08-11/11/2012

Club To Club

Vari, Torino


Due piccole premesse necessarie:

- chi vi scrive è una persona che non ha ancora il dono dell'ubiquità, il festival che vedrete raccontato è il festival vissuto da un utente più che da un "giornalista", non amo il completismo ma le cose che mi piacciono,  a sfavore del dovere di cronaca;

- chi vi scrive ama profondamente da anni andare a ballare, divertirsi e godere ascoltando chi suona, non considerando prioritaria la padronanza tecnica ma facendo valere in compartecipazione gusto personale e riuscita dello spettacolo. 

Giorno 1: Pastorale inglese

Torino ci accoglie con un clima mitteleuropeo freddo e piovoso memoria della scorsa edizione, mi ricorda che spesso si riprende da dove si è lasciato, con nuovo entusiasmo e voglia di guardare un passo più avanti. Il programma di questa edizione è succosissimo, pieno di nuovi nomi e poche vecchie glorie, fedelissimi in questo gli organizzatori, al motto del festival: "The Future Is Yet To Come".
Per ragioni che sarebbe tedioso spiegare non presenzio all'evento inaugurale al Teatro Carignano e più in generale alla serata di giovedì, così il mio festival inizia di venerdì con 20 Years Of Axis da un lato e Hyperdub Night dall'altro, avendo scartato aprioristicamente Mano Le Tough e Meyer al Gamma, troppo poco notturni. I festival sono fatti di scelte e venerdì notte è molto buia.

In tema di scelte, pur avendo amato molto il disco di Actress, devo fare i conti con il mio animo di uomo della techno e regolare una mancanza con Karl O'Connor. Credo sinceramente di non aver mai sentito qualcuno suonare così, aver goduto così tanto, aver percepito l'animalità dell'uomo. Dopo aver concesso qualche minuto in più all'opener Claude, facente parte della banda piemontese di giovani dj - il quale se ne è passato con stile nel giro di 4 cambi da un funk motorizzato a una spazzolatura techno di gran finesse (anche se troppo spesso vittima del giochino metti-la-cassa togli-la-cassa) - l'inglese si mette ai controlli, un tipo tranquillo dallo sguardo glaciale, uno che ha aperto i canali e ha girato 50 minuti di musica altra.
Una techno che lavora su un solo livello gigantesco, che è oltre il concetto di tunnelling, con sole due brevissime pause dall'alto sonoro, due aperture dove il capo ha portato tutti sopra sopra al cielo, svuotando e addolcendo per poi ricominciare la battaglia senza pietà.

Regis si conferma La Cosa Techno, l'apostolo di una drammaticità cupa che riunisce la chirurgia Hood-iana, il nichilismo hardcore e una personalità in grado di traghettare tutto su un piano unico.
Jeff Mills arriva ai controlli e comincia cercando subito il martello, laddover O'Connor aveva lasciato un solco, ma il confronto è impietoso e la signora Hyperdub mi aspetta.

Giungo all'Hiroshima, nella seconda sala suonano gli ultimi brani i Disclosure con la loro techno gommosa tagliata house, danno prova di saper comandare un pubblico euforico e ben ricettivo, inasprendo e rivelandosi adattabili ad un pubblico da festival. Nella sala principale il capo dei capi Kode9 gira grime, footwork, dub gigante, 2step da 4 grammi e un megatone di break ed è come andare al circo, la luce dopo la notte di Regis. Ne prendo due, grazie.
Alle cinque si comincia a svuotare la pista, si chiude come fosse il 1996 e la jungle non fosse mai passata.

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Giorno 2: Le correzioni

Il bello degli accrediti e dei festival è che sommati danno un risultato di grande difficoltà logistica: la libertà di fare quel che ti pare.
Finisce così che si spende il pomeriggio a far niente, si passa in fondazione per Kate Wax che insomma anche no e speriamo abbia invitato Holden a cena per quel remix incredibile, si va in bocciofila a mangiare formaggi, lasagne, salsiccia al vino, dolcini, moscati e si arriva al Lingotto con la fierezza del mangiatore mentre Sascha aka Apparat ti ricorda che bisogna essere flessibili.
Il ragazzo ci aveva abituato a morbidezza ed eleganza, dietro al deck del gran finale invece sta smazzando techno granulosa che unisce energia e spazialità. Finisce in gloria, acclamazione per lui e tutta la main room "put your hands in the air hop hop". Ma intanto noi siamo in fila al guardaroba, il posto migliore per ascoltare una performance abbastanza anonima.

