Vylet Pony

Monarch Of Monsters

2024 (Horse Friends Music)
progressive-industrial-noise-rock, art-pop

Dunque, vediamo se ho fatto bene i compiti: Vylet Pony (o Zelda Trixie Lulamoon) è una musicista lesbica/transfem non binaria di origine filippino-cinese/scozzese-italiana che da diversi anni produce musica ispirata alla serie animata "My Little Pony: Friendship Is Magic". Voi mi direte: e cosa c’entra tutta questa roba con OndaRock? Permettetemi di rispondervi.

Fino a questo momento, Vylet Pony ha fatto uscire una ventina di album, ma quello per cui sto qui a scrivere queste righe, intitolato “Monarch Of Monsters”, si impone alla nostra attenzione perché, con grande perizia e ispirazione, sposta il baricentro della musica dell’artista di Portland (solitamente costruita su fondamenta elettroniche, Edm, electro e via di questo passo) verso lidi decisamente più rock. Volendo, l’etichetta progressive-industrial-noise-rock potrebbe andare più che bene, a patto di non dimenticare che stiamo comunque parlando di roba profondamente influenzata dall’estetica bedroom e cresciuta anche all’ombra degli sviluppi più o meno recenti dell’art-pop.
Messo a punto e registrato nell’arco di cinque anni, “Monarch Of Monsters” è un album che ha alle spalle un racconto omonimo di redenzione, scritto dalla stessa Vylet Pony e incentrato, sulla scorta di esperienze personali (la protagonista, Wolf, è a conti fatti una sua alter ego), su temi quali l’odio per se stessi, l’autolesionismo, l’abuso sessuale, l’adescamento, l’“orrore esistenziale/cosmico” e il suicidio. Per dirla con le parole della stessa autrice, “'Monarch of Monsters' è un'allegoria di come il trauma, la solitudine e l'egoismo possano trasformarti in una persona orribile; riguarda lo sforzo di rimanere in vita anche in uno stato terminale di rimpianto; di come - in questo rimpianto - provare qualsiasi felicità sembri insincero e immeritato; di perpetuare cicli di tossicità e malvagità perché è tutto ciò che hai conosciuto, specialmente negando di aver sbagliato; e, in definitiva, imparare a trovare uno scopo e l’amor proprio in quel frastuono”.

Roba fortissima, insomma, veicolata da una musica che non ha paura di risultare anche a tratti ridondante, se serve, come dimostra, fin da subito, “Pest”, una melodrammatica ballata alt-rock tinta di shoegaze, in cui la protagonista non nasconde il proprio odio per se stessa, lei che in passato è stata come un parassita che ha avvelenato e quasi distrutto la vita di diverse altre persone: "You’ve been such a pest/ Oh, you’re such a pest/ Yes, you’re only a pest".
Lo scarto innescato da “PLAY DEAD! PLAY DEAD!” è, comunque, già indice di una visione complessa, essendo qui dalle parti di un industrial-metal pronto per il dancefloor, mentre la protagonista, dopo essersi trasformata in un lupo, mostra di avere enormi difficoltà a fare i conti con i propri conflitti interiori e i propri demoni.
Si prosegue, dunque, incrociando ancora esplosioni metal, ma questa volta in versione glam-rock per l’era digitale (“The Heretic (Woe Is Me)”), gustosi affreschi dance-punk come potrebbero immaginarli, oggi, gli Oingo Boingo (“Survivor’s Guilt”), scintillanti schegge di modernità art-pop propulse da beat che sono l’essenza più più profonda della nostra epoca (“Vitality Glitch”) e, quindi, si giunge ai dodici minuti netti di “The Wallflower Equation”, ovvero un’odissea jazz/prog-rock iniettata di nevrosi e isteria, che sfocia in una coda vagamente spaghetti western e, perciò, necessariamente morriconiana.

