Autore: Jeff Gomez
Titolo: Math Rock
Editore: Bloomsbury
Pagine: 135
Prezzo: 18,47 euro
Il concetto di math-rock ha trent’anni: quale momento migliore per dedicare al filone un libro? Devono aver pensato questo dalle parti dell’editore Bloombsury, che ha appena pubblicato per la sua collana “33 ⅓ - Genre” il volumetto “Math Rock”, a firma del californiano Jeff Gomez: 135 concise pagine per fare il punto su un filone che per qualche tempo ha raccolto le attenzioni di una parte del pubblico alternative rock, e che tuttavia nell’immaginario indie/alternative oggi è spesso relegato a curiosità degli Stati Uniti tardo-Nineties: una scena localizzata nel tempo e nello spazio, con qualche sbocco intrigante in Giappone o a inizio millennio, ma pressoché priva di agganci attuali.
Il manualetto di Jeff Gomez mostra quanto fuori fuoco sia questa prospettiva. Contattato via mail, l’autore si è subito detto disponibile per un’intervista: con il suo supporto, e appoggiandoci alla ricca playlist allegata, proviamo dunque a fare un po’ d’ordine e di chiarezza, guardando il genere in un’ottica più ampia e sfatando qualche luogo comune che ancor oggi ne circoscrive l’appeal.
Da quando il termine fece le sue prime comparse, in associazione a due band di New York, Chavez e Wider, il suo significato ha subito svariate evoluzioni. Inizialmente, l’espressione era sinonimo di un sound dissonante, muscolare e intricato, zeppo di tempi dispari e molto giocato sulle interrelazioni chitarra-basso-batteria. Lo si abbinava soprattutto a etichette alternative statunitensi come Touch And Go (Shellac, Slint, Don Caballero, Polvo, Strom And Stress), Discord (Hoover, Shudder To Think, Faraquet, Q And Not U), Skin Graft (Dazzling Killmen, U.S. Maple, Cheer-Accident, Colossamite, Ruins) e secondariamente Quarterstick (June Of 44, Rodan), Homestead (Trumans Water, Bastro) o Thrill Jockey (Tortoise, A Minor Forest). I confini, da sempre incerti, mappavano ampie sovrapposizioni con le categorie di noise-rock e post-hardcore, e col passare degli anni il math-rock iniziò a essere percepito sempre più come una delle possibili declinazioni del post-rock, termine sulle prime abbinato a band britanniche dall’impronta elettronica, ma dai Tortoise in poi “sdoganato” anche oltreoceano per descrivere grosso modo qualunque cosa mostrasse una forte impronta strumentale e una tendenza ad allontanarsi dalla forma-canzone.
L’immagine del math-rock, piuttosto variegata se si guarda ai primi esponenti del filone, si è cristallizzata nei primi anni Duemila con la “canonizzazione” dei pittsburghiani Don Caballero al rango di math-rocker per antonomasia. Il campo di possibilità del genere è stato ricondotto a un preciso marchio di fabbrica: drumming robusto e tentacolare, riffing preciso e tagliente da wannabe King Crimson, composizioni tortuose ma ripetitive, nessun contributo tastieristico, fiatistico o che altro, e soprattutto nessuna parte vocale (men che meno cantata). Un less is more sovraccarico e paradossalmente massimalista, che rapidamente raccolse entusiasmi presso una parte del popolo alternative e altrettanto celermente gli venne a noia. Eppure, man mano che la formula mostrava prima il suo carattere dirompente e poi i suoi tratti asfittici, altre possibilità musicali emergevano all’orizzonte. E altri pubblici, meno legati agli imperativi di asciuttezza e “nudità” sonora coltivati nel continuum punk/hardcore/noise/alternative di cui le produzioni di Steve Albini furono massime interpreti negli anni Novanta.
Proprio a cavallo fra i due millenni, nuove intuizioni che avrebbero cambiato le regole del gioco iniziarono a emergere in campi legati all’emo, al metalcore, alla scuola soft/loud che aveva iniziato a costruirsi sui climax vertiginosi di Mogwai ed Explosions In The Sky. L’espansione a nuove aree geografiche, inoltre, contribuì ulteriormente a ibridare la matrice ultra-scarna a cui il genere era ormai associato con sensibilità più variegate, talvolta più progressìve, in qualche caso perfino ariose e (a proprio modo) pop.
