Dieci Piccoli Italiani

Dieci Piccoli Italiani - N. 104 - Aprile 2020

di AA.VV.

01_kuthijKUTHI JIN - BEE EXTINCTION (Artetetra, 2020)
elettronica

Il prolifico producer Giancarlo Brambilla, di Milano (ma pugliese di nascita), esplora la linea che dal post-dubstep porta alla più recente deconstructed club attraverso una fitta serie di uscite corte a nome Kuthi Jinani: gli Ep “Discarga Verde” (2017) e “Swamp Playground” (2018), il mini “Dishabitats” (2018) seguito dall’Ep “Shoal Strifes” (2018). A settembre vengono alcuni singoli, uno solista, “Lure Style” (2018), e un paio in collaborazione con il torinese Krolik, “The Batman” (2018) e “Bull Of Heaven” (2018). L’album “Mocking Catch” (2019) contiene gli 8 minuti post-post-industrial di “Wombs”, fin qui il suo più estremo sventramento del beat digitale. Quindi cambia in Kuthi Jin per gli Ep “Mimicry Of Death” (2019) e “Crawl & Dwell” (2020), ma soprattutto la cassetta “Bee Extinction”. Si taglia di netto col passato: quelli che erano semplici bozzetti divengono imponenti landscape informi fatte di rumori accatastati. In “Kill The Queen-Earth 3-Superpollen” (21 minuti) pulsazioni e loop mutano l’un con l’altro fino a diventare rapidamente una giungla di organismi esotico-cibernetici, peraltro intersecata con una rarefatta, trascendentale linea di synth. “Love Speed-Heart 3-Betrayal” (14 minuti) sfrutta le voci, a ondate, mareggiate, tifoni, anche un cantico alieno, via via rese galleggianti ma sempre traviate dai rumori elettronici fastidiosi e vanesi. “Plague-Herd 3-Propeller”, in “soli” 9 minuti suona insieme come la più avanguardista e la più descrittiva: solo un paesaggio devastato da bombardamenti aerei, fitte violente e suoni degradati. La narrazione è chiara: dalla natura brulicante, all’avvento dell’uomo, fino all’autodistruzione. Non una grande novità, ma in pochi vi hanno tentato con il solo ausilio della tecnologia più recente (il medium è il messaggio, o forse no). Pur con qualche sfocatura e ridondanza, Brambilla inventa dal nulla e con naturale insistenza un microcosmo immaginifico prima ancora che musicale, un’asfissiante, esilarante esperienza. Tre poemi elettroacustici non indegni della follia pseudo-(d)istruttiva e ammonitrice di Subotnick e Throbbing Gristle. Sottotitoli: “Sound from the third coming/End of human epoch” (Michele Saran7,5/10)


02_ambraroAMBRA ROCKESS - NIGHTMARISH EP (autoproduzione, 2020)
songwriter

La collaborazione tra l’ugola vibrante e il pianoforte di Ambra Rockess e le tastiere analogiche del produttore Lorenzo Coriglione frutta le quattro perline melodrammatiche dell’Ep “Nightmarish”. In “Phantasmagoric” ci vuole persino un minuto e mezzo di suspense di note in mesto girotondo per dare il La alla performance della cantante, alternata tra sussurro confessionale e ritornello operistico. La sua voce risuona stordita da toni gotici e quasi marziali in “Delirium”. Se “Monsters” è dominata dalle sue doti canore, soprattutto nel refrain rutilante e luccicante, come una Kate Bush spalleggiata da Jean-Michel Jarre, invece l’inno della canzone eponima è dominato dalle ornamentazioni elettroniche. Piccola grande svolta nell’itinerario in divenire della cantautrice siciliana (al secolo Ambra Perentignoti). Passati due album lunghi d’indole rockettara, “Holy Hell” (2014) e “Darkling” (2017), si rapprende sulla corta distanza per esaltare il suo io artistico, anziché infragilirlo con le pose, mettere a nudo l’efficacia di una scrittura attenta a tempi e mezzi dell’espressione e imperlata pure di qualche docile deflessione ritmica, gloriarsi d’un fascino vetusto e anacronistico dotato del pathos epico-sentimentale di Jim Steinman. Chitarra: Umberto Ferro (tirata psichedelica niente male in chiusa a “Phantasmagoric”), batteria: Vincenzo Arisco (Michele Saran7/10)


03_anicANICE - POEMS ABOUT DESTRUCTION (Coypu, 2020)
post-rock

Mali Yea, chitarra, e Nicola Bigliardi, batteria, fanno coppia ormai da quasi una decade a nome Anice. Perfettamente analoghi, nell’impostazione della line-up e nel genere di riferimento, ai Tristan Da Cunha, i due reggiani se ne differenziano nelle modalità espressive: non chitarristici cataclismi psichici scanditi fedelmente dalla batteria, o non solo, ma pure convoluzioni e decorazioni, e appena più composizione rispetto all’improvvisazione. Ne è prova il primo lungo “Poems About Destruction”. Comincia in modo ambientale, con una fascia elettronica quasi ipnotica che permane al suo stadio d’eterea staticità anche quando viene adornata di tocchi, sia pur crepuscolari (“Sobriedad”). La strimpellata shoegaze tossica di “Almost Love” si accende a partire da un bel arpeggio e termina con un criptico carillon: i due si ritrovano da soli a dialogare (e sfaldarsi reciprocamente) in “Watashi Wa Koko”. La catalessi sinusoidale alla Yume Bitsu di “Just Another Song” (fraseggio incupito e innalzamento a mo’ di tsunami) capitola in una stasi sinistra in cui risuona un campione distorto di parlato. Di più e meglio ancora, i 10 minuti di “All The Things I Never Told You” si propagano rarefatti e raminghi tra clangori e pause fino a sfumare in un prolungato drone della sola chitarra infiorettato di sibili, fischi e botti elettronici. Risultato, e culmine, di quattro Ep: “The Embrace Is A Perfect Circle” (2014), “Waste” (2016), “Gold” (2017) e il solista di Yea “Anemic Songs” (2018). Vale per il comun denominatore, una composta solennità che lo attraversa per intero anche a costo di ridondare, come pure per le raffinatezze, i preziosi particolarismi, almeno uno per membro, “Bleeding”, scricciola prodezza folk per mano di Yea, e l’introduzione a “Fade Out”, una cavatina di risonanze a cura di Bigliardi, qui anche al synth. Ultimo ma non ultimo, per l’intonata connessione con l’artwork di Gabriella Saiello, quasi uno strumento aggiunto, con cui esprime anche agli occhi i suoi contrasti in chiaroscuro. Co-edito con Dreamingorilla (Michele Saran7/10)


04_houdiniriHOUDINI RIGHINI - LASCAUX (Ribess, 2020)
songwriter

Di Rimini, Giuseppe Righini, già autore per altri artisti, annovera i suoi “Spettri Sospetti” (2008), “In apnea” (2011). Con l’antologia di remix “Enciclopedia completa di uno sconosciuto” (2013) e il terzo “Houdini” (2015) rinsalda di elettronica queste prove ancora incerte, per poi ribattezzarsi proprio Houdini Righini e rilanciarsi con “Lascaux”, spostando convintamente l’accento sull’atmosfera. Il suo canzoniere si adorna anzitutto di due perle d’imitazione della grande new wave storica, “Con le mie mani” e “Polvere”. La prima si rifà alla “Well Of Misery” di Nick Cave (oscuro spiritual cadenzato, miasmi e clangori industriali), l’altra alla “Frankie Teardrop” dei Suicide (tensione elettronica ritmata in sordina, canto sinistramente mellifluo e spezzato in pause), anche se poi imbellettata alla Bowie. Meno di successo ma sempre intrigante nei suoi reticolati di tastiere è un’altra imitazione, stavolta del funk elettro-etnico di Peter Gabriel, “Primavera nera”, ma allora più personale è la “Hikikomori” che la segue a stretto giro, cantata a mezza voce in tono quasi trascendentale e adornata di percussioncine minimaliste insistenti e sparuti twang chitarristici alla Badalamenti, per finire col lied di “Satantango”, quasi da musical, elegante nei suoi smarrimenti lisergici e le sue sconnessioni quasi atonali (piano di Valli). Vi è anche un cantico-mantra Vic Chesnutt-iano a mezza voce in crescendo, “Ora che ci sei”, un tentativo di forma-canzone in qualche modo “ambient”. Prodotto e co-arrangiato da Franco “Francobeat” Naddei, ha esiti ondivaghi. Ai numeri di classe, a cui va aggiunta la coda stregata da cabaret “No” Weimar-iano anni 30 in coda alla lunga “Dormi” (voce di Alexa Invrea), in cui i talenti in gioco riescono a imporsi con brillantezza, se ne intervallano altri di sedativi se non ingenui tra cui la canzone fantasma in fondo a tutto “Dai dai dai”. Alla fine della fiera, comunque, Righini-Naddei cavano un’inaudita forma di confessionalità colloquiale che sfoggia persino sapienza modernista (Michele Saran6,5/10)


05_stolenapSTOLEN APPLE - WAGON SONGS (autoproduzione, 2020)
grunge

Dopo un “Trenches” (2016) a sua volta preceduto dal lost album “When We Rise” (2015), i fiorentini scafati Stolen Apple si ripropongono con il loro forse più intenso “Wagon Songs”. Tra una stentorea “Suicide”, una fatalista jingle-jangle “It’s Up Your Mind”, una fosca, grandguignolesca “Out Of Fashion” e una scarnificata bluesy “Passion” spiccano anche numeri punk’n’roll, uno Sex Pistols-iano, “Renegade Sun”, e una pallottola Gun Club-iana, “Tattoo”. E alla fine tutto converge nella lunga “Easier”, lanciata a locomotiva con una chitarra anzi propalata nell’iperspazio, la loro “Emilia paranoica”. Le canzoni si prendono qualche lusso evitando quasi di netto, a parte “A Looking Behind Kid”, i chorus e i ritornelli: una buona scelta anti-pop che però rischia di disperdere ingenuamente le canzoni. Vi sopperiscono le loro competenze da rocker d’indole Neil Young e Grant Lee Buffalo desunte dalle passate militanze come Nest, in irresistibili distorsioni infuocate, ritmi su di giri, assoli in visibilio che ustionano (“Suicide” e “Easier”), e qualche svolazzo d’atmosfera (i cori e soprattutto una tastiera fantasma) (Michele Saran6,5/10)


06_vigVIGO - CANTAUTORATO I (autoproduzione, 2020)
songwriter

Antonio Zuccon, Vicenza, abbandona il conservatorio (violoncello) per ribattezzarsi Vigo e dedicarsi, il titolo dice praticamente tutto, a “Cantautorato I”. Già la “Intro” invita con un coro mugolante senza parole al suo cabaret di melanconie, che idealmente prosegue nell’epitaffio corale di “Hello”. Il vero canzoniere comincia e si esprime per bene nei pezzi cardinali: l’incalzante tribaloide “Il dolce Ali”, la ballata psichedelica “Hotel Marina” e, in parte, il ritratto-diario dell’acustica “Giovanni”. Si riesce a scorgere una certa “euresi” gaddiana: gli arrangiamenti mutano, e mutano al mutare, si modellano e rimodellano ai nuovi tocchi, nonostante facciano leva sugli stessi mezzi (piano e chitarra, qualche volta ottoni, un violino). A screditare questa portata spontaneamente innovativa ci pensa l’incompiutezza del processo, che infetta “La signora Barzotti” e altre canzoni convenzionali e rinunciatarie, e coinvolge anche intermezzi strumentali non meglio chiariti (“W i Calibro 35”) e non ben coniugati (“Finale”). Primo singolo: “Hello”; secondo: “Hotel Marina” (Michele Saran6/10)


07_blooBLOOP - SCHIACCIATEMPO EP (autoproduzione, 2020)
alt-rock

Milanesi ma cresciuti all’ombra del Cupolone, Bloop nell’Ep “Schiacciatempo” possono esprimersi sia attraverso impostazioni funk-rock appena esuberanti come in certe sigle dei cartoni animati vintage (“Di corsa”) che in balladacustiche dapprima placide e poi rutilanti (“Disincontro”), passando per una psichedelia bonaria di wah-wah e rhodes (“Telenovela”), e agitare persino la magia delle filastrocche fataliste di De André (“Non è importante”). Seguito di una “Demo fatta in casa” (2016) e di una collaborazione con Angela “Bri” Brissa. Prudente uscita corta in cui però le potenzialità si tastano per bene, a partire dal fondatore Francesco Libertini a cui va pure il merito non da poco di scrivere canzoni senza riccioli: il suo canto caldamente baritonale che sintetizza Piero Pelù (ma anche Vecchioni ed Endrigo) e Matt Berninger e la sua abilità alle tastiere, specie un synth fischiante. Con Claudio Nasti (chitarra), Francesco Todisco (basso) e Giuseppe Antonacci (batteria) ispeziona con la corretta dose d’ecclettismo residue crepe di creatività nel rock italoradiofonico. Sveno Fagotto pecca al missaggio (troppo sature le frequenze medie) (Michele Saran6/10)


08_monetMONÊTRE - MONÊTRE (Libellula, 2019)
alt-pop

Dapprima solo strumentali, i tre Monêtre di La Spezia (voluti dal chitarrista Mauro Costagli già nei Morose) divengono quintetto assumendo un secondo chitarrista e soprattutto la voce di Federica Tassano, ormai trasferitasi oltreoceano (New York) e dunque implementata nella lavorazione tramite mezzi telematici. Come esposto nudamente da “Red Balloon”, le prime canzoni del debutto omonimo nascono proprio dall’incontro tra le trame teneramente quasi-psichedeliche di Costagli e la delicatezza di Tassano (leggiadri tocchi di DealMorissetteCorgan e soprattutto O’Riordan): “Weirda”, “B”, “On A Boat”, “We Were Roses”. “So Done” espone al meglio le proprie impalcature, laddove la più lunga “Blinding White” le estende infragilendole. Registrato non benissimo da Nicola Sannino, è revival anni 90 da frontwoman in traballante bilico tra pop commerciale e dream-pop ricercato, a tratti con un’eleganza quasi pastorale ma privo di veri hook mordaci, finanche prevedibile. Co-produzione a tre: Libellula, OuZel e Marsiglia (Michele Saran5,5/10)


09_tenuTENUE - FILTRO (V4V, 2020)
alt-rock

“Filtro” dei quattro giovani rocker Tenue s’impronta decisamente, oltre che ai titoli spesso monolessicali, alle ballad. Possono essere convenzionali, da “Annegare” a “Lieve”, da “Quella foto” a “Solco”, oppure appena più “power”, bellicose di quel tanto ma pur sempre innocue, come “Terza persona” e “Contatto”. Debutto di una compagine napoletana (Angelo Giaccio, Antimo Cardilicchio, Eloise Canciello, Giovanni Castaldo), nel 2018 il varo, che vorrebbe rifarsi al grunge leggero, alla canzone partenopea, a Pino Daniele, e finisce invece per appiattirsi alla brama da hit parade, per via di una confezione slavata e ripetitiva (Giovanni Versari) e di un paradosso: emo che stenta a tradire emozioni. Ritornelli viziati da pompa. Tutti strumentisti competenti, qualche ricercatezza qua e là tra cui un paio di brani strumentali, ma il vero talento, e a sprazzi, si slarga solo nel power-pop di “Traccia” e nella nevrotica “Vento” (Michele Saran5/10)


10_gerGERO - UN ANNO IN PIÙ (Carioca, 2020)
dance-pop

La carriera di Calogero Pasquale “Gero” Riggio (Mussomeli) è costellata di traguardi, da partecipazioni televisive, a concerti d’apertura a svariati big, fino ai buoni risultati conseguiti in festival. Proprio la vittoria all’edizione 2018 di “Musica Contro le Mafie” con il singolo “Svuoto il bicchiere” (2018) gli dà il La per avanzare in questo campo: vince la targa 2018 di “Polizia moderna”, si esibisce al tour itinerante di “Change Your Step” (2018) e alla “Notte bianca della legalità” (2019), infine pubblica il suo album “Un anno in più”, primo diario di vita con un occhio di riguardo ai temi fin qui prediletti. Tipico ma straordinario caso di nobili intenzioni rese inascoltabili: anche il mondo dell’attivismo benefico annovera degenerazioni da Talent Show. Talmente zeppo di stereotipi adolescenziali, beat pacchiani e rozzezze da discoteca che sembra generato da un algoritmo (Michele Saran, 3,5/10)

Discografia

KUTHI JIN - BEE EXTINCTION(Artetetra, 2020)
AMBRA ROCKESS - NIGHTMARISH EP(autoproduzione, 2020)
ANICE - POEMS ABOUT DESTRUCTION(Coypu, 2020)
HOUDINI RIGHINI - LASCAUX(Ribess, 2020)
STOLEN APPLE - WAGON SONGS(autoproduzione, 2020)
VIGO - CANTAUTORATO I(autoproduzione, 2020)
BLOOP - SCHIACCIATEMPO EP(autoproduzione, 2020)
MONÊTRE - MONÊTRE(Libellula, 2019)
TENUE - FILTRO(V4V, 2020)
GERO - UN ANNO IN PIÙ(Carioca, 2020)
Pietra miliare
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