Gruppo di musicisti e deejay australiani dalla produzione molto circoscritta, agli Avalanches è bastato poco per lasciare un segno nella storia della musica tra i due millenni. Hanno affascinato prima la loro nazione, collezionando premi e pareri entusiasti della critica, poi hanno conquistato il mondo con un esordio epocale, Since I Left You (2000), capolavoro della musica plunderphonics, basata sull’uso massiccio di materiale musicale preesistente assemblato in modo molto creativo.
La loro carriera, partita dal noise e dal punk e proseguita tra demo, cambi di nome, Ep, mixtape, lunghissime pause e tantissimi campionamenti, è diventata con gli anni una preziosa testimonianza di un’epoca della musica popolare che è stata segnata da grandi cambiamenti nell’industria e nell’estetica.
Allarmi, piselli e valanghe: le origini della band e le prime pubblicazioni (1994 - 1998)
La preistoria degli Avalanches è molto curiosa. Le fondamenta della formazione sono poste dagli Alarm 115, nati a Melbourne nel 1994 e ispirati da gruppi che uniscono punk e noise, quali Drive Like Jehu, Fall e Ultra Bide.
Robbie Carter, che suona le tastiere, e Darren Seltman, alla voce, si sono conosciuti come coinquilini, mentre Tony Di Blasi, impegnato a tastiera e basso, si è unito poco dopo. Seltman è già il batterista dei Ripe e mentre è in tour, tra Stati Uniti e Europa, ha l’occasione di assistere a un concerto dei Drive Like Jehu, rimanendo folgorato dall’intensità dell’esperienza.
Gli Alarm 115, aggiunto Manabu Etoh alla batteria, registrano un demo di quattro brani nel 1995, ma poco dopo la loro attività si fa discontinua: lavorano a un ulteriore demo, nel 1996, che non riscuote particolare successo e cambiano sound ispirandosi al funk del giapponese Kiochi Oki, imbarcando anche un amico di Carter, Gordon McQuilten. Questa formazione un po’ scalcagnata si esibisce con i coloriti nomi di battaglia Swingin Monkey Cocks, Quentin's Brittle Bones e Whoops Downs Syndrome, prima di prendere in prestito Avalanches da una band surf-rock statunitense con un solo album all’attivo.
Nel 1997 le cose iniziano a cambiare, con il primo contratto discografico con l'australiana Wondergram. Sono mesi in cui si aggiunge alla formazione anche il deejay Dexter Fabay e la band apre un concerto per Jon Spencer.
Pubblicano il primo singolo "Rock City" (1997), il primo Ep, El Producto (1997), quindi aprono per i Public Enemy (1998) e pubblicano un Ep anche nel Regno Unito, Undersea Community (1999).
James Dela Cruz inizia a suonare nei live, in un periodo in cui aprono anche per i Beastie Boys, Beck e gli Stereolab.
Electricity è un ulteriore Ep pubblicato nel 1999, quando la formazione ha già iniziato a lavorare all'atteso esordio.
“No-one's going to listen to it anyway”: l’inaspettato successo di “Since I Left You” e i problemi legali (1999-2003)
Since I left you
I found the world so new
Inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi "Pablo's Cruise", Since I Left You. Darren Seltmann e Robbie Chater lo compongono assemblando qualcosa come 3500 campionamenti, in una entusiasmante spola: dopo che uno ha assemblato un'idea la passa all'altro, che la porta avanti ed espande, in una specie di circolo creativo sinergico realizzato con due set compositivi gemelli dominati dai campionatori Yamaha Promix 01 e Akai S2000.
Come affermato da Chater in un'intervista di "Sound On Sound" risalente al 2002, era ritenuto improbabile che l'album diventasse un prodotto musicale internazionale o anche solo un successo australiano, tanto da venire composto considerando che "nessuno lo ascolterà in ogni caso" ("No-one's going to listen to it anyway").
Nell'estrapolare suoni, melodie, voci, ritmi i nostri non badano, quindi, ad appuntare i brani campionati, raccogliendo sample in lungo e in largo, tra oscuri reperti discografici e alcuni clamorosi successi pop (spunta pure "Holiday" di Madonna).
Quando Since I Left You si candida alla pubblicazione su un mercato ampio, prima nazionale e poi internazionale, è necessario gestire il diritto d'autore legato alla valanga di sample utilizzati, un'operazione che richiede anche alcune modifiche marginali alla forma finale dell'opera.
Nato come risposta al sound aggressivo e assordante del big-beat di Chemical Brothers e Prodigy, l'album d'esordio degli australiani punta su una rievocazione della dolce malinconia dei Beach Boys e dei ricchi arrangiamenti di Phil Spector, suggerendo nostalgiche rimembranze e allucinati viaggi indietro nel tempo, su dancefloor ormai dimenticati, tra volti in bianco e nero di altre epoche.
