Con i Baustelle ci eravamo lasciati giusto due anni fa, con quello che venne percepito come un disco di transizione, “Elvis”, uno degli album con più chitarre nella storia della formazione toscana, figlio non soltanto dell’ennesima svolta stilistica ma anche del totale rinnovamento intervenuto nella composizione della backing band, ritenuto necessario per mutare registro dopo la sbornia electropop dei due volumi de “L’amore e la violenza” e i barocchismi sinfonici che contrassegnarono “I mistici dell’Occidente” e “Fantasma”. Sull’adrenalinica onda lunga del tour a supporto di “Elvis” sono venute fuori le canzoni che popolano “El Galactico”, le quali confermano un convinto slancio rock oriented, in quest'occasione indirizzato verso suoni di matrice tardo sixties, fra Rickenbacker e costruzioni jangle-pop, sognando la California, in particolare le spiagge intorno a Venice Beach.
Elementi assimilati da Byrds e Beach Boys sono percepibili ascoltando tracce tipo “Giulia come stai” (l’incipit del cantato ricorda “Antropophagus”) e ancor più “Pesaro” che, posta in apertura, conferisce subito il tono all’album con un'istantanea che cattura Bianconi sul lungomare della città marchigiana, non appena venuto a conoscenza della scomparsa del papà, sopraggiunta improvvisamente alcuni mesi fa. L’impianto “solare” del disco non intende quindi celare contenuti in molti casi tutt’altro che allegri: emblematica in tal senso è “Filosofia di Moana”, nella quale sopra una coloratissima tessitura musicale viene sovrapposto un testo che narra in maniera lucida gli ultimi giorni della celebre pornostar, ormai costretta su un letto d’ospedale, accostando cinico realismo e sottile ironia.
Ancor più commovente il racconto dietro “Una storia” (il vero instant classic dell’album), che rinnova la serie di narrazioni incentrate su un’adolescenza infame, serie inaugurata già agli esordi da “La canzone del riformatorio”. Francesco Bianconi tratteggia con freddezza (dal punto di vista della ragazza: mica facile...) un episodio di violenza che si consuma sul sedile posteriore di un’autovettura: non sfocia in femminicidio, ma in una ripresa video che finirà in Rete, una storia di vergogna, di rassegnazione, una storia che fa male, come tante che affollano ogni giorno i telegiornali della sera. Tornano quindi gli argomenti tipici della poetica baustelliana: morte, violenza, decadenza, così come religione, misticismo, escapismo, colti come di consueto da punti di vista poco convenzionali, fermi immagine estratti dalla sceneggiatura di un film immaginario, un film-verità terribilmente crudo.
Il sound di “El Galactico” si presenta denso e stratificato, lavoro ben prodotto e strutturato, con un’ottima organizzazione dello spazio e l’impronta chitarristica perfetta nel conferire forza ai ritornelli killer (“Spogliami” e “L’arte di lasciar andare” sono fra i più efficaci), altra costante nella scrittura della band di Montepulciano, anche se stavolta la bulimia lirica genera canzoni meno facili da memorizzare. Sorprendente l’epilogo del disco, con le sommesse orchestrazioni de “La nebbia” e lo strumentale “Non è una fine” che fa molto exotica, richiamando le atmosfere de “La moda del lento”. Di matrice morriconiana l'altro brano non cantato: "Per sempre".
Giunti al traguardo del decimo album in studio (escludendo la colonna sonora di “Giulia non esce la sera”) viene naturale tracciare un bilancio dei primi 25 anni di vita della band. Francesco Bianconi continua a non rincorrere le rassicurazioni di molto pop contemporaneo (ce ne parla in “L’imitazione dell’amore”), cerca piuttosto di generare delle riflessioni, anche su temi politico-ecologisti (accade in “Canzone verde, amore tossico”), rese dentro composizioni snelle dal suono accessibile. Bianconi non è riuscito a raggiungere gli obiettivi più ambiziosi che si era posto: non è (per ora) diventato il nuovo De André, non è (per ora) diventato il nuovo Gainsbourg, e avrebbe potuto, le premesse erano validissime.
Fino a “Fantasma” ha vinto tutte le tappe, poi ha iniziato a far più fatica ad allargare la platea dei fan, e ha deciso di riabbracciare una modalità più (apparentemente) “leggera”, conservando un pubblico entusiasta che segue i Baustelle con smisurato affetto. Rachele Bastreghi e Claudio Brasini restano centrali nell'economia musicale della band, mentre Bianconi affianca la scrittura per i propri album solisti (nei quali sta dirottando le composizioni meno spumeggianti) e quella conto terzi, rigorosamente per voci femminili. Il caso più recente è “Ho provato tutto”, composta per Patty Pravo, un testo così autobiografico come neanche la stessa cantante sarebbe mai stata in grado di fare. Per continuare a lastricare con orgoglio il percorso da “modern chansonnier”.
06/04/2025