Terence Trent D'Arby

Introducing The Hardline According To Terence Trent D'Arby

1987 (Columbia)
soul, funk, r&b

Tipetto particolare, Terence Trent D'Arby - ve lo ricordate? Sono passati diversi anni ormai, quel nome oggi non esiste neanche più, ma c'è stato un periodo durante il quale la sua voce era una delle più istintivamente riconoscibili di ogni frequenza radio e tv. Questa è la storia di un uomo, di un artista e delle tribolazioni di un talento tanto prorompente quanto incompromissorio.

Nato a Manhattan, New York nel 1962, Terence è il figlio illegittimo di Frances Howard, una cantante afroamericana gospel profondamente religiosa, e di un uomo già sposato e probabilmente bianco col quale non avrà alcun rapporto. Una situazione pesante per la madre, ma l'aborto ovviamente è fuori discussione per via della fede, così il piccolo Terence inizia il proprio percorso sulla Terra portandosi già appresso una lunga e complessa serie di strascichi emotivi, sociali e culturali. Il bimbo cresce col padre adottivo James Benjamin Darby, che di mestiere fa il prete, e gli altri quattro figli legittimi della coppia. Come per ogni famiglia imbevuta nella vita di chiesa, l'infanzia del piccolo Terence è al contempo gregaria quanto vagamente alienante, rigida e soggetta a un forte senso dell'ordine e della disciplina.

(...) ho passato gran parte della mia vita sentendomi inconsciamente in competizione con Gesù per ottenere l'attenzione di mia madre. Il che è difficile, perché prima di tutto non potevo vederlo, se non in raffigurazioni, e secondo perché lui non era mai veramente lì, ed è difficile competere con qualcuno d'invisibile.
Con l'arrivo dell'adolescenza, il ragazzo si trova a sfogare tutta l'energia repressa tirando di boxe, ed è talmente bravo che a diciassette anni vince i Golden Gloves in Florida nella categoria pesi piuma. Da lì a farsi reclutare nell'esercito è un attimo, ed eccolo stazionato a Francoforte nei primi anni 80, nello stesso reggimento nel quale servì un certo Elvis Presley. Ma la carriera militare per Terence dura poco, il ragazzo è troppo testardo per prendere ordini da gente che, a detta sua, reputa "meno intelligente", e dopo una serie di moniti viene ufficialmente dimesso a calci in culo e si ritrova, da solo ma finalmente libero, a strascico per l'Europa.

Fortuna che c'è la musica; cresciuto tanto col gospel che passava in famiglia quanto assorbendo come una spugna l'arte di Sam Cooke, James Brown e Jimi Hendrix, il giovane Terence ha una naturale predisposizione al ritmo e alla melodia e si destreggia con naturalezza tra chitarra, pianoforte, sassofono e percussioni.
Ma soprattutto il ragazzo è posseduto da una ferrea visione artistica che lo guida come un faro nel buio. Chiunque lo incontri, in quegli anni, ha l'impressione di trovarsi di fronte a un ego di proporzioni napoleoniche, ma per Terence questo è solo il naturale assecondamento di un'irruenza comunicativa che gli sta esplodendo nel petto. C'è un aneddoto in particolare, raccontato da lui stesso anni più tardi durante un'intervista, che sfiora il limite del tragicomico ma che, vero o meno che sia stato, rende sicuramente l'idea di cosa stesse frullando nella testa del giovane artista in quegli anni: la notte dell'8 dicembre 1980 Terence sogna di camminare per le strade di New York e a un certo punto incontra John Lennon, fa per allungargli la mano ma questi gli passa attraverso come un fantasma. Terence si sveglia il mattino dopo con la notizia dell'assassinio di Lennon in prima pagina su tutti i giornali. Detta con parole sue:
Dall'età di diciotto anni ho avuto una forte percezione su quello che sarebbe dovuto succedere nella mia vita. Posso solo dirlo con relativa umiltà: mi sono sempre sentito un Beatle
Con una convinzione del genere, il destino si scrive praticamente da solo. La sua prima band si chiama The Touch e nel 1984 viene pubblicato in Europa un album chiamato "Love On Time", lavoro a cavallo tra synth-funk e boogie che ottiene zero successo ma mette in mostra indubbie doti vocali e un'irrefrenabile sete di palcoscenico. Nel giro di mesi Terence atterra in Inghilterra, la nazione nella quale incontrerà il suo successo più duraturo nel corso della carriera - tantissimi ascoltatori, soprattutto in un'America che impiegherà del tempo per riconoscerne il successo, saranno convinti per anni che Terence Trent D'Arby è un nativo inglese.
L'incontro con Martyn Ware, già nei ranghi di Human League e Heaven 17, convince la Columbia a mettere il giovane sotto contratto. La sinergia funziona all'istante, Ware proviene dal synth-pop ma ha appena lavorato con una risorta Tina Turner e non ha paura di misurarsi con personaggi dalla vocalità imponente e l'uso di chitarre rock. Terence mostra una dedizione religiosa al lavoro in studio, rifinendo ogni dettaglio della propria dialettica prestando una cura maniacale tanto alla stesura delle canzoni quanto al modo in cui intende presentarle sul palco, nei videoclip e attraverso la propria immagine.