Tutto questo, però, senza rinunciare all'idea di un album ballabile, dall'anima disco più che techno, decisamente più emotivo che fisico, che vede trionfare il cuore sull'impeto meccanico. Se molta dell'elettronica tra i due millenni è tecnologica quando non robotica, di derivazione Kraftwerk e Moroder, gli Avalanches puntano ai sentimenti più dolci, ammaliando l'ascoltatore in un vortice di frammenti sonori assemblati con spirito psichedelico, non senza un pizzico di sano divertimento.
Dal punto di vista tassonomico, questo sound-collage è etichettabile come plunderphonics, seguendo il titolo del libro di John Oswall "Plunderphonics, Or Audio Piracy As A Compositional Prerogative": un'idea di composizione con il campionamento come elemento fondamentale, senza materiale originale ma con l'assemblaggio che diventa esso stesso un'arte.
Da altri punti di vista, meno legati al metodo compositivo e più al risultato finale, Since I Left You è un curioso punto d'incontro tra l'hip-hop e la sua cultura del campionamento, dalla Bomb Squad dei Public Enemy al sofisticato hip-hop strumentale di Dj Shadow, tra la disco-music e i suoi ritmi geometrici sontuosamente arrangiati e la psichedelia sessantiana.
Qualcuno potrebbe, per questi motivi, utilizzare anche termini come sampledelia, a evocare la disorientante esperienza d'ascolto che espande i già sofisticati puzzle sonori degli anni Ottanta e Novanta per suggerire un dancefloor onirico.
Since I Left You è presentato dallo spassoso singolo "Frontier Psychiatrist", pubblicato nell'agosto del 2000 e, in teoria, poco prima della data di pubblicazione prevista per l'album. In Australia l'esordio sbarca nei negozi solo a fine novembre mentre la pubblicazione internazionale arriva solo a 2001 inoltrato, per ulteriori problemi di copyright.
Gli importanti ritardi portano alla circolazione di bootleg che la band cerca di arginare con il mixtape Gimix (2000).
In modo totalmente inaspettato dagli stessi membri del gruppo, l'album ottiene un ottimo successo: è disco di platino in Australia e disco d'oro nel Regno Unito. L'album si fa conoscere anche in Norvegia, Stati Uniti e Scozia. A traino di un apposito Ep, At Last Alone (2001), l'album è pubblicato anche in Giappone.
A esaltarsi, però, è soprattutto la critica, che elegge Since I Left You come uno degli album più importanti dell'anno e del decennio, uno dei capolavori della musica australiana e uno dei più apprezzati album di musica dance di sempre. In patria vince agli "ARIA Music Awards of 2001" ben quattro premi e agli "Australian Dance Music Awards" addirittura sei premi. Il video della title track si aggiudica anche un Mtv Europe Music Award come video dell'anno.
Considerata la sua bizzarra originalità, è sorprendente che l'album non abbia interessato solo un ristretto gruppo di appassionati. Il motivo è da ricercare nei 60 minuti divisi nei 18 brani che compongono la scaletta.
Apre “Since I Left You”, anche terzo singolo estratto dall’album, che campiona il coro di “Everyday” dei Main Attraction, stravolgendone il senso: da gioiosa canzone d'amore a malinconica ballo sulla fine di una storia, arrangiata in modo sfarzoso e psichedelico. È solo uno dei tanti modi in cui gli Avalanches giocano con il collage, fino a unire stili assai distanti (compare persino “Anema e core”, nella versione di Tony Mottola).
Nel flusso musicale ininterrotto dell'album troviamo anche il funk psichedelico di “Radio”, una rilettura dal calore house che ricorda i più analogici Daft Punk, e il tempo ternario di “Two Hearts In ¾ Time”, che frulla John Cale con la voce di Marlena Shaw per un valzer malinconico. “Flight Tonight” è un’eccezione, un brano più meccanico e aggressivo, che per le voci usa tanto il reggae di Billy Boyo che il rap di Prince Paul e i De La Soul.
C’è tutto lo spazio, poi, per tornare alla caleidoscopica disco-music con “Close To You”, capace di unire lo spagnolo Xavier Cugat, Sesame Street e Cerrone. Compare anche uno dei vertici della loro discografia, il singolo “Electricity”, una visione disco-rap tra “Rapp Dirty” dei Blowfly, la batteria dei Rotary Connection di “Life Could” e il jazz visionario di Sun Ra (e la sua “Say”).