Ancora negli Stati Uniti occidentali, il midwest emo degli American Football ritrovò un posto per voce e songwriting e allentò le tensioni del sound approdando ad atmosfere perfino carezzevoli. Soprattutto, però, portò in dote un’ampia cassetta degli attrezzi fatta di arpeggi in tempi dispari e accordature chitarristiche alternative allo standard Mi-La-Re-Sol-Si-Mi. Diffuse fin dai tempi di Joni Mitchell in ambito cantautorale, le rimappature delle note sul manico della chitarra aprirono il campo anche in ambito math ad accostamenti fantasiosi di scale e accordi, che più facilmente poterono allontanarsi dai power chord di impostazione punk/hard per esplorare armonie jazzy o colori folk. Sul versante opposto dello spettro sonoro, formazioni come i Dillinger Escape Plan raggiunsero un nuovo traguardo in fatto di potenza ed efferatezza: anche il mathcore a cui contribuirono a dare vita rimise al centro la voce e sfruttò ampiamente costruzioni jazz; il modo in cui lo fece, tuttavia, puntò al massimo sulla frenesia e sull’aspetto cacofonico del sound, coniugando l’attenzione alle strutture a cui il math deve il suo nome con l’esplorazione di paesaggi caotici e crescentemente estremi. Chi, un poco più tardi, riprese dal soft/loud l’espediente del crescendo e la passione decisamente prog per i cambi d’atmosfera poté dunque disporre da subito di un ventaglio dinamico decisamente più ampio rispetto al primo math: formazioni come i giapponesi Toe e Lite misero così a punto un sound capace di attrarre ascoltatori meno più legati a un’idea di “viaggio” emotivo che a una singola, specifica sensazione, e incuriositi più da sfumature e riarticolazioni che dalla ricerca dell’avanguardismo ad ogni costo che un po’ si era associata ad altre declinazioni del genere.
La sintesi proposta finora ha già condotto sufficientemente lontano dai Don Caballero da poter dare un’idea di quanto fuorviante sia l’appiattimento del filone sul loro paradigma. Ma anche l’apertura di orizzonti qui prospettata risulta limitante rispetto alla vastità del panorama: spingendosi solo pochi anni oltre il cambio di millennio, e allargando lo sguardo al solo Giappone, ci si perde comunque il grosso della ricchezza associata al genere, fatta – oltre che di vent’anni buoni di storia in più – anche di una selva di scene iperlocali, cult band affermatesi fra gli appassionati grazie prima Myspace e poi Bandcamp, rivoli collaterali e ibridazioni prog, dance, avantgarde, pop, metal, acustiche, elettroniche che sarebbe impossibile affrontare compiutamente non soltanto in un articolo come questo, ma perfino in un testo dotato del doppio delle pagine di quello di Gomez.
È forse anche per questo che l’autore ha scelto per il suo saggio un taglio più da “manuale di cucina” che da libro di storia: rinunciando da principio a tracciare una cronologia organica del settore e di tutte le sue diramazioni, ha preferito invece “smontarlo” nei suoi componenti costitutivi, dedicando capitoli mirati alle influenze, alla costruzione del sound, ai generi affini, al ruolo svolto da Internet nella diffusione globale del genere. Sfruttando band, dischi e pezzi più come esempi di lavoro che come monumenti da celebrare, riesce inoltre a porre su un pari livello formazioni ben note (oltre alle molte già citate, questo posto spetta anche ad artisti più recenti come This Town Needs Guns, Giraffes? Giraffes!, Tera Melos, Covet) e nomi meno consolidati come Floral, Clever Girl, Palm, Rooftops, Foster Parents.