Il brano emotivamente più devastante del disco è sicuramente “Princess Cuckoo”, col suo scenario inquietante, sinistro, che tanto sarebbe piaciuto a Scott Walker. Da un coacervo di suoni-rumori e parole pronunciate, più che cantate, con tormentata intensità, “Princess Cuckoo” cresce fino a un pandemonio martellante, mentre sullo sfondo si consuma una storia di stupro:

Make my screams count
For when they find you
Among the pharisees
Comes the faggot queen

Frail thorn, petals split
With you all, I’ll bloom tomorrow
Give me a reason to live
Make me your death bed sorrows

Isn't this how you grow up?
As you fuck me and tell me to shut up
Every shadow shouts like I've done something wrong
As the fire in my womb splits me in two

Divisa in tredici parti, la suite di “Sludge” (oltre ventidue minuti di durata) segna un momento fondamentale nello sviluppo narrativo dell’album: è qui, infatti, che Wolf, dopo essersi ritualmente suicidata, accede all’aldilà, dove incontra Aria, che la conforta e la perdona, e questo perché Wolf aveva ucciso sua sorella in una vita precedente. "Aria è un'invenzione dei miei sogni”, spiega Vylet Pony. “Dopo l'uscita di ‘Carousel’ all'inizio del 2023, il rimpianto esistenziale e il rimorso di cui la mia vita era permeata mi hanno fatto ricadere in una grave crisi di salute mentale. Soffrivo da tempo di una grave soppressione della memoria del trauma e ho trascorso diverse settimane a cercare di capire tutto ciò che potevo per scoprire le cose che il mio cervello mi impediva di ricordare. (…) Mi sono pentita terribilmente di averlo fatto. E così è iniziata la mia discesa. Tra i sintomi della conseguente crisi di salute mentale c'era un'insonnia critica e insopportabile. Nel sonno che sono riuscito ad avere durante questo periodo, i miei sogni erano diventati immensamente vividi. (…) In primavera o estate, ho sognato un posto strano, con gente strana. In qualche modo sapevo che in quel posto c'era una persona di nome Aria [che] mi è apparsa come qualcuno che avevo conosciuto molto tempo fa.”

Musicalmente parlando, “Sludge” gioca con la forma più classica del progressive rock degli anni Settanta, ma mentre fa, ad esempio, il verso alle drammatiche radure esistenziali dei Van Der Graaf Generator, guarda anche alle terribili staffilate no-wave/noise-rock degli Swans e ai momenti più distruttivi dei Mars Volta, così come, se evoca alcuni tratti folk dei primi Genesis (una band molto cara a Vylet Pony, essendo “The Lamb Lies Down On Broadway” il suo disco preferito in assoluto), si affida anche all’estetica hyperpop, altrove magari imbastendo nuove geometrie jazzy.
Con toni ancora una volta melodrammatici, “Revenge Fantasy" prosegue nel viaggio, alternando momenti più rarefatti ad altri violentemente esplosivi e metallici, mentre la bellissima “Huntress” coniuga art e dream-pop per accompagnare l’amplesso di Wolf e Aria. Dopo la scarica terremotante di “...and, as her howl echoed unto eventide, she became the far seer's hunting dog...”, la ballata di “Rest Now, Little Wolf (A Vigil For Aria, Or, How The Lamb Stood In An Empty Room Filled With Empty Friends)” evoca l’atmosfera, e non solo quella, di “Afterglow” dei Genesis, invitando a resistere, anche nel dolore, “perché la vita è troppo breve per soccombere/ alla sinistra chiamata”… e a non nascondere i propri errori, poiché, grazie alla loro “torcia scoppiettante”, il sentiero di “coloro che seguono” sarà illuminato a giorno.

Yes
We tread a fine weave of gray
Yet many perish to the blade's doubled edge
Conceal not your mistakes
But allow them to be a sputtering torch
Illuminate the path for those that follow
To be gentle, to be kind
This is the way

Like the dust
That settles all around us
The wind will carry
Whispers of spring

Beauty fades
And everything will end
So make few your enemies
And cherish making friends

'Cuz life is it too short to succumb
To the sinister call

10/12/2024

Tracklist

  1. Pest
  2. PLAY DEAD! PLAY DEAD!
  3. The Heretic (Woe is Me)
  4. Survivor’s Guilt
  5. Vitality Glitch
  6. The Wallflower Equation
  7. Princess Cuckoo
  8. Sludge
  9. Revenge Fantasy
  10. Huntress
  11. ...and, as her howl echoed unto eventide, she became the far seer's hunting dog...
  12. Rest Now, Little Wolf (A Vigil For Aria, or, How the Lamb Stood in an Empty Room Filled with Empty Friends)

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