Il capolavoro è, probabilmente, il singolo “Frontier Psychiatrist”, con gli scratch di Dexter Fabay, gli estratti di uno sketch del duo comico canadese Wayne e Shuster e un arrangiamento orchestrale preso principalmente da “My Way Of Life” degli Enoch Light Singers: un’operazione di ricostruzione creativa, dal tono spassoso e dall’intensità spettacolare, che lascia entusiasti per il gioioso divertimento che regala. Un brano del genere è degno dei più demenziali Coldcut.
Almeno un altro paio di momenti geniali arrivano a fine scaletta: quando “Little Journey” si riduce a un sussurro, e rinasce poi come una festosa danza tribale per suoni della natura, prima che intervenga un impetuoso arrangiamento d’archi; quando “Live At Dominoes” porta in orbita un brano disco-funk sommergendolo di distorsioni, campionamenti e colpi di scena vari.
La pubblicazione è supportata da un tour promozionale completamente sold-out in patria, a cui segue anche una serie di concerti in Europa. A causa di un doppio infortunio di Seltman, le ultime date europee, quelle statunitensi e quelle giapponesi, protrattesi fino al 2003, sono dj set. Di un nuovo album, però, non c’è traccia.
La lunga attesa e “Wildflower” (2004-2019)
Ah, Frankie Sinatra, ah, Frank Sinatra
Frankie, me boy, don't know
You have the perfect voice to sing calypso
A Melbourne gli Avalanches hanno poi continuato a esibirsi in serate-evento e festival, approssimativamente fino a fine anni Zero. La band scrive nuova musica, ma non ha in mente un progetto di ampio respiro e il tutto è reso più difficile da una lunga malattia di Chater. Nel 2005 si inizia a parlare, finalmente, di un seguito per Since I Left You che deve avvicinarsi di più all’esperienza live ma per anni le voci si rivelano poco concrete.
La prima avvisaglia che qualcosa bolle in pentola è una dichiarazione di Danny Brown che dice di aver lavorato con la band per un nuovo brano, “Frank Sinatra”. Tuttavia, la formazione disperde le proprie energie in progetti collaterali: partecipa con appena 25 secondi di musica allo spettacolo teatrale “King Kong” (2013), che richiede molto lavoro; collabora in un progetto di animazione psichedelica di un artista della Corea del Sud, che purtroppo non vede mai la luce. Della formazione originale, all’altezza del 2014, sono rimasti solo Chater e Di Blasi: Seltmann si è concentrato sulla famiglia dal 2006. Nel 2015 James Dela Cruz ritorna con gli Avalanches.
Wildflowers (2016), l’agognato secondo album, è costruito sul materiale prodotto in oltre tre lustri. L’approccio compositivo è cambiato: adesso ai sample sono affiancati contributi originali.
Gli ospiti sono d’eccezione, tra cui: Jonathan Donahue dei Mercury Rev canta e suona anche la sega in diversi brani; Kevin Parker dei Tame Impala è alla batteria su “Going Home”; il violinista Warren Ellis interviene su “Stepkids”; Danny Brown rappa su “Frankie Sinatra” con MF Doom e “The Wozard Of Iz”; Josh “Father John Misty” Tillman canta su "Saturday Night Inside Out"; Chaz “Toro Y Moi” Bear canta e suona la chitarra su “If I Was A Folkstar”.
Molti cantanti coinvolti non sono poi stati inclusi nell’album, a causa dei numerosi brani scartati dalla band.
Più sbilanciato verso l’hip-hop, ancora più disorientante a causa del materiale originale che si fonde a quello campionato, Wildflowers mantiene lo spirito deliziosamente malinconico e nostalgico di Since I Left You, giocando con le emozioni dell’ascoltatore e replicandone la ricchezza creativa. In modo decisamente sorprendente, è un seguito che arriva quando ancora nessuno ha saputo replicare la formula dell’esordio, nonostante il successo e il lungo tempo intercorso.
Dalla commovente ingenuità di “Because I’m Me”, dolce e semplice come i primi amori seppure arrangiata con sfarzo psichedelico, di nuovo tra Beach Boys e Phil Spector, si arriva al primo, irresistibile singolo, “Frankie Sinatra”: goffo passo clownesco, campionamento ipnotico, strofe rap di due fuoriclasse come Danny Brown e MF DOOM.
If she don't love me
What can I do?
Just put on my best pair of shoes
La pasta onirica, a ritmo disco, è ancora protagonista, con i suoi inaspettati riflessi sixties nelle armonie vocali e nel mood trasognato, ma non mancano momenti di lirismo strumentale ("Zap!") e costruzioni plunderphonics esilaranti ("The Noisy Eater", degna erede di "Frontier Psychiatrist").
