Alcuni ambiti musicali sono abituati ad accogliere nuovi generi con estrema facilità. Elettronica e metal sono quasi leggendari per la frequenza con cui le etichette stilistiche prendono piede, talvolta seguendo e altre perfino precedendo l’affermazione di estetiche, marchi di fabbrica ritmici e sonori, sotto-comunità. Gli ascoltatori di rock indipendente, invece, sono tendenzialmente più cauti nel codificare nuovi raggruppamenti stilistici. Con un certo numero di prefissi e suffissi si barcamenano da decenni nel descrivere i loro artisti preferiti: indie-, -rock, -pop, -punk, psych-, garage-, alt-, shoegaze-, post- e — quando proprio qualche proposta sembra rompere gli schemi — anche avant- o art-.
Questo aiuta a costituire riferimenti comuni e consente di non impazzire dietro a mille pseudo-diramazioni e mode passeggere. Talvolta, però, nasconde convergenze significative e limita le capacità di orientamento degli ascoltatori, frenando l’emergere di una consapevolezza di nicchia. Fan di questa o quella band, potenzialmente interessati a esplorare sensibilità simili, restano limitati nelle loro scoperte e rimangono ancorati alla “corrente principale” promossa dalle testate più in vista.
 
Un caso relativamente recente, e piuttosto caro alla redazione e al pubblico di OndaRock, riguarda un gruppo di band britanniche tendenzialmente catalogate come art-pop, ma unite dalla passione per incastri matematici e tessiture elettroniche, lo sguardo ugualmente attratto da wave e progressive pop, la ricerca dell’"apollineo" e del caleidoscopico contrapposta al sound ruvido dell’assai più raccontata (nonché ennesima) ondata post-post-punk.
Un paio di nomi chiave farà immediatamente scattare un “clic” nelle menti degli amanti delle band coinvolte, come la chiusura di un puzzle la cui tessera mancante fosse da sempre lì in bella mostra. Everything Everything, Dutch Uncles, Alt-J, Wild Beasts, più una serie di artisti meno noti (e in qualche caso direttamente ispirati ai precedenti) come Outfit, Invisible, Another Sky, Caro.
Il loro suono intricato ma spesso giocoso, l’attenzione ai dettagli così come al disegno complessivo e il carattere poliedrico delle sensazioni evocate avevano ispirato tempo fa un’etichetta, comparsa raramente in Rete ma svariate volte proprio su OndaRock: jigsaw-pop. Pop costruito a mo’ di puzzle, da qualche parte fra stramberie Zolo e centrifugazioni nu rave, fra r’n’b cervellotico e delicatezze indietroniche.

Le tessere centali
 
33924f74a3154ce2a7624bc39e24ac26_01Scrittura articolata e riferimenti cangianti, insomma, ma per identificare un filone potrebbe essere un po’ poco. E infatti ci sono aspetti comuni più stringenti, che riguardano voce, influenze, architettura dei brani. A colpire, per molti di questi artisti, sono le coloriture anomale che marcano la personalità dei cantanti. Peter Gabriel, Kate Bush, David Sylvian paiono essere i numi tutelari per vocalist che non si fanno problemi a miscelare tratti soulful e artificiosità, abbondando in falsetti e sconfinando volentieri nell’androginia.
Anche quando la tavolozza risulta diversa (si veda il timbro nasale di Joe Newman degli Alt-J), l’enfasi quasi caricaturale sull’astrusità vocale dà alle parti cantate un simile effetto alienante. Nel loro ricercare stili lambiccati, sembra che i frontmen vogliano abbandonare l’espressività immediata della voce umana, spostando le melodie su un piano più astratto dove la varietà emotiva è limitata e le loro corde vocali possono fungere da strumento al pari degli altri impiegati dalle band.
Discutendo di origini sonore, è meno facile identificare precursori diretti. Gli Everything Everything e i loro gemelli meno fortunati Tomahawks For Targets (i primi e anche circa gli unici per cui la stampa internazionale abbia impiegato il termine jigsaw-pop) affondano le loro radici nel math- e nel post-hardcore, con le esperienze di Modern Bison e Yourcodenameis:Milo rispettivamente. Il dance-punk più tirato e spigoloso è stato un punto di partenza per i componenti degli Outfit (attraverso la comune militanza negli Indica Ritual), e proprio al crocevia fra dance-punk e wave dalle sfaccettature elettroniche si situa una band che molti fra gli artisti clou ricordano in modo evidente: i Bloc Party. Sia con la presenza vocale di Kele Okereke che con gli intrecci ritmici chitarra-basso-batteria, la formazione di “Silent Alarm” (2005) e “A Weekend In The City” (2007) può essere vista come un trait d’union fra diversi percorsi jigsaw (eventualmente in compagnia dei degni accoliti Delphic, meno funambolici ma più spinti nella costruzione elettronica).

