Hesse Kassel - La Brea

2025 (autoprodotto)
windmill scene, post-rock, math-rock

Su RateYourMusic - refugium peccatorum dei nerd musicali cresciuti a pane e Internet - "La Brea" è già un piccolo caso: quindicesimo miglior album dell’anno. Un exploit notevole per il debutto in studio di un sestetto cileno, formatosi appena nel novembre 2022 a Santiago e con all’attivo, finora, solo un Ep dal vivo pubblicato nel 2024. Al netto dei rimandi internazionali, tuttavia, la proposta della band parlerà chiaro anche agli ascoltatori italiani: chi è cresciuto con Massimo Volume e Uzeda non avrà difficoltà a ritrovarsi nelle declamazioni spoken word, nei pattern spigolosi e nel clima claustrofobico che è il punto di partenza - ma si vedrà, non sempre di arrivo - di molti episodi del disco.

Nonostante la lontananza geografica, gli Hesse Kassel - Renatto Olivares (chitarra, sax e voce), Luca Cosignani (chitarra e voce), Mauricio Rosas (chitarra), Matthew Hopper (basso), Eduardo Padilla (batteria) e Joaquín González (tastiere e cori) - sono già idealmente ricondotti a quella corrente che RateYourMusic ha cominciato a etichettare come Windmill Scene, prendendo in prestito il nome dal pub di Brixton che ha lanciato gruppi come Black Midi, Black Country, New Road, Squid. Rispetto ai corrispettivi britannici, però, il loro suono è (ancor) meno incasellabile nelle infinite reiterazioni del post-post-punk. L'attrattore sonoro è infatti soprattutto l’eredità di un'altra scena-feticcio dell'alternative più cervellotico: quella di Louisville - Slint, Rodan, June Of 44. Con l'impronta di Steve Albini che emerge in tutto il suo carattere scarno, ispido e tortuoso.

“Postparto” apre il disco sfrecciando su traiettorie da math crimsoniano, dalle parti degli artisti più taglienti del filone - Craw, Quicksand, Dazzling Killmen e associati. Questo almeno finché piano, batteria jazzata e infine sax non rubano la scena, e conducono l'atmosfera su lidi più palesemente progressivi. Spiragli che richiamano, semmai, i grovigli post-rock dei Gastr Del Sol. Il gioco delle metamorfosi è un tratto distintivo dell’album: anche “Anova” si costruisce su fratture, innesti e virate, fino a un finale cameristico e corale che si muove dalle stesse premesse degli ultimi Black Country, ma con risultati - va detto - più convincenti.

In effetti, gli Hesse Kassel esprimono al meglio la propria personalità nelle tracce dilatate, dove la scrittura si fa elastica e può esplorare una gamma dinamica ricca senza ricorrere a cliché soft/loud. “En Tiempo Muerto” parte su una circolarità ipnotica, alla tardi June Of 44, e si sviluppa tra addensamenti e rarefazioni, evitando volutamente la catarsi. Un principio simile guida anche “Vida en Terranova”, che intreccia le asprezze iniziali a strutture armoniche più limpide, giocando di contrasti senza mai cedere all’enfasi. In “Moussa”, tredici minuti articolati a partire da un 7/8, si arriva a evocare la tensione controllata dei Godspeed You! Black Emperor, ma con meno magniloquenza e più freddezza geometrica.

Solo in due episodi l’intensità prende davvero il sopravvento: “A. Latur”, jazzcore cocciuto e frontale che sa però aprirsi a misurati svuotamenti slintiani, e la conclusiva “Yo La Tengo”, che affida il finale del disco a una palude di nervosismo e abrasività, dove grida e riff taglienti negano ogni speranza di lieto fine.
Come nel cuore della stagione math, qui le costruzioni progressive non cercano l’epico o l'immaginifico, ma si accartocciano su sé stesse, restando sempre in un orizzonte cinico, privo di illusioni. Gratuito, dunque? No. Forse non per tutti. Non vuole esserlo - e proprio per questo resta impresso.

29/04/2025

Tracklist

  1. Postparto
  2. Anova
  3. Americana
  4. En tiempo muerto
  5. Moussa
  6. Vida en Terranova
  7. A. Latur
  8. Yo La Tengo

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