Ci era sfuggito uno dei migliori dischi del 2006 e per questo siamo qui a rimediare. Meglio tardi che mai, come dice il proverbio...
Pubblicato dalla Riot Season, “Jealous Of Shit And Shine” è il capolavoro dell’ensemble anglo-americano, feroce distillato di freak-out psych noise che porta a compimento le intuizioni del precedente “You're Lucky To Have Friends Like Us” (la cui ristampa, riveduta e ampliata con due bonus track, è stata allegata alla prima tiratura del disco).
Gli Shit And Shine sono una band misteriosa (pare che a comandare la baracca sia il trio formato da Larry Mannigan - batteria -, C. Clouse - chitarra, basso, voce e falciatrice (!) - e Frank Mckayhan - basso, chitarra, voce e falciatrice (!). Una band decisa a non lasciare niente di intentato con le sue prodigiose elucubrazioni rumoriste e con i suoi ormai leggendari live act, dove spesso si presenta con un numero variabile di batterie (tra le quattro e le dieci!). E’ un po’ come guardare in controluce una sbiadita polaroid dove a malapena si riconoscono Merzbow, Butthole Surfers, Boredoms, Faust, Sharkbait e Thinking Fellers Union Local 282.
Un’istantanea del nostro tempo, un buco nero al meglio simboleggiato nella mezz’ora terrificante di “Practicing To Be A Doctor” (con un riff possente degli Strangulated Beatoffs), panzer motorik-sludge (Melvins + Earth + Neu!) con punte di frastuono dolente e titanico. Sei batteristi che squadrano il campo da parte a parte; tonfi metallici e sibili acuminati; una voce sommersa con il solito piglio altezzoso e scostante: ficcato giusto lì in mezzo, questo ennesimo esempio di delirio tribale e lisergico manda definitivamente il disco in gloria.
Per dire: se avete già ascoltato i quarantacinque (!) minuti di “Ladybird”, quasi rassegnandovi, senza la speranza di una boccata d'aria, davanti a un trip esasperato e maniacale, allora mettetevi in casa questo gioiello, perché qui dentro c’è tutto lo scibile Shit And Shine, senza riserve! Ascoltatelo a volume massimo, facendo vergognare i vostri vicini di aver gente come voi nel proprio condominio; oppure, sparatevelo in macchina, facendo il tour dei localini più "in", per vedere come si atterriscono gli astanti più fighetti…
Troverete, poi, a rendere il piatto ancora più godurioso, la industrial stenght music dei Chrome filtrata da un delirio di manipolazioni inconsulte (“Here Comes The Vikings”) e il rumore orribile, denso e impenetrabile, della carneficina di mostri di “No Darling, Its A Pentagram”, aberrazione harsh al confine tra una lavatrice e un ottovolante nelle mani di un terrorista. “When Extreme Dogs Go Wrong” è, invece, una danza subumana in cui la sezione ritmica si muove su due piani contrapposti e convergenti: il primo, un metronomico andirivieni metallurgico, a rinverdire i fasti di mastro Leibezeit; il secondo, un battito pantagruelico puntellato dalle distorsioni abrasive delle chitarre. Voci aliene, scampoli di elettronica barbara e cortocircuiti in rewind fanno il resto, prodigandosi per uno dei brani capolavori del 2006.
Si tratta di esperimenti che si piantano nel cervello come virus esiziali, desiderosi di sconfiggerci poco alla volta. Inizialmente, magari, troverete qualche difficoltà ad apprezzarne la “gestualità” vibrante e isterica, salvo poi, evidentemente, abbandonarvi a un tour de force infernale come da tempo non vedevamo materializzarsi. La voce moribonda, la chitarra sbilenca e svogliata (tanti saluti a papà Thompson - insomma, per metà sono pur sempre texani…) e il battito industriale di “Unchained Ladies Shopper” preludono al tunnel pestilenziale di “There Are 2 Bakers Now”, odissea di rigurgiti umanoidi e brandelli di pornografia brutale, peregrinazione ultraterrena tra le rovine della psiche, agonia di morte a passo marziale mentre il nastro diffonde le ultime strampalate dissennatezze di un maniaco. Ovvero, la follia è l’ultimo baluardo prima dell’avvento di una divinità bastarda.
Dal canto suo, “Kitten Mask” stende una corda electro lungo cui scivolano numeri ritmici disgustosamente sintetici, periodicamente messi a soqquadro da spasmi di un videogame d’antan. Altro capolavoro, “Hot Vodka” è disco-music dall’inferno, crogiolo anfetaminico di beat spiraliformi, croonering d’oltralpe strafatto di chissà cosa e chitarre sbandate. E se il valore di un disco si misura anche dal modo in cui scorrono i titoli di coda, allora “Seeing Life Through A Young Mans Eyes”, con il suo piglio sbarazzino e la sua spruzzatina di electro-pop diamantino, dimostra, senza appello, che questo disco è davvero grande.
01/07/2007