Si possono poi tracciare parallelismi più a lungo raggio, palesi o azzardati a seconda delle propensioni. Ci possono essere pochi dubbi sulla devozione per Xtc e King Crimson periodo “Discipline” da parte di Dutch Uncles ed Everything Everything (questi ultimi sono perfino stati citati dall’attuale Crimson Jakko Jaksyz come prima in lizza fra le “band che seguono le orme del Re Cremisi”). Altrettanto realistici, e pressoché inevitabili, sono i richiami alle intricatezze dei Radiohead (senza tuttavia condividerne lo scoramento). Ma si possono scorgere, senza voler per forza implicare una connessione diretta, analogie anche con il pop decostruttivista dei Dirty Projectors, con il funk risintetizzato di St. Vincent o la caciara freak-pop degli Animal Collective (magari filtrata attraverso il suono pseudo-matematico dei Battles).
C’è infine un’altra circostanza considerevole: svariate delle band principali si sono influenzate fra loro. Dutch Uncles, Everything Everything, Outfit, Wild Beasts hanno in molteplici occasioni condiviso date e tour ed espresso stima reciproca. Non si tratterà di una scena con una propria consapevole specificità, insomma, ma una rete di contatti fra gli artisti può essere individuata.

Lungo il bordo

de11a4c8fd0233cadd3d9b7835783890Nella playlist di trenta brani che accompagna questo articolo non ci sono solo i musicisti a cui si è fatto riferimento finora. Come in ogni tendenza trasversale che non sia puramente un fenomeno locale, è possibile identificare anche figure borderline, che possiedono alcune ma non tutte le caratteristiche che rendono specialmente riconoscibili gli esponenti centrali. Fra questi, artisti di fama consolidata presso il pubblico indipendente, accanto a band poco in vista ma dotate di un’originalità che le rende difficilmente classificabili (e, dunque, specialmente interessanti). L’inclusione di una selezione di queste formazioni non risponde alla volontà di “allungare il brodo”, ma di allargare lo sguardo e aiutare a mettere a fuoco - attraverso presenze e mancanze - i tratti cruciali per l’identità del filone.

Bombay Bicycle Club, Django Django e Friendly Fires lambiscono, a vario titolo, le propaggini più pop dell’estetica jigsaw. Rispetto alle costruzioni “a orologeria” di Dutch Uncles e primi Everything Everything, i loro schemi sono più platealmente festosi e orientati all’immediatezza melodica. Vengono dunque meno l’astrazione e l’alienità della formula (sostituite, nel caso dei Django Django, da uno spassosissimo famolo strano space/western/Madchester), ma permangono il gusto per scatti e incastri, il frequente ricorso a trucchi minimalistici e stratificazioni vocali e l’insistenza su atmosfere radiose, agli antipodi della mestizia consueta per buona parte del rock indipendente.
Sul versante più ruvido e matematico, due band di discreta notorietà hanno avuto nelle prime delle fasi delle loro carriere forti punti di contatto col nascente jigsaw-pop. Foals e These New Puritans, poi avviatisi verso lidi divergenti, praticavano sul finire degli anni Zero un fantasioso ibrido math-pop/dance-punk tranquillamente inseribile nello stesso filone post-Bloc Party da cui attinsero Everything Everything e soci. Nelle evoluzioni successive, entrambe le band smussarono tuttavia gli spigoli: i primi si mossero verso uno stadium rock meno stravagante; i secondi, invece, intrapresero un percorso sempre più oscuro e intellettuale, con l’eclettismo urban/medievale di “Hidden” a fare da raccordo fra le iniziali inclinazioni geometriche e i successivi sviluppi in direzione dark e modern classical.
Tenendosi ancora su sponde decisamente rock, gli esempi dei già citati Yourcodenameis:Milo e Modern Bison testimoniano le vicinanze con il campo post-hardcore, ma mostrano al tempo stesso come la leggerezza sia essenziale per le formule propriamente jigsaw. Che sia nella voce, nelle chitarre clean o negli arricchimenti elettronici, un elemento ascensionale è necessario affinché il gioco funzioni appieno e le atmosfere si svincolino dai toni grigi dell’alternative. Uno sposalizio di questo tipo si incontra nella musica dei Mew, chiaramente proveniente da un percorso distinto rispetto alle altre band citate, ma anche nella sua grande originalità sorprendentemente vicina come approdo. È invece piuttosto esplicito il riferimento agli Everything Everything nei brani proposti di Foxing e Haken, che mostrano come la grazia jigsaw-pop possa esercitare un fascino anche in campo emo e progressive metal.

