Pinhdar

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Pitiche visioni

intervista di Giuliano Delli Paoli

Una lunghissima chiacchierata con il duo formato dalla cantante e autrice Cecilia Miradoli e dal musicista e produttore Max Tarenzi, in compagnia esclusiva di Howie B, per farci raccontare la genesi e l’evoluzione del secondo album “Parallel”, tra omaggi alla poesia greca, echi darkwave, e top five da isola deserta. Un disco impreziosito dal sodalizio artistico con il musicista e produttore scozzese, noto per aver collaborato con U2BjörkMassive AttackTrickyEverything But The Girl e una serie ben nutrita di italiani, come Casino Royale, Marlene Kuntz, Elisa e Ofeliadorme.

Avere al proprio fianco un peso massimo come Howie B è un privilegio per chiunque. Com’è nata questa sinergia?
Una volta ultimati i rough mix delle nostre registrazioni, ci siamo chiesti come avremmo potuto farli brillare al meglio. Li abbiamo fatti ascoltare ai nostri amici artisti più stretti e dalle varie conversazioni è venuto fuori il nome di Howie B come “produttore dei sogni”. All’inizio ci sembrava un’idea fuori dalla nostra portata, ma abbiamo voluto provarci lo stesso perché in fin dei conti volevamo il meglio per questo disco, considerato quanto ci era costato registrarlo in termini emotivi. Abbiamo quindi scritto al suo manager e tutto è successo in modo rapido. Howie ha ascoltato il materiale e si è subito detto entusiasta di poterci lavorare. Le prime videocall su Skype per noi sono state incredibili, oltre che divertenti: quando ti capita di vedere Howie B che balla sui tuoi pezzi? È stata un’esperienza bellissima, la lontananza fisica non è mai stata un ostacolo, perché comunicavamo intensamente con le chat e le videochiamate e abbiamo raggiunto presto una sintonia musicale, oltre a quella umana. Si è dimostrato quello che già sapevamo essere: un artista di grande esperienza, molto sensibile e rispettoso del nostro lavoro. Il suo contributo è a diversi livelli: ha dato la sua firma al suono dei mix, ma è prima intervenuto nei diversi strati degli arrangiamenti, spesso in modo quasi subliminale ma che nell’insieme ha reso il tutto più coeso e coerente con la vibe che cercavamo.

Il vostro nome d’arte è un omaggio al poeta lirico greco Pindaro, considerato tra i più articolati e complessi dell'antichità. Perché questa scelta? Potreste anche indicarci la sua poesia a cui siete legati, spiegandoci anche il motivo?
Perché è il più immaginifico dei lirici greci. 
La sua grandezza non consiste nei legami logici comuni ma nella fantasia, nello slancio delle mille immagini che utilizza: i luoghi fisici e metafisici che creano paesaggi irreali, ultraterreni e quasi stellari, i cosiddetti “voli pindarici”, appunto i viaggi in universi paralleli.
 La sua poesia a cui siamo più legati è la Pitica 8: “Effimeri noi siamo: che è mai la vita? Che è la morte? Sogno d'un'ombra è l'uomo. Quando però su lui scenda un raggio divino, allora anche la luce mortale è fulgida, e dolce è la vita sua”. Ci piace perché mette a nudo la fragilità delle vite umane, che sono solo un soffio di vento, a meno che non siano inondate dal raggio divino che è il momento in cui l’uomo crea un’opera artistica. 


Anacreonte, altro grande poeta del passato, spunta invece nell’open track. Perché proprio lui?
Perché esprime artisticamente ma in modo molto umano le paure, della vecchiaia ad esempio, e sopra ogni altra quella della morte, con uno sgomento per il “terribile baratro, da cui è stabilito che chi scende non risalirà più”. Abbiamo affrontato le paure partendo dalla più universale per risalire, traccia dopo traccia, verso le speranze e la luce. Un po' come fossero gironi danteschi.