Il taglio molto personale adottato da Gomez ha a sua volta evidenti limiti (come ne avrebbe qualunque condensato di trent’anni di musica in poco più di cento pagine): l’autore ama soprattutto il math strumentale e non considera se non tangenzialmente gli artisti più orientati alla forma-canzone (fra cui il fronte math-pop: Tricot, Hot Club De Paris, oppure primi Foals e da lì la connessione jigsaw pop); la trattazione dei rapporti con progressive rock e post-rock, benché animata da un’ottima considerazione dei due filoni, ricade in alcuni cliché poco accurati (l’antitesi punk/prog, l’identificazione fra post-rock e soft/loud); il lodevole intento di mostrare la vastità geografica raggiunta dal filone si riduce a conti fatti a qualche accenno a formazioni asiatiche e britanniche (perdendosi, ad esempio, scene ricche come quella francese e quella italiana). Altre scelte, dettate soprattutto dalle inclinazioni dell’autore, si rivelano più efficaci: su tutte, quella di dedicare decisamente più spazio alla fase post-2000 del genere, restando vago soprattutto sulle radici pre-Don Caballero negli anni Novanta. Un approccio disorientante, ma in fin dei conti molto azzeccato, visto che è proprio sul post-2000 che buona parte degli appassionati di musica alternativa manca di punti di riferimento. Similmente, appare brillante l'enfasi sull'abbondanza di elementi ironici nell'ethos del filone, troppo spesso associato a un'immagine distaccata, seriosa e sterilmente virtuosistica che si rivela essere, più che un ritratto fedele, giusto uno stereotipo buono per il tiro a freccette.
Nelle domande rivolte a Gomez, il tentativo è stato soprattutto di mettere in luce gli elementi originali del manuale, che non è certamente il testo definitivo sul math-rock (ammesso e non concesso possa esisterne uno) ma, come primo esperimento di trattazione organica del genere, riesce a essere non solo una valida introduzione per chi volesse muovere i primi passi, ma anche una discreta miniera di spunti per chi, anche partendo da solide basi, fosse disposto a confrontarle con un diverso punto di vista.
Qual è stato il tuo primo approccio al math-rock?
Mi sono avvicinato al math-rock cinque o sei anni fa, perché ero un grande fan di Tim Kinsella/Joan Of Arc. E mentre approfondivo i vari gruppi legati ai Joan Of Arc, sono arrivato a conoscere i Ghosts and Vodka. Sono rimasto completamente e immediatamente affascinato dalla loro natura strumentale e dal modo di suonare la chitarra di Victor Villareal. Prima di questo, non sapevo nulla del math-rock, nonostante fossi interessato al rock indipendente negli anni 90, quando gruppi come i Don Caballero erano attivi e facevano concerti. E sebbene mi piacessero gruppi legati al math-rock come Polvo, Shellac (RIP Steve Albini), e Slint, non li avevo mai collegati al math-rock (e ancora oggi, onestamente, non lo faccio). Da Ghosts and Vodka, sono passato a gruppi come Toe e Giraffes? Giraffes!, e poi sono tornato indietro e ho scoperto Don Cab, Piglet e gli altri primi gruppi di Chicago. E quando ho scoperto che non c'era un libro sul math-rock dove qualcuno come me potesse farsi un’idea sul genere, ho pensato che tanto valesse scriverne uno!
Nel libro dedichi diverse pagine al ruolo svolto da Internet nel favorire la crescita del genere. Le comunità online sono state importanti anche per il tuo percorso personale nel math-rock? Quali in particolare?
Dato che mi sono avvicinato al math-rock piuttosto tardi, ho usato il web più per scoprire musica tramite siti come Bandcamp che per addentrarmi nelle community online. Bandcamp è un luogo dove un gruppo math-rock come Tom's Story, che viene dalle Filippine, può pubblicare un disco in formato digitale ed entrare in connessione con una persona come me che sta in California - a metà mondo di distanza. Il math-rock ha una diffusione globale, e Internet è estremamente importante per facilitare l’incontro con i fan e la loro curiosità. A parte questo, mi sono divertito guardando vari video su YouTube su cosa è e cosa non è il math-rock, e appoggiandomi a tutorial e how-to che spiegano come imparare a suonarlo.
Ho l'impressione che, per molti amanti dell'alternative rock, i Don Caballero siano stati allo stesso tempo l'apice insuperabile del genere e la sua tomba. Il suono distintivo della band (super-pesante, super-astratto ma ruvido, molto ritmico ma senza alcun groove) ha catturato l’attenzione e il rispetto di tanti appassionati, che però si sono stancati presto dei loro presunti "cloni" e possibilmente anche dell'approccio stesso. Il tuo libro sembra indicare una direzione diversa, però. I Don Cab non sono stati la fine del math-rock – li inquadri come qualcosa di più prossimo a un “calcio di inizio”! Quali sono alcuni elementi nuovi, emersi dopo i Don Caballero, che ritieni gli amanti dell'alt-rock potrebbero apprezzare nelle successive evoluzioni del genere?
