Quando è stata chiara la direzione prescelta dai Marlene Kuntz per il nuovo disco, ho subito percepito il rischio più grande: l'accusa di parte dell’opinione pubblica di aver partorito un’operazione nostalgica, accantonando quei tentativi di cambiar pelle che puntavano verso percorsi più “adulti” e meno “sonici”.
Se questa sarà la reazione, avremo l’ennesima prova che nessuno è mai contento in questo paese, che ogni motivo è buono per criticare, persino chi in maniera verace (e sovente tutt’altro che commerciale) cerca di esprimere e diffondere la propria musica.
L’inconfutabile è che, musicalmente parlando, stiamo vivendo un periodo ricco di sguardi al passato: Pierpaolo Capovilla (giusto per prendere un freschissimo esempio) è tornato a suonare hardcore (con Xabier Iriondo, nei Bunuel), e molti mostri sacri dell’alt-rock italiano hanno ridato spazio e lustro alle pietre miliari di vent’anni fa (tanto gli Afterhours con “Hai paura del buio?” quanto gli stessi Marlene con “Catartica”) con tanto di dischi e tour commemorativi.
Torna la voglia di chiudersi in sala prove, come ai vecchi tempi, e suonare spigoloso, mettendoci tutta la grinta possibile, con l’obiettivo di farlo soprattutto per sé stessi, e se là fuori qualcuno gradirà, tanto meglio.
La volontà, durante le session che hanno portato alla scrittura di “Lunga attesa”, è stata quella di spingere sul gas; il risultato è che non solo le chitarre di Riccardo e Cristiano girano che è un piacere (“La noia” pare uscita da “Il vile”), accavallandosi in preziose dissonanze (“La strada dei ricordi” ne è una prova tangibile), ma persino la voce di Godano usufruisce di una rinnovata energia, ancor più evidente quando declama con destrezza nell’efficace “Narrazione”, perfetto e grintoso incipit del disco.
Siamo distanti dagli strascichi stanchi di “Amen” (da “Bianco sporco”) o di certe cover del periodo di mezzo, troppo edulcorate per un pubblico che ha sempre preteso qualcosa in più dai Marlene (rispetto a tante altre formazioni coeve), perché considerata la migliore nel proprio ambito di riferimento, e i fan della prima ora non contemplavano certo la cultura del cambiamento, gridando all’alto tradimento già ai tempi di “Che cosa vedi”.
Il desiderio di concepire nuovamente certi suoni era già trasudato in tempi recenti, ad esempio “Io e me” (su “Ricoveri virtuali e sexy solitudini”) era un chiaro ritorno all’antico, ma lì si trattava più di episodi sporadici, innestati in progetti che in realtà guardavano altrove.
Qui invece c’è una band con un progetto chiaramente orientato a richiamare gli anni 90, architettato per spingere a fondo effetti e amplificazione, ma concependo anche un paio di ballate (la title track e “Un po’ di requie”, poste in maniera consecutiva, quasi a voler rappresentare l’isola di pace in un oceano impetuoso e sanguigno), perché la cifra stilistica dei Marlene lo ha sempre previsto, e perché tutto sommato a loro vengono quasi sempre bene.
Una delle prime tracce ad imporsi è “Leda”, tanto ruvida quanto orecchiabile, un rovente instant classic del gruppo, ma l’album si muove in molteplici direzioni, dall’incedere quasi hard-rock di “La città dormitorio”, al solo di matrice classic che chiude “Niente di nuovo”.
Luca Bergia dietro la batteria sembra voler sperimentare ritmiche poco frequentate finora, mentre a “Lagash” viene riconosciuto lo status di membro ufficiale, dopo anni di militanza imbracciando il basso che fu di Dan Solo e Gianni Maroccolo.
“Lunga attesa” è un disco di alt-rock ostinato (nel senso buono del termine), tanto ricco di asperità (“Fecondità”), quanto disposto a mediare l’approccio sonico con strutture e melodie rotonde e orecchiabili (“Un attimo divino”, “Formidabile”), con esiti sempre e comunque vibranti.
Le liriche mostrano una rinnovata urgenza di raccontare, scavano non soltanto nell’io dei protagonisti (scandagliando in particolare i temi dell’amore, della perdita e della voluttuosità), ma si spingono anche verso argomentazioni “sociali”, imponendo l’importanza di una narrazione ricercata, mai costruita per un’ideale usa-e-getta, ma pensata (come al solito) in maniera accurata, parola per parola.
I Marlene Kuntz targati 2016 sono al contempo antichi e rinnovati, distorti ma essenziali, non più rockstar distaccate, ma artisti arricchiti da una sana voglia di comunicare con il pubblico, concretizzata attraverso una presenza costante sui social network (Godano in persona consiglia quotidianamente da almeno un paio d’anni due canzoni da ascoltare ai propri fan) e persino con l’iniziativa di far musicare un nuovo testo a tutti coloro che lo desiderassero, con un premio per i migliori: aprire una data del tour promozionale di “Lunga attesa”, ovverosia condividere il palco con i propri beniamini, e godere dell’opportunità di far ascoltare la propria musica al loro pubblico.
L’iniziativa ha avuto un successo straordinario: se cercate su You Tube o Soundcloud, troverete centinaia di versioni del brano. In tutto sono state oltre quattrocento le tracce postate sulla pagina Facebook appositamente creata.
Considerati i tempi ristretti e il fatto che a rispondere sono stati musicisti non professionisti, che suonano magari per hobby nei pochi ritagli di tempo libero, è l’ennesima conferma dell’affetto che circonda da oltre vent’anni il mondo di Marlene.
02/02/2016