Il risultato è un album di debutto dal titolo onestamente ai limiti del ridicolo - "Introducing The Hardline According To Terence Trent D'Arby" - ma nel quale l'autore crede ciecamente, al punto che lo annuncerà alla stampa con una delle boutade più celebri dell'epoca:
Questo è il disco più importante dai tempi del "Sgt. Pepper's" dei Beatles!
Il che è chiaramente opinabile, soprattutto se si confronta suddetto caotico zibaldone psichedelico con la snella e puntuale produzione della musica di D'Arby. Ma è proprio questo suo tocco a cavallo tra il classicismo del vecchio rhythm'n'blues anni 60 e 70 e la frenesia tecnologica dell'arrivismo industriale dell'era Reagan/Thatcher a fare del lavoro un capitolo a sé stante.
In un panorama dell'epoca preso d'assalto da Prince, Madonna, Whitney Houston, Michael & Janet Jackson, e i fragorosi battiti del new jack swing, il nostro Terence entra in contropiede come il più ambizioso sogno a occhi aperti di ogni discografico. Non potrebbe essere altrimenti; con quel volto angelico coperto da una cascata di treccine e un chiodo di pelle indossato sul fisico asciutto e scattante, il ragazzo trasuda una maschilità carnale da tutti i pori, ma mantiene un portamento elegante da gentleman d'altri tempi. In pugno tiene una manciata di canzoni immediatamente riconoscibili, e le intona con una voce fuori categoria: un timbro vibrante come il blues più nero ma anche dotato del fiato per inseguire gli instancabili melismi del gospel, e con in più tutta l'eccitante energia ad ampia portata del rock da emittente radiofonica. Sia attraverso un muro di chitarre elettriche che durante i momenti a cappella, D'Arby è una rockstar in grando di comandare l'attenzione dell'ascoltatore con invidiabile naturalezza.

In soli tre giorni dall'arrivo sugli scaffali, "Introducing The Hardline" ha già smerciato un milione di copie a giro per il mondo, a dimostrazione di un fibrillante apprezzamento di pubblico perfettamente imboccato dalla Columbia e da un'eccitata Mtv che trasmette i suoi videoclip in rotazione fissa.
Tra trascinanti e scalmanati singoli funk quali "If You Let Me Stay" e "Dance Little Sister", e momenti più asciutti ma mai parchi di agganci accalappia-orecchie come "Wishing Well" (che in America tocca il n. 1 di Billboard nel 1988), Terence si dimostra un entertainer a tutto tondo, vocalmente esuberante e dotato della fisicità necessaria a far spettacolo giocando con l'asta del microfono proprio come faceva il suo idolo James Brown.
Ma è con l'altro grande successo di "Sign Your Name" che il novello Divo mette in mostra un registro più suadente, intonando il memorabile ritornello sopra un delicato intarsio ritmico tropicaleggiante - il celebre videoclip di accompagnamento, diretto da Vaughan Arnell, trasuda malinconia e intesa sentimentale, catturando con innata poesia la delicata e spesso fraintesa complessità di un animo maschile in pena, e rimane uno dei più toccanti dell'epoca. E sempre parlando di maschilità, "I'll Never Turn My Back On You (Father's Words)" arriva diretta come un colpo allo stomaco: una conversazione tra padre e figlio, due uomini distanti e indipendenti come società comanda, eppure legati da un mutuo rispetto e un amore che pare appena accennato ma che poi scorre più profondo di un oceano.