Nella "Pitica I" di Pindaro, la musica e il canto sono intesi entrambi come l'elemento unificante che conferisce ordine e armonia all’universo. Ebbene, quando vi siete avvicinati alla musica? E, secondo voi, quale potrebbe essere la principale armonia che essa conferisce all'universo? 
Ci siamo avvicinati alla musica da ragazzini, prima con studi ed esperienze musicali varie, poi con l’incontro e la nostra  amicizia nonché con la nascita della rock band Nomoredolls con cui abbiamo registrato tre album e fatto vari tour in Usa e Uk. Quando la band si è sciolta, abbiamo creato un festival (A Night Like This), in modo da poter assorbire altra musica, crescere artisticamente e reinventarci.
 La musica ci ha sempre guidato e in qualche modo “salvato“ dai nostri buchi neri, poiché pensiamo che sia un potente strumento per muovere l’anima e comunicare direttamente con essa attraverso un linguaggio di bellezza universale. L’armonia che regala all’universo trova la sua fonte principale nel misterioso abisso delle emozioni, dei sentimenti e delle passioni che ci proiettano nel tempo e ci uniscono come esseri umani.


Da dove provengono le atmosfere "darkwave"?
Cerchiamo di scrivere e registrare con la mente il più possibile libera da riferimenti. Preferiamo o meglio proviamo a far sì che le nostre influenze escano in modo inconscio e si mescolino per elaborare una nostra soluzione. La darkwave, certo, fa parte di noi. Amiamo i Cure, soprattutto quelli di “Seventeen Seconds”, ma anche il dark di artisti più attuali come Chelsea Wolfe. Le atmosfere di tutto il disco, non solo della title track, sono poi state pesantemente influenzate dal periodo che vivevamo: abbiamo registrato in pieno lockdown, con tutta l’enorme tensione di quelle prime settimane che si riversava nella musica. Un aneddoto su di un brano in particolare non l’abbiamo perché abbiamo affrontato il disco tutto insieme, portando avanti le canzoni come un’unica creazione e attraversando anche momenti di crisi non da poco: più volte ci siamo fermati e abbiamo ricominciato tutto da capo finché non abbiamo finalmente sentito che le canzoni ci rappresentavano fino in fondo. 


Tutte le canzoni sono titolate in inglese, ad eccezione di “Corri”. Perché?
Cecilia compone i testi in inglese, di solito dopo aver sviluppato una melodia, quindi dopo la musica. Con questo disco non è sempre andata così, anzi, a volte testi e musica si sono “formati” contemporaneamente, quasi si nutrissero gli uni dell’intensità dell’altra. È il caso di “Corri”, dove l’incedere ritmico delle percussioni nel ritornello e l’immagine dolente, quasi un lamento del pianeta, hanno portato a visualizzare letteralmente il titolo. Non solo come esortazione ma come se correre fosse l’unica attività rimasta possibile per l’uomo e la sua salvezza, così il “grido” è uscito nella nostra lingua, l’italiano.


Ascoltando le canzoni di “Parallel” viene da pensare a un viaggio nell’Ade organizzato per sbarazzarsi dei demoni saliti in cattedra in quest’epoca così difficile. E’ anche così o c’è soprattutto dell’altro?
È così, non a caso “Anacreonte” è la prima canzone dell’album e conduce verso una personale e introspettiva discesa agli inferi. 
Via via che si dipanano le otto tracce, questa discesa tocca paure, fragilità, demoni personali e dell’umanità in generale, per poi risalire verso la luce in un viaggio che è letteralmente un volo pindarico, fino all’ultimo brano “The Hour Of Now”, che non a caso chiude il disco senza porvi la parola fine, con una coda distopica ma piena di speranza.


La copertina, elaborata dalla visual artist Elisabetta Cardella, “riflette l’introspezione ombrosa dei testi”. Com'è nata?
Con Elisabetta ci siamo sempre confrontati cercando di rendere l’idea della realtà parallela senza cadere nella fantascienza. Le abbiamo dato riferimenti sul mood e sui colori che dovevano accordarsi alla musica e pian piano è emersa questa casa (emblema di sicurezza) arroccata sull’acqua (elemento instabile) con un forte simbolismo del tempo che stiamo vivendo e la fuga verso una realtà parallela.