Il dispiacere di aver perso l'esibizione di Clark viene compensato dall'anedottica comica che segue il live di Nina Kraviz, le cui foto circoleranno a breve. Qualcosa di ridicolo, che ha a che fare molto più con la spazzatura o l'infamia che con la musica, a riprova dei miei secolari dubbi sulla qualità della producer. Bene.
In tema di giudizi negativi in sala rossa ci sarebbe stato John Talabot ma è l'alone soporifero si spande per tutto il lingotto, dentro e fuori e si merita la mia disattenzione. Devo decidere però se seguire il futurista SBTRKT o il veterano Scuba. La scelta viene gentilmente obbligata dai ragazzi della sicurezza che impediscono l'accesso fluido e libero alla seconda sala, già troppo piena in attesa dell'uomo in maschera. Con il cuore a pezzi e un vodka tonic in mano trotterello smarcandomi tra la folla verso la main room.

Sale ai comandi Paul Rose aka Scuba e succedono due cose intrinsecamente correlate tra loro:
1. arriva il funk
2. divento uno zarro

Rose, mollate le redini dubstep mistico da qualche tempo, incomincia a mettere in riga una quantità indecente di tagli techno, funk motorizzato, uk-house e puzza di scantinato. La sala grande suda come era impensabile succedesse, risposta pronta sotto il deck e sciabolanza sopra, lui si muove come un dj tamarro di primissima categoria: tocca i controlli al minimo, suona lontano dai dischi, è un ragazzone inglese che fa quel che gli pare fino a metà live, quando dentro ai cervelli dei presenti viene retroproiettata l'immagine di copertina del Mercy Ep a firma Boddika & Orbison.
Succede l'inevitabile. Mercy è un floorfiller indecente, suona grossissima, Scuba la fa crescere, la sega, la lancia, è gioia techno. Poi non lo so bene, sono entrato in un misticismo da clubber anziano che ormai beve anche poco, in sala rossa si racconta di un gran pregio ma ormai ero rapito, perso, scomparso, un djset muscoloso e fisico senza essere volgare, adatto ad un festival ma non svenduto, messo assieme con intelligenza e stile.

Esco dalla bolla e tento di convincermi che si, posso sopravvivere a Dettmann, posso continuare a divertirmi. Scuba lascia la postazione con il pubblico al settimo cielo mentre il commesso viaggiatore della O-ton da il via al proprio djset. In sala rossa Rustie fa roba che non sono capace di gustarmi, decido di rimanere in mezzo alla bolgia della cassa dritta per vedere se Dettmann è quello che dovrebbe essere: un capo.
Dettmann, mi sono persuaso, sta vivendo un gigantesco trip, quello di diventare il nuovo Jeff Mills. Cose che contrastano questa sua fissazione:
- Jeff Mills è ancora in attività e malgrado tutto la imbrocca ancora. E diciamolo, potremo criticarlo quanto vogliamo, ma quando la fa girare, tutti girano;
- non è di Detroit, ma Austriaco cresciuto a pane e Berghain;
- non è afroamericano ma caucasico europeo e suona con Nina Kraviz che fuma le sigarette seduta sul palco accanto a lui.

Dettmann è inspiegabile, non ha un viaggio che io riesca a capire, non suona dinamico, non ha belle bassline, è un martello mitteleuropeo che non capisce niente e mi rompe le palle fortissimo.
Passeggio, bevo una cosa, mi affaccio in sala rossa mentre la gioventù che non sono più io si scende grandissimi e maestosi bassi con la chiusura di Rustie seguito da un Ital che si meriterebbe un palco doppio, che suona fortissimo con una varietà di colori e precisione da far invidia ai grandissimi, violento e impazzito che chiude il set spazzolando deephouse come fosse il '97. Applausi, cuori, due live tra le cose migliori del festival.

Alle 4.30 il dubbio assale ferocemente la mente del vostro inviato: Shackleton vs Holden. Shack ahimè non l'ho mai visto dal vivo, la sala rossa è una sauna, James mi ricorda le serate migliori di sempre e l'aria sul main floor è gasatissima. Inizio con l'uomo del deathdub ed è subito incubo. L'inferno si prende ciò che rimane dei presenti, si sondano i disturbi di ognuno e la prima mezzora è da maestro, si svoltano steel drums cave, riverberi che partoriscono percussioni, bassline vulcaniche.
Tuttavia ho un problema enorme: la presenza distratta e disturbante di gente che chiacchera, di gente con la cuffietta che chiacchera, di uomini emaciati con la barba e i capelli lunghi e la cuffietta che chiaccherano, di fighe lesse che si spostano in continuazione da una parte all'altra e immagino chiaccherino, di un pubblico tutto sommato di merda. Che chiacchera e sta lì come se fosse al bar. Mi stanco, ho un'età, sono un clubber burbero non più capace di portare pazienza e vado da James.

James Holden davanti a qualche migliaia di persone è e rimane sempre un ragazzino con un grande viaggio in testa. Si muove, balla, ride e scherza con tutti quelli sotto di lui, nessuno sul palco a far presenza. Sembra che Holden "quelli che ben pensano" se lo caghino poco, come il primo della classe che da fastidio ai Dettmann ottusi del mondo, mente lui sale sul palco con una gioia di stare lì a fare quello che gli piace che è iper contagiosa.
E poi suona come suona Holden, è una crociera dove si parte ma non si arriva in un punto preciso, dove l'idea è il viaggio e le immagini che scorrono affianco, bisogna vedere tutto e lasciarsi conquistare dal mondo. Il set scivola via, con soluzioni più semplici rispetto ai suoi canoni, con un pubblico sfiancato, drogato, preso bene che - come da principio fisico ormai spiegato anche alle elementari - lascia andare boati appena il ciuffo dietro al deck toglie e mette i bassi. Finisce con un viaggio space-disco-Moroder-whatever, finisce una giornata clamorosa, finisce con James stanco e sorridente, felice, tutti felici.

Il futuro deve ancora arrivare.



Giorno 3: Torino|Analogica

L'impatto con il terzo giorno di festival è tranquillo e finalmente privo di pioggia, con qualche boccone di sole per colazione e un ritmo blando ci avviamo verso San Salvario dove all'Astoria vedrà pochissima luce e molto terrore il live del duo Raime. Sicuramente affaticato dai due giorni precedenti e dall'orario non esattamente caritatevole con l'elaborazione di un assalto sonoro del genere, mi sottopongo ad uno degli esercizi fisici più stressanti e potenti degli ultimi anni. Raramente ho trovato così faticoso reggere un live, i due si muovono tra droni sospettosi, locomotive in slow motion e tagli supersonici, si dondolano nella quasi completa oscurità e il basement dell'Astoria diventa un luogo di raro terrore. Bellissimo, inaspettato, di altissima qualità. Ma… concedetemi la grazia se dopo mezzora mi allontano dal live, le mie orecchie e la mia testa cominciavano ad accusare ben oltre la soglia, riprendo le luci della città con un senso di forte disturbo mentale, riallineo la percezione con un felafel da Horas che mi dà del terrone, assieme alle mie compagne di viaggio.

Ci approcciamo alla vera chiusura del festival e al bellissimo Teatro della Concordia di Venaria, l'aria è quella del grande evento e tutti -nessuno escluso- siamo lì in attesa del primo ed unico live in Italia di Steven Ellison aka Flying Lotus. L'orario da prima serata concede espressioni rilassate, gesti di saluto tra i reduci e chiacchere per mettere in fila l'esperienza di questo Club To Club, che finora si è dimostrato ancora una volta uno dei festival più ricchi e meglio organizzati al mondo. Tutti molto contenti per i giorni trascorsi, ognuno con le proprie preferenze, ci facciamo dare una mano da Martyn per digerire.
Martyn è un professore di quelli che ti segnano oltre ad insegnarti, non è di quelli che pubblicheranno mai l'assoluto capolvoro pietra miliare per i posteri, ma è un dj\producer nato e cresciuto in un'epoca sicuramente sbagliata, stretta o troppo larga, dove l'orizzonte scontornato di internet è una follia in cui ci si perde. Lui è uno che sa con grande precisione cosa ama e cosa sa fare, dimostra di essere un principe del ritmo capace di mettere assieme detroit techno, uk-house e chiusure drum'n'bass, spaziando con grazia, dando un respiro al proprio suono incredibilmente caratteristico con l'utilizzo di drum kit sempre dosati perfettamente sulle medie tanto da sembrare non cadere mai, da far perdere l'accento, è uno che sa quanto il funk sia necessario per muovere la pista e che con un garbo raro trasporta per un'ora di bellezza.
Non mancano le note di colore in un festival che sa regalare sorprese, e nel mezzo del set di Martyn compare affianco a chi vi scrive un ragazzone nero dalle spalle larghe e il sorriso delle grandi occasioni. FlyLo si concede mezzora di ballo in mezzo al pubblico, ricevendo calore, pacche sulle spalle, inchini e felicità nel poter vedere e toccare il produttore hiphop più in gamba degli ultimi anni. Uno che, senza troppe remore, si sta imponendo come il degno erede di J Dilla.

Il punto è proprio questo, faccio una digressione rapida. Andare ai concerti, ballare, godersi uno spettacolo è e dovrebbe essere sempre una grande gioia, qualcosa che arricchisce e lascia una positività generalizzata e, da musicista\dj minuscolo quale posso essere anche io, credo che questa felicità parta soprattutto da chi il palco lo calca. Che sia il C2C o lo scalino di qualche localaccio in periferia, non fa più differenza, se si dare qualcosa che vada oltre la musica. Perchè?
Perchè Flying Lotus dal vivo è felicità, è condividere l'energia e la gioia che il ragazzo vive potendo suonare la propria musica, perchè è uno spettacolo di colori e un arcobaleno di visioni grazie ai suoi due compari addetti alle proiezioni, perchè si entra completamente dentro al mondo vario e confusionario di uno che è evidentemente in missione. FlyLo dal vivo è un'ora di sorrisi e stupore, è l'hiphop nella sua forma più riottosa e non violenta, è la vera rivoluzione di tutti i suoni sentiti fino a quel momento, tra esercizi grime, techno, old school, erykah badu e un grandissimo tributo ai Beastie Boys con un drop di Intergalactic che sembrava piovuto dal 2112.

E in realtà viene da pensare che mai motto sia stato più adatto per un festival: "the future is yet to come". Il futuro deve ancora arrivare, ma è già arrivato con il losangelino. Senza troppi dubbi il live più spettacolare e coinvolgente di tutta la rassegna, qualcosa che solca la vita di chi l'ha vissuto.
Finisce il C2C #12, finisce con FlyLo acclamato e il grandmaster dj Kode9 a far vibrare le ossa in chiusura, nella gran festa di chi rimane. Chi vi scrive, dopo una piccola crisi emotiva decide che è troppa la gioia e troppo luminosa Torino fuori dalla nebbia di Venaria, nella prima sera senza pioggia, proprio quando finisce tutto. Tutto bellissimo. Devo ringraziare Elena del C2C, che ha sopportato le mie richieste da cattivo reporter lungo tutti i tre giorni e che ha risolto rapidamente e gentilmente qualche disguido.

Un grazie immenso, un abbraccio gigantesco e un bacione umido al mio fratellino Alberto Asquini che mi ha mandato anche quest'anno in gita al festival più bello che c'è nella città che mi ha adottato negli ultimi 12 mesi.



A Tania, Maria e Francesca.
 
 
 
 

Setlist

Giorno 1:
 
- Karl O'Connor
- Regis
- Jeff Mills
- Disclosure
- Kode9

Giorno 2

- Apparat
- Nina Kraviz
- Scuba
- Marcel Dettmann
- Ital
- James Holden
 
Giorno 3

- Martyn
- Flying Lotus

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