Tom Petty è morto improvvisamente il 2 ottobre 2017, per un'overdose da antidolorifici, che stava assumendo a causa di una frattura all'anca. Pochi giorni dopo il suo "Greatest Hits", originariamente edito dalla Mca nel 1993, è rientrato al secondo posto nella top 200 di Billboard e da allora non ha più lasciato la classifica.
Il suo mito non è tuttavia mai stato celebrato a sufficienza dalla critica rock. L'artista non viene quasi mai indicato fra i più grandi cantautori statunitensi della storia e in tutte le guide sulla musica rock la sua carriera viene descritta, fra le righe, come una pur corposa nota a piè di pagina se paragonata a quelle del collega
Bruce Springsteen e del maestro
Bob Dylan, rispetto ai quali non avrebbe apportato reali innovazioni all'infuori di alcune buone canzoni.
Eppure a oggi, negli Stati Uniti, Petty è più streamato di Springsteen e Dylan messi insieme: e se il grande pubblico non è certo un indicatore assoluto di qualità, diventa significativo quando a ricevere un'attenzione così ampia è un cantautore che in decenni di carriera non ha mai pubblicato dischi apertamente commerciali e non ha mai mostrato preoccupazioni riguardo all'inseguire la popolarità.
In realtà, Petty merita eccome l'empireo del cantautorato statunitense e fortunatamente ciò non è mai stato messo in dubbio dai suoi colleghi. Così George Drakoulias e Randall Poster, produttori e supervisori che hanno già curato alcuni dei progetti postumi a lui dedicati, hanno deciso di organizzare un album tributo a tematica
country, scelta che ha senso considerato che Petty e l'universo
country sono stati due vasi comunicanti che si sono influenzati l'un l'altro: basti pensare al fatto che
Johnny Cash volle dei membri degli Heartbreakers (band che ha accompagnato Petty per più di quarant'anni) a suonare in "American III: Solitary Man" nel 2000, così come ha fatto
Chris Stapleton più recentemente in "Starting Over" (2020), che si è rivelato non a caso il suo album migliore.
I primi a essere contattati sono stati i due più grandi veterani del genere,
Willie Nelson e
Dolly Parton, che hanno entrambi immediatamente accettato, rendendo così molto semplice l'arruolamento di tutti gli altri.
Purtroppo il risultato finale non è del tutto all'altezza delle aspettative. Il disco poggia su sonorità in più di un tratto troppo patinate e diverse interpretazioni risultano sopra le righe, con sfoggi vocali muscolari in forte contrasto con il canto abulico che era tipico di Petty: questo è in parte dovuto anche alla scelta di pescare fra interpreti della scena contemporary country, più fedeli ai dettami commerciali di questo periodo, a discapito di coloro che invece interpretano il volto più progressista e indipendente del movimento.
Così, anziché puntare su Turnpike Troubadours,
Tyler Childers,
Sturgill Simpson,
Charley Crockett o
Zach Bryan, o dare spazio ad altri veterani ancora sulla pista come per esempio Emmylou Harris e Rodney Crowell, si è preferito puntare sui vari Thomas Rett, Luke Combs, Dierks Bentley, Ryan Hurd e via cantando.
Persino
Rihannon Giddens, artista di indubbio valore e seria studiosa della tradizione musicale nordamericana, cede alla tentazione di infarcire "Don't Come Around Here No More" di sforzi vocali eccessivi e in qualche modo stucchevoli. Non va meglio con Dolly Parton, di cui nessuno discute il glorioso passato, ma che ormai da decenni è più un'azienda che un'artista e che finisce col caricare "Southern Accents" di una retorica e di un patetismo fuori luogo.
Wynonna Judd, già voce delle Judds insieme a sua madre Naomi, fa una buona figura in "Refugee" grazie alla sua voce profonda, ma il dover duettare con uno dei nomi più pop del country contemporaneo, quale Lainey Wilson, probabilmente non la aiuta.
Cosa si salva? In realtà un po' tutto, perché non si tratta di interpretazioni necessariamente da disprezzare e ascoltate distrattamente possono pure funzionare, ma il cui manierismo stride in qualche modo con la fonte d'origine, e in fin dei conti la musica di Petty non era certo pensata come un innocuo sottofondo.
A mantenere i toni un po' più ruvidi ci sono
Steve Earle con "Yer So Bad", Chris Stapleton con "I Should Have Known It" (che è tuttavia un brano piuttosto minore in un canzoniere ricchissimo) e Willie Nelson insieme al figlio Lukas con "Angel Dream (No. 2)".
06/07/2024