Hai ragione nel pensare che i Don Caballero abbiano stabilito il modello di base per il genere: titoli lunghi e incomprensibili, immagini evocative, strumentazione pesante con un focus su loop e tapping, e una batteria incredibile. Le band che immediatamente seguirono le orme dei Don Cab rimasero piuttosto fedeli a quel modello (ad esempio, Piglet e Lynx). Ma quando arriviamo a Toe e, successivamente, Clever Girl, vediamo il suono ammorbidirsi leggermente e incorporare più elementi jazz come tastiere e sassofono, e orientarsi verso un tono più "scintillante" che nel tempo è diventato lo standard del filone.
Hai fatto alcune scelte coraggiose nella presentazione del genere. Una di queste, che ho molto apprezzato, è quella di non seguire un approccio "storico" (anche se indichi in modo chiaro alcuni artisti come fondamentali, ad esempio Slint, Don Cab, American Football, Toe o, successivamente, Giraffes? Giraffes! e Covet). Tuttavia, c'è un passaggio nel libro in cui menzioni "gruppi di math-rock di quarta e quinta ondata", quindi non posso fare a meno di chiedere: quali sono le band e le caratteristiche associate a queste ondate, e quali sono le altre ondate?
Ciò che mi ha attirato del math-rock, e che penso lo renda vitale e unico rispetto ad altri generi, come il grunge o il Madchester, è che non c'è stata un'”età dell'oro” o un centro geografico. Sì, si può dire che Chicago sia il luogo dove ha avuto inizio, ma da lì è rapidamente passato all'Asia, per non parlare della California e poi del Regno Unito, e ora è in quasi tutti i paesi del mondo. E sì, come già accennato, considero certamente i Don Caballero come il punto zero del math-rock; le successive ondate di band, come Toe (seconda ondata) o Clever Girl (terza ondata) fino a Standards e Covet (quarta o quinta ondata, a seconda di come si contano), hanno tutte aggiunto qualcosa di nuovo al genere, che si tratti di elementi jazz o immagini basate sulla frutta (tratto ricorrente nelle copertine degli Standards, ndr) e così via. Il genere continua a cambiare, ma è ancora math-rock. Ne parliamo al presente, mentre il grunge e il Madchester restano legati a un insieme di band, a una città e a un'era storica breve che ora è passata.
Essendo stato io stesso un discreto nerd di math-rock, c'è un altro aspetto del libro che mi ha entusiasmato. Il testo cita un sacco di artisti che non conoscevo prima! Anche tra quelli "storici", ci sono alcuni nomi che sembrano un po' esoterici, almeno per quegli ascoltatori di alternative rock che associano l'etichetta a Polvo e June of 44, e popolano siti come Rateyourmusic. La mia potrebbe sembrare una critica ("Non parli dei Faraquet, ma dedichi interi paragrafi ai Foster Parents!?"), ma è in realtà un'espressione di gratitudine. Quali criteri ti hanno guidato nella scelta dei tuoi esempi?
Questo è stato un altro motivo per cui il libro non è una semplice narrazione storica del genere: non potevo accettare di lasciar fuori qualcuno. Inoltre, il fatto che il genere sia geograficamente così distribuito (senza contare quanto sia scivoloso nella sua definizione) significa che avrebbe sempre resistito a una narrazione strettamente cronologica. Aggiungici il fatto che non sono assolutamente l'autorità mondiale sul math-rock, per quanto riguarda la conoscenza di ogni band esistente, quindi ciò che c'è nel libro è fondamentalmente la mia collezione di dischi che riflette i miei gusti personali (per esempio, mi piace solo il math-rock strumentale: ecco spiegata l’assenza dei Faraquet).
Alcuni anni fa, avevo in mente di scrivere un articolo sul math-rock per questa webzine. Ho rinunciato quando mi sono reso conto che sarebbe stato un compito insormontabile, volendo essere decentemente esaustivi. Ma ho conservato la lista creata all'epoca. Non la aggiorno da circa 15 anni! Hai qualche aggiunta recente da suggerire?