A mettere in mostra l'ispirata scrittura di D'Arby ci pensano "If You All Get To Heaven" e "Seven More Days", canzoni dalla struttura più complessa ma mantenute saldamente in piedi da una serie di interpretazioni vocali capaci di palleggiare in continuazione dal piratesco all'implorante e poi lanciarsi in vorticosi crescendo gospel. Terence il romanticone non fa prigioniere su "Let's Go Forward", canzone che potrebbe essere una romanza di Teddy Pendergrass, poi rialza la tensione su "Rain" tramite un'asciutta ossatura sintetica che mostra il Dna di un melodismo sempre dannatamente efficace.
Il colpo di coda lo danno le ultime due tracce; i quasi sei minuti totalmente a cappella di "As Yet Untitled" sono la virata artistica che non ti aspetti ma nella quale è facile perdersi all'inseguimento della voce di Terence che crea vortici e silenzi nell'eco di una chiesa vuota. Nel momento in cui la band riattacca al completo si ha come l'impressione di aprire gli occhi per la prima volta, ed eccoci trasportati verso la conclusione sulle note di "Who's Loving You", unica cover in scaletta, originariamente scritta da Smokey Robinson ma resa celebre anche nella versione dei Jackson Five. Insistenti chiacchiere dietro le quinte raccontano di un eternamente competitivo Michael Jackson che entra in paranoia di fronte a questa nuova interpretazione, e francamente non lo si può nanche biasimare perché Terence si arrampica su quella melodia con la scioltezza di un acrobata, sudando con passione tutto il dolore per un amore così puro e fragile - e tacciamo di quando la presenta dal vivo.