“Too late (a big wave)”: è un modo per dire “ragazzi, è troppo tardi e la grande onda ormai ci ha già spazzati via”?
In parte, sì. Ogni brano dell’album parte da un’esperienza personale per descrivere metaforicamente un problema più generale. In “Too Late (A Big Wave)” abbiamo un errore a seguito di un incontro che travolge il destino di chi racconta, incapace di contrastarne gli esiti. Ecco che un evento paralizzante come una grande onda spazza via la chance di compiere scelte diverse a livello personale ma anche per la Terra, lasciandoci aridi. La speranza è che non sia troppo tardi.


“Hidden Wonders”: tra un sussurro e l’altro, sembra quasi prendere forma una lenta ascesa, quasi come se la luce in fondo al tunnel iniziasse a mostrarsi. Insomma, quali sono le meraviglie nascoste a cui alludete?
“Hidden Wonders” tratta il tema di una vita quotidiana, fatta di routine e grigia solitudine, dove si sfiora l’idea del suicidio ma questa viene cancellata dai desideri segreti che ciascuno di noi ha in un angolo del proprio cuore, sussurrati e poi lasciati volare (nello stacco vocale con cui il brano vira bruscamente come atmosfera verso la luce e la gioia), rappresentati da una mano tesa a cui aggrapparsi per non scivolare, che per noi è la musica.

Una top five a testa dei dischi che vi hanno cambiato la vita e per quale ragione.

Max:
“Paranoid”, Black Sabbath: è il motivo per cui ho iniziato a suonare la chitarra.
“Seventeen Seconds”, The Cure: l’ho ovviamente scoperto dopo la sua uscita. Mi ha iniziato alla darkwave.
Hounds Of Love”, Kate Bush: fantastica opera d’arte, canzoni immortali con quel lato A e lato B che sembrano due dischi diversi che si completano l’uno con l’altro. Unico nel suo genere, oggi impensabile. Mi ha fatto innamorare delle voci femminili.
Third”, Portishead: uno dei dischi più riusciti di sempre, a mio avviso. Perfetto nei suoi equilibri e libero da qualsiasi peso inutile. Una botta emotiva che ha inoltre il potere di far apparire ogni cosa che provo a fare sempre troppo banale al suo confronto. Very frustrating!
Kid A”, Radiohead: per gli stessi motivi di “Third”.

Cecilia

“Shadows And Light”, Joni Mitchell: perché ho imparato a cantare grazie a lei.
“Revolver”, The Beatles: l’album più sperimentale dei Beatles, che rimane un riferimento.
“The Man Who Sold The World”, David Bowie: perché ha insegnato al mondo cosa vuol dire sapere essere veramente alternativo.
“Third”, Portishead: per gli stessi motivi di Max, inoltre sentirlo dal vivo mi ha cambiato la vita.
Skeleton Tree”, Nick Cave and The Bad Seeds: per la potenza dei testi.

Pregi e difetti di entrambi.
Cecilia: Max è poco incline alle relazioni sociali, che a volte aiutano. Come maggior pregio, direi la sensibilità che si riflette nella sfera artistica.
Max: Cecilia è una finestra sul mondo, non solo musicalmente. Vibra in sintonia con il pianeta e forse è per quello che quando ti legge dentro, difficilmente sbaglia. Il peggior difetto è sempre la sua capacità di scannerizzarti perché non mi piace quando questo superpotere viene esercitato su di me!



Che programmi avete per il futuro?
Cerchiamo di rimanere concentrati sul presente. Nonostante questo, stiamo preparando il live, vestendolo anche con dei visual interattivi progettati appositamente per questo album, anche se ancora non sappiamo se il live sarà limitato ai soli streaming (siamo già nel cartellone di NMER Festival, evento dream-pop/shoegaze argentino che si terrà in aprile) oppure se finalmente potremo tornare in tour. In quest’ultimo caso, prevediamo di ampliare il nostro organico con il polistrumentista Alessandro Baris alla batteria.

Howie B

howie_b.Com’è nata la collaborazione con i Pinhdar?
E’ avvenuto tutto in maniera molto semplice e spontanea, grazie anche alla mia amica Francesca Bono. Mi è stato chiesto di ascoltare la loro musica e l’ho trovata fin a subito davvero incredibile. Tutto è nato in pieno lockdown, nei primi giorni di questa maledetta pandemia. Le conversazioni sono avvenute via mail, via messenger, in videochiamata, praticamente "ovunque". Nonostante la distanza fisica, c’è stata immediata sintonia. Per me non è affatto stato il classico lavoro di missaggio. Essendo il nostro feeling costantemente alto, mi sono sentito libero di intervenire più approfonditamente. Ho lavorato per due mesi, ogni giorno per diverse ore e finanche nel weekend, alternandomi in un altro progetto importante ancora in cantiere. Le nostre intense conversazioni puntavano solo a raggiungere il meglio per tutti. Sono stato anche molto accondiscendente, perché ho grande stima di loro. Ho quindi seguito buona parte delle loro disposizioni con grande gioia. Quando poi mi è stata detta la deadline, ossia di consegnare tutto entro settembre, conoscendo i miei tempi mi sono un po’ preoccupato, poi mi sono detto “ok, lo faccio”. E così è stato. Confesso infine che “Parallel” è uno dei dischi di cui sono più fiero. La musica dei Pinhdar è meravigliosa e stimola intensamente l’immaginazione. E quest'ultimo, per me, è un aspetto tutt’altro che marginale.

So che sei molto legato all’Italia...
Ho un rapporto bellissimo e intenso con la musica italiana e con l’Italia. Tutto è iniziato verso la fine degli anni 90. In quegli anni, mi trovavo spesso nel vostro paese per esibirmi come dj. Milano, Roma, la riviera romagnola: non potrei mai dimenticare quei momenti meravigliosi. In quel periodo, ho anche collaborato con Elisa. Ho sempre imparato molto dalle collaborazioni con i musicisti italiani, essendo di base tutti molto diversi da me e quindi ricchi di cose nuove da scoprire. Lavorare poi in album altrettanto differenti tra loro, come ad esempio quelli di Elisa e dei Marlene Kuntz, ha ulteriormente amplificato questo aspetto. Ho avvertito quasi con tutti una grossa libertà di interazione. Un’armonia talvolta rara, che diventa poesia nelle pause pranzo. Il vostro paese ha davvero un posto speciale nel mio cuore.

Pensando appunto agli anni 90: quali sono stati, secondo te, i cambiamenti più significativi nell’industria musicale negli ultimi trent'anni?
Sotto l’aspetto economico i cambiamenti tra gli anni 90 e oggi sono stati notevoli. L’industriale musicale ha subito un aumento dei costi spaventoso, a cui è seguita una diminuzione media dei ricavi. Uno squilibrio che ci ha portati dove siamo ora. Vivere di musica oggi non è affatto semplice come poteva esserlo vent’anni fa. Le opportunità sono cambiate. E’ tutto più semplice da un lato ma meno remunerativo dall’altro. Oggi, per dire, puoi lavorare anche viaggiando in treno. In questo senso, credo sia stupido rinunciare ai vantaggi offerti dalla tecnologia. Insomma, sono tutt’altro che un integralista. Mi apro continuamente a nuove esperienze. Ad esempio, un tempo nel mio studio c’erano tantissimi strumenti. Per suonare dovevo muovermi in continuazione. Mentre oggi è tutto più snello e immediato. Anni fa era anche più facile perdere qualcosa, invece adesso puoi salvare tutto comodamente senza mai correre il rischio di perdere per strada qualche buona intuizione. Ebbene, questi progressi mi rendono felice, ma allo stesso tempo non posso farmi dimenticare quanto sia grave e in costante peggioramento la situazione complessiva.

Come hai trascorso l’ultimo periodo? E soprattutto: quando ci regalerai un nuovo album?
Sono stato tantissimo tempo nel mio studio in Francia. Ho lavorato molto al mio nuovo album che uscirà a breve. E’ praticamente finito, manca giusto qualche accorgimento. Ho inoltre contribuito anche in alcuni progetti paralleli in Asia. L’importante è non stare mai fermi e provare a essere ottimisti, nonostante tutto.

Discografia
 Pinhdar (The Beatbox Saboteurs Radio & House Of Beauty, 2019) 
Parallel (Fruits de Mer, 2021) 
pietra miliare di OndaRock
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Streaming

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