In generale, il ventaglio di stili si è ampliato, soprattutto verso il folk e l’hip-hop, ma anche con importanti influenze delle orchestrazioni vintage, come palesa il ballo sgranato e nostalgico di “Light Up”.
Viaggio tra sogno e ricordo, Wildflowers non può vantare lo stesso effetto-sorpresa di Since I Left You, ma segna un ritorno degli Avalanches, o quello che ne è rimasto, che è molto di più di una buona notizia per gli appassionati: questo caleidoscopio di citazioni e ricontestualizzazioni, con le sue fusioni di originale e campionato, è un ascolto che conduce in un mondo ipnagogico e vibrante di vita.
Ottenuto il disco di platino in Australia e qualche buon posizionamento anche in alcune classifiche estere, l’album è soprattutto apprezzato dalla critica, che lo inserisce tra i migliori dell’anno.
Wildflower è promosso da un tour portato avanti, nel 2017, dal solo Di Blasi, essendo Chater impegnato a disintossicarsi dall’alcol.
Questioni di tempo: “We Will Always Love You” (dal 2020 a oggi)
Night time, on fire, dreaming of another life
Dopo aver venduto circa 7.000 dischi della propria collezione, Chater e Di Blasi iniziano a lavorare a un terzo album. Si chiama We Will Always Love You e arriva nel dicembre del 2020, dopo “appena” quattro anni dal precedente.
Utilizza il campionamento, ma secondo una filosofia assai meno oltranzista dei suoi predecessori. Nel commentare la diversa densità di sample, Chater risponde, in un’intervista del 2020 per Nme, che non vuole lavorare in solitudine per sei-otto anni, il tempo necessario a comporre un nuovo album basato principalmente sui campionamenti, un processo che richiede tantissimo tempo.
Questa volta il musicista Andrew Szekeres li aiuta a unire i vari sample con frammenti originali.
Anche questa volta, il numero di collaboratori è eccezionale: da Blood Orange a Denzel Curry, da Tricky a Perry Farrell, passando per Jamie xx e tanti altri. Il mood è più raccolto, tanto da configurare l’intero ascolto come una meditazione sull’esistenza, sulla morte e quello che viene dopo.
Se Wildflowers era ipnagogico, We Will Always Love You si avvicina all’idea di hauntology utilizzata da Simon Reynolds per descrivere artisti come Caretaker. Musicalmente, è il loro album più tradizionale, guidato da ballate accorate (“We Will Always Love You”) o sensuali (“Until Daylight Comes”) e ballabili disco più tradizionali pur nel loro stile vintage (“The Divine Chord”, “Music Makes Me High”, “Overcome”).
In alcuni passaggi gli Avalanches si avvicinano a un’idea di house non troppo diversa da quella di un Avicii (“Interstellar Love”) o degli ultimi Daft Punk (“On The Sunn”), salvo ritornare a più elaborate commistioni con l’r’n’b in “Reflecting Light”, con cori chipmunk-soul, o a inquietanti intrecci tra voci salmodianti e bassi ossessivi in “Wherever You Go”, dai riflessi spettrali in apertura e una seconda metà esuberante e androide.
Il capolavoro dell’album è forse “Take Care In Your Dreaming”, per come unisce una fumosa ballata pianistica con due rap frenetici e un assortimento di beat: è il tipo di grandeur per cui è giustamente celebrato Kanye West.
Il picco emotivo è invece la commovente preghiera di “Gold Sky”, ma colpisce al cuore anche il dolce motivetto pop di “Running Red Lights”.
Se è possibile associare l’aggettivo curativo a un ascolto musicale, allora We Will Always Love You lo merita, con le sue continue domande sulla vita e sulla morte, con il calore delle sue melodie, la ricchezza di dolcezza e malinconia dei suoi arrangiamenti. Ci mette dinanzi a quello che abbiamo perduto, costringendoci a chiederci chi siamo e cosa vogliamo fare della nostra vita.
È il terzo album di una formazione che si è lasciata alle spalle Since I Left You per rinascere nella ricerca dell’amore, inteso come forza universale e onnipotente, che lenisce le ferite e unisce tutto e tutti.
Accolto ancora una volta con entusiasmo dalla critica, ma con minore successo di pubblico, è il classico album della maturità, peraltro il terzo di una discografia che non ha mai deluso. E pensare che tutto era nato nella convinzione che, in fondo, nessuno avrebbe davvero ascoltato questa strana musica australiana.
Since I Left You(Modular, 2000) | |
Wildflower(Modular, 2016) | |
We Will Always Love You (Modular, 2020) |
Sito ufficiale | |
Testi | |