi, urla e disagio come se piovesse.

 

Giunti a questo punto, c’è dentro di noi un misto di esaltazione e di delusione. La prima dipende dalla grande capacità dei Vacant Lights di dire quello che hanno da dire senza mezze misure. Sain, Mauch e Cunningham pescano a piene mani dal calderone della loro sofferenza e ce la sbattono in faccia, senza starci troppo a pensare. E questo ci piace, perché il rock è essenzialmente un affare di viscere, sangue, carne viva, destabilizzazione dell’orizzonte d’attesa dell’ascoltatore medio. Tuttavia, la delusione non può essere messa a tacere, perché i ragazzi hanno esagerato con il minutaggio, senza essere in grado di supportare il tutto con un’ispirazione costante. Così, "The Operator", l’ultimo, colossale brano, si trascina per ben venticinque minuti dentro il cunicolo di un collage elettroacustico misto a spoken word che finisce per apparire come la spia più evidente di una creatività ancora da smussare.

09/10/2022

Tracklist

  1. Anteinferno
  2. Interlopers
  3. The Ticket That Exploded
  4. Red Desert
  5. Croatoan
  6. Soft Corridors
  7. Newmaker
  8. A Glass Afternoon
  9. Whipping Post
  10. The Operator

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