Un nome che è impossibile non associare alla scena, ma che è anche troppo autonomo per inserircisi appieno, è quello dei Field Music. La band di Sunderland ha un suono settantiano fino al calligrafismo, ma è sempre personale nella scrittura ed esemplare nel cucire senza soluzione di continuità progressive rock e new wave, sposando Gentle Giant ed Xtc, Supertramp e Talking Heads. Sebbene la loro formula sia estremamente “classica” nei riferimenti, e priva dalle venature dreamy e tecnologiche che si riscontrano nelle altre band, i traguardi raggiunti presentano lo stesso mix di cerebralità e frizzantezza, nerdaggine e sorprese. Più ancora di altri, i Field Music mettono in luce quanto il citazionismo, reinterpretato sotto la lente del postmoderno, sia essenziale per l’intero puzzle jigsaw-pop.
Altri generi hanno fatto della ripresa di elementi passati un tratto distintivo, talvolta miscelando estetiche opposte e rileggendo gli stili in modo personale se non deviante; la compagine al centro della playlist - e in particolare Alt-J e primi Everything Everything - fa della tendenza a ricombinare gli ingredienti un aspetto cruciale del gioco. I nuovi incastri sono impeccabili e dotati di una loro aliena naturalezza, ma come in un puzzle vero e proprio le giunzioni sono in evidenza e fonte di meraviglia.

Tre band fra loro eterogenee conducono l’esplorazione in paesi diversi dal Regno Unito. I finlandesi Rubik aprono la playlist anche solo per i palesi meriti onomastici (cosa è più jigsaw che una band che prende il nome da un coloratissimo puzzle?). La loro musica ricorda già citati Mew e perfino i Vampire Weekend, ma con una chiave specialmente variopinta e giocosa. I norvegesi Atlanter, gli statunitensi Yeasayer e i tedeschi Lingua Nada non condividono le influenze delle core band britanniche, ma propongono sintesi centrifughe che si muovono in un campo similare. Yeasayer e Lingua Nada frullano generi con un approccio neopsichedelico che può far pensare agli Animal Collective (e, nel caso dei tedeschi, anche ai Mars Volta), ma infarciscono i loro brani di scatti e zigzag decisamente più vicini alla prog/wave delle band che compongono il resto della playlist. Le loro scorribande stilistiche, intricate ma goliardiche al tempo stesso - e sempre con un piede assai prossimo al kitsch - conducono a un’analogia forse ardita, ma piuttosto efficace.

Salti di atmosfere, accostamenti azzardati, strutture sfidanti e sempre pronte a sorprendere con un nuovo “what the fuck?”: nella musica pop di oggi sono tratti rari, ma nel cinema sono all’ordine del giorno. Uno dei filoni più battuti del nuovo millennio è il mindfuck di serie e film come “Dark” e del premiatissimo “Everything Everywhere All At Once” (o, parecchi anni prima, di “Donnie Darko” e “Lost”). Christopher Nolan ci ha costruito un’intera carriera.
Le commistioni disorientanti degli artisti di questa playlist non hanno riscosso lo stesso successo, ma mostrano un’equivalente varietà di approcci: ci sono i nostalgici e i cazzari, gli artistoidi e i nerd terminali. Lo spettro potrebbe allargarsi ulteriormente includendo negli ascolti altre band affini (Egyptian Hip Hop? Breton? Adult JazzGesu No Kiwami Otome? Qualcuno suggerirebbe anche gli Ok Go, almeno per i video...). Ma lo scopo qui è solo di indicare una chiave di lettura: il compito di declinarla secondo le proprie propensioni spetterà poi a chi, fra i curiosi, si scoprisse particolarmente bendisposto verso le artificiosità che fanno da collante alla selezione.

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