Nel 2000 i Blonde Redhead sigillano il passaggio al nuovo millennio entrando subito in studio con Guy Picciotto (Rites of Spring, Fugazi) e Ryan Hadlock (The Lumineers). Scelgono di registrare nei mesi più freddi dell’anno ai Bear Creek Studio, tra i boschi intorno a Seattle, per realizzare un quinto album che finirà per rappresentare una perfetta sintesi compositiva e sonora della loro discografia, allontanandosi ancora di più dal noise-rock de “La mia vita violenta” (Smells Like Records, 1995), ma restando ancora distanti dalla svolta dream-pop di “Misery Is A Butterfly” (4AD, 2004).
“Melody Of Certain Damaged Lemons” è un album caldissimo. Pieno della sensualità e dell’imprevedibilità delle produzioni del trio, composto dalla cantante/chitarrista/pianista Kazu Makino, di origini giapponesi, dal cantante/chitarrista/bassista Amedeo Pace e dal batterista/tastierista Simone Pace, due fratelli nati a Milano e cresciuti a Montreal. Il luogo della loro trasformazione artistica non può che essere l’underground newyorkese, dove le traiettorie dei tre musicisti si intrecciano a inizio anni Novanta, per non separarsi più.
L’art-rock del trio, e di esperienze coeve come i Cibo Matto, rappresenta idealmente l’anello di congiunzione tra diverse generazioni, quella che riflette sul “post” del rock di band come Sonic Youth e Swans – influenzate dal suono e dalla pratiche della no wave e di chitarristi-sperimentatori come Glenn Branca e Rhys Chatham – e quello di band da un profilo altrettanto personale nel contesto del post-punk come Yeah Yeah Yeahs, Liars, Tv On The Radio e Battles, che emergeranno da New York negli anni Zero.
Il titolo riprende un’espressione che nello slang americano significa “avere l’auto in panne”, ed è così che la band vede lo sviluppo delle proprie melodie. Emblematica di questo andamento spezzato e allo stesso tempo sinuoso è, a inizio scaletta, “In Particular”, quintessenza dello stile Blonde Redhead: un brulicare di suoni e trilli di chitarra su una ritmica asciutta priva di sferragliate di piatti – il charleston è chiuso – e contrappuntata dal battito delle mani, familiare agli Stereolab, dove a un certo punto le melodie si fanno unisone. Canta Kazu:
Lying on my back, I heard musicAltri brani scorrono imperiosi e nervosi, accompagnati dalla voce nasale di Amedeo, spesso doppiata da chitarre e sintetizzatori come in “Melody Of Certain Three”, o aperta a momenti di dissonanza come in “Loved Despite Of Great Faukts”, lasciando spazio a dilatazioni improvvise del tempo e del suono, come nelle ballate cantate da Kazu, “Hated Because Of Great Qualities”, magnifica canzone desiderante e oscura piena di respiri e di attese, o la minimale “For The Damaged”, in cui la voce è accompagnata dal pianoforte e dalla chitarra acustica:
Felt unsure and catastrophic
Had to tell myself it's only music
It blows my mind, but it's like that
Secret, so sorry, but I forgotI timbri di Amedeo e Kazu si incontrano in brani dall’afflato post-rock, come “A Cure”, tra battiti e morbide note di slide; contemporaneamente fanno capolino episodi più briosi come “This Is Not”, memore del sound robotico di Devo e Residents, o più noise come “Mother”, segnata dalla deflagrazione sonica della no wave.
Secret, secret, we are bound to forget
I was worried I might be rude to you
So worried that I wasIt's a lie to serve the truth
And I'm still guilty
Oh, I missed
So be it
27/06/2021