Non credo di aver visto i Cuzco in quella lista. Sono stati un ottimo gruppo, che ha prodotto un album davvero splendido nello stile di Rooftops e Clever Girl. È anche divertente quanti gruppi di math-rock realizzino solo un album e poi si sciogliano (come i tre gruppi che ho appena menzionato). Questo mi fa riflettere su come il math-rock sia più incentrato sulla creazione della musica che non sull'avere successo, il firmare con una major o diventare famosi. Anche questo per me è una grande attrattiva: al centro c’è davvero soltanto la musica.
Nel capitolo sulle influenze, citi alcuni generi senz’altro prevedibili - rock progressivo, hardcore punk, thrash metal - e un altro a cui non avevo mai pensato: il free jazz. Le tue argomentazioni in merito alle somiglianze fra gli stili sono piuttosto convincenti. Hai qualche evidenza diretta (ad esempio, riferimenti musicali espliciti o dichiarazioni da parte di musicisti di math-rock) che supporti l’ipotesi di un'ispirazione consapevole?
Non ho prove dirette: niente citazioni di uno Ian Williams che dica che Ornette Coleman lo abbia portato a suonare come fa. Penso però che si possa tracciare una correlazione piuttosto diretta tra lo spirito (e il risultato finale) di ciò che accade nel mondo del free jazz e l’esperienza dell’ascolto math-rock. Entrambi gli stili sono caotici, rumorosi e senza forma, e nessuno dei due fa leva su aspirazioni commerciali o formati di canzone tradizionali. Anche se mettendo i Piglet accanto a un disco free jazz la connessione potrebbe non essere evidente, penso che i due stili abbiano un analogo orizzonte: rompere con le strutture della musica pop e avventurarsi in territori musicali inesplorati. Il punto di contatto è la libertà.
Un'altra parte che mi è sembrata piuttosto originale è quella sulle accordature alternative e sull'uso dei loop. Viene sempre sottolineata l'importanza per il genere delle complessità metriche e delle poliritmie, mentre mi pare che gli elementi precedenti siano molto meno considerati. Sono convinto che molti appassionati di rock "sentano" un passaggio in un tempo dispari (alcuni magari saprebbero anche “contarlo”), ma credo che solo un piccolo numero saprebbe riconoscere un'accordatura aperta o inusuale solo dalla qualità emotiva del suo sound. Come descriveresti quel tipo di sensazione, nel contesto del math-rock?
I loop sono senz’altro un elemento importante: una band come i Giraffes? Giraffes! basa su di essi gran parte del proprio suono. Nel math-rock i loop diventano un moltiplicatore (perdona il gioco di parole) che permette alle band (formate spesso solo due membri) di sovrapporre e combinare una varietà di suoni, riuscendo così a creare una sorta di labirinto di rumore nel quale l'ascoltatore si ritrova disperso. Quando una canzone non ha bisogno di cedere spazi a testi, strofe e ritornelli, si viene a creare un immenso campo sonoro da riempire. L'uso di loop e la loro stratificazione possono proprio andare in questa direzione. Le accordature alternative contribuiscono molto a creare quella sensazione leggermente spaesante che il math-rock vuole evocare (d’altra parte, se le band math-rock volessero solo far sentire al sicuro e a proprio agio, scriverebbero canzoni pop).
Che cosa hai imparato sul math-rock durante la scrittura del libro? C’è stato qualcosa che ti ha sorpreso, o che ha cambiato la tua prospettiva?
Una grande realizzazione che ho avuto fin dall'inizio è stata quanto il math-rock sia qualcosa di fisico e pratico. Viene suonato. Da persone. Usando strumenti. Nella nostra era digitale, in cui tutto accade toccando uno schermo (non certo un manico di chitarra), penso che questo sia un grande richiamo per gli ascoltatori. Intendiamoci: mi piace molta musica digitale, e i pezzi creati al computer possono essere coinvolgenti e stimolanti quanto ogni altro. Ma il modo in cui il math-rock mette in primo piano il suonare degli strumenti in un contesto di gruppo mi sembra molto, molto speciale. Segna in qualche modo un passo diverso rispetto alla nostra epoca ossessionata da Internet - e, naturalmente, l’avere un passo tutto proprio ha molto senso per il math-rock. Sta forse in questo, più che in ogni altra cosa, il frutto del suo legame con i tempi dispari!