Per la fine del ciclo discografico, "Introducing The Hardline" ha smerciato oltre cinque milioni di copie al mondo, collezionato un Grammy e consegnato una manciata di singoli alla rotazione radiofonica per diversi anni a venire.
Agli occhi di tutti, insomma, Terence Trent D'Arby è il nuovo Divo del soul anni 80, accanto magari al George Michael solista che sempre nell'87 ha pubblicato "Faith".
Così due anni più tardi Terence consegna il suo personale canto del cigno, lo strabordante e straripante "Neither Fish Nor Flesh: A Soundtrack Of Love, Faith, Devotion & Destruction", un lavoro ancora una volta altisonante sin dal titolo e stavolta percorso da intricate sonorità barocche e istanze progressive - a conti fatti, un fulgido antesignano del concetto di "soul alternativo" che nei decenni successivi sarà destinato a influenzare tanto la cricca neo-soul capitanata da D'Angelo e Maxwell quanto outsider di lusso quali Bilal, Van Hunt e Miguel.
Ma nel 1989, le astruse sottigliezze autoriali di un uomo afroamericano non sono all'ordine del giorno, anzi: incompreso dalla casa discografica e largamente ignorato dal pubblico, "Neither Fish Nor Flesh" si rivelerà uno dei più clamorosi tonfi commerciali di tutto il decennio Ottanta, sancendo immediatamente la fine del successo per un artista che, nell'immaginario collettivo, rimarrà per sempre solo e unicamente quello di "Introducing The Hardline".
Terence Trent D'Arby è stato ucciso nel 1989!
Dichiara lo stesso autore con un dente avvelenato che, a tutt'oggi, pare non essersi ancora risanato. In quello stesso anno, infatti, arriva "Let Love Rule", debutto di un altro figaccione afromericano dal nome di Lenny Kravitz, il nuovo rocker del momento destinato a domare gli interi anni 90 raccogliendo quei plausi di pubblico che a D'Arby sono stati negati. Tra i due artisti si instaura un rapporto misto tra stima e invidia - D'Arby non nega di essere profondamente amareggiato dal voltafaccia ricevuto dalla Columbia, mentre Lenny, sotto Virgin, ha modo di crescere lentamente album dopo album, cementando la propria carriera in una milionaria botte di ferro nella quale sguazza tutt'oggi.
Certo quest'ultimo è anche un autore molto più accomodante e dalle più umili ambizioni radiofoniche - al contrario di D'Arby, per esempio, Lenny non ha mai richiesto alla propria casa discografica di immergere un pianoforte in una piscina alle tre di notte per registrarne la differenza del suono rispetto a una normale stanza asciutta (!) - il che forse aiuta a spiegare, almeno in parte, i motivi sul perché i rapporti lavorativi, per l'esoso D'Arby, vadano in malora nel giro di un disco appena.
(...) è solo questione di tempo prima che spunti fuori un tuo modello più a buon mercato (...) le case discografice dicono - hey, se ti piace questo stronzo, ti piacerà anche quest'altro stronzo - e con quest'altro stronzo abbiamo un margine di guadagno maggiore. Non ti dicono che, mentre ti fai più furbo e avanzi richieste, stai iniziando il conto alla rovescia alla tua carriera.
Per D'Arby, controllo artistico e completo supporto da parte della Columbia per assecondare qualsiasi sua richiesta è meno del minimo sindacale, ma il mercato discografico non la vede allo stesso modo. Basti guardare a Prince, che sempre nel 1989 passa le giornate a piangere come un vitello mentre la colonna sonora che ha inciso per il celebre "Batman" di Tim Burton lo riconferma uno dei musicisti più ricchi e famosi d'America, come se la cosa gli facesse schifo - a dimostrazione di quanto sia difficile mantenere assieme ego e sensibilità artistica con un pragmatismo per gli affari che richiede anche pazienza e l'abilità di ingoiare qualche rospo.
Mentre Prince può comunque contare su un catalogo dieci volte più ampio, per l'incompromissorio D'Arby l'avventura discografica si fa immediatamente più limitata, proseguendo a singhiozzi fino al cambio di nome in Sananda Maitreya nel '95, il trasloco a Milano, dopo il matrimonio con l'ex-presentatrice Tv Francesca Francone, e il totale isolamento discografico come artista indipendente, che perdura tutt'oggi sotto al proprio marchio Treehouse.

A noi rimangono un'avvincente storia umana, una manciata di aneddoti curiosi, svariate pagine di ottima musica (notevoli anche i successivi "Symphony Or Damn" e "Vibrator") e un debutto rimasto certamente isolato ma dall'indubbia carica emotiva.
Effimero fu giusto il successo del suo autore, perché riascoltare "Introducing The Hardline According To Terence Trent D'Arby" a oltre trent'anni dall'uscita sprigiona ancora tutta la frenetica energia di un giovane uomo colto nel pieno della propria poetica, il perfetto pentagramma di un'era discografica forse spietata ma pur sempre capace di consegnare ai posteri momenti di luccicante bellezza.

Bibliografia:

Newstateman.com
Sanandamaitreya.com
Classicpopmag.com
Albumism.com

Wikipedia.org

28/02/2021

Tracklist

  1. If You All Get To Heaven
  2. If You Let Me Stay
  3. Wishing Well
  4. I'll Never Turn My Back On You (Father's Words)
  5. Dance Little Sister
  6. Seven More Days
  7. Let's Go Forward
  8. Rain
  9. Sign Your Name
  10. As Yet Untitled
  11. Who's Loving You








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