Per un artista come Thom Yorke, da sempre affascinato dai territori liquidi dell’elettronica, pubblicare un album con Warp Records è una sorta di consacrazione. Sebbene nelle sue avventure da solista abbia spesso flirtato con questo genere – da "The Eraser" ai progetti collaterali come "Atoms For Peace" fino alle recenti scorribande nel mondo della cinematografia – non è mai riuscito a lasciare un’impronta altrettanto profonda quanto quella scolpita nel rock insieme ai Radiohead. La collaborazione con Mark Pritchard non nasce dal nulla: i due si conoscono da tempo e avevano già incrociato le proprie traiettorie nel 2016 con la suggestiva "Beautiful People". Ma con “Tall Tales” si entra in un altro territorio: per la prima volta i due amici si misurano con un lavoro esteso, concepito a quattro mani, dove ciascuno porta nel laboratorio condiviso il proprio lessico sonoro e i propri topoi espressivi.
Con il brano “The Spirit”, probabilmente, l’incontro tra i due si realizza nella forma più pura: una sintesi tra vulnerabilità e controllo, tra aria e peso. Yorke canta senza filtri né trattamenti, mentre Pritchard gli costruisce attorno un impianto sonoro essenziale, come una stanza vuota in cui ogni parola può risuonare senza interferenze. Sul versante più ritmico, "Gangsters" rappresenta la dichiarazione d’intenti di Pritchard: un beat frastagliato, un loop 8-bit reiterato fino all’ossessione, che richiama la grammatica dei videogame retrò ma viene risignificato in chiave ipnotica e astratta. Yorke si adatta con intelligenza, evitando ogni enfasi, lasciando che sia la pulsazione a guidare la voce e non il contrario.
Tra gli episodi più riusciti, "The White Cliffs" spicca per equilibrio e profondità. Pritchard crea un paesaggio ambientale invernale e ipnotico, su cui Yorke innesta una linea vocale inizialmente lirica, ampia, quasi cosmica. Col procedere del brano, però, la parte vocale si avvicina a un registro narrativo e asciutto, non distante, per spirito, dal tono declamatorio e spento di Lou Reed, ma filtrato attraverso un’estetica elettronica crepuscolare. Lo stesso equilibrio tra gravità e visionarietà si ritrova in "The Men Who Dance In Stag’s Heads", una sorta di elegia post-industriale.
Ad aprire e chiudere il disco poi ci sono due tracce molto interessanti. L’intro “A Fake In A Faker's World” è costruita come una composizione in due tempi: si apre con una voce robotica e alienata, rarefatta fino alla disumanizzazione, che si muove su un tessuto elettronico sincopato e instabile. La seconda parte abbandona quasi del tutto la voce per lasciar emergere un’interazione inquieta tra archi sospesi e beat frammentati.
La conclusiva "Wandering Genie" chiude il disco con una compostezza inattesa: i fiati liquidi, le armonie minimali e la voce, che sembra quasi dissolversi nel paesaggio, suggeriscono un varco di luce che si apre dopo un viaggio disseminato di figure spettrali, visioni interrotte e malinconie persistenti.
Eppure, nonostante la sintonia fra i due musicisti regali diversi momenti di autentica suggestione, “Tall Tales” non è un album che si lascia attraversare con naturalezza. La sua struttura frammentaria e il tono spesso introverso richiedono attenzione e disponibilità all’ascolto e non sempre riescono a restituire un’esperienza coerente o appagante. Alcuni brani risultano piuttosto trascurabili – "Happy Days", ad esempio, sembra più un esercizio di stile che una composizione compiuta – mentre altri si perdono nella compiacenza estetica.
In "Bugging Out Again", il falsetto di Yorke viene spinto fino alla caricatura: filtrato e distorto, si trasforma in una voce aliena che si muove in un paesaggio sonoro plumbeo, quasi horror, e claustrofobico, più vicino a “La Cosa” che alla raffinatezza malinconica di James Blake. "Ice Shelf" convince ancora meno nel suo accovacciarsi in un’atmosfera cupa e cavernosa, senza che emergano né una direzione narrativa né un reale coinvolgimento emotivo. Anche "Back In The Game", con i suoi accenti industriali, evoca una versione irrigidita di David Gahan che non riesce ad andare oltre il citazionismo: un brano più sedotto dalla propria forma che animato da una reale urgenza espressiva.
"Tall Tales" resta così un lavoro interessante ma diseguale, un incontro importante che più che fondere due identità ne mette in luce i contorni e le distanze. È un album che vive di episodi, di lampi, di intuizioni brillanti ma disomogenee